LA PAROLA ALL’ESPERTO
La rubrica mensile di IMESI che riporta la voce degli esperti sulle maggiori tematiche di politica internazionale
Il nuovo Sacro Romano Impero della nazione germanica
a cura di Rosario Fiore Cultore di diritto pubblico comparato Unipa e
Segretario generale I.Me.Si
L’ultimo tormentone andato in scena al Consiglio Europeo di Febbraio – l’affaire Brexit, di cui ha già parlato e brillantemente in questo blog il nostro giovane ricercatore Davide Daidone (http://www.imesi.org/2016/02/19/la-guerra-in-casa-nostra-brexit-e-i/) offre lo spunto per una ulteriore riflessione sull’Unione Europea, cosa oggi rappresenta e cosa potrà rappresentare nel prossimo futuro. E’ noto che il 23 giugno prossimo il Regno Unito sarà
chiamato ad esprimersi su un delicato referendum popolare: restare o meno nell’ Unione Europea,sciogliendo, finalmente, un nodo che gli inglesi si portano dietro sin dai tempi di Margaret Thatcher, il cui antieuropeismo, oggi reinterpretato da Cameron, raggiunse l’acme nel celebre discorso di Bruges nel 1988, quando la Lady di Ferro, rivolgendosi alla platea del Collegio d’Europa – istituto indipendente di studi europei post-universitari – nella cittadina belga, definì lo’allora Comunità europea «un club che si guarda l’ombelico, ossificato in una mania da iperregolamentazione», e aggiunse: «non abbiamo fatto arretrare i confini dello Stato in Gran Bretagna per vederli riespandere a livello europeo con un super-Stato che esercita una nuova forma di dominio da Bruxelles». L’antieuropeismo inglese, pertanto, non rappresenta affatto una novità e la posizione assunta da Cameron, che in ogni caso ha portato a casa un buon risultato, è perfettamente in linea con il nazionalismo thatcheriano e con l’avversione degli inglesi verso i tedeschi, che, non dimentichiamo, furono loro acerrimi nemici durante gli ultimi due conflitti mondiali. Ciò premesso, tuttavia, non voglio occuparmi di Brexit, ma vorrei condividere con i lettori una breve riflessione, faziosa ovviamente, sull’Unione Europea. Non credo di dire una cosa nuova quando affermo che, giuridicamente e tecnicamente, uscire dall’Unione Europea si può: basta leggere la procedura di recesso prevista e disciplinata dall’art. 50 del Trattato sull’Unione Europea, per come rivista col Trattato di Lisbona. Questa premessa, ovvia ripeto, mi è tuttavia utile per potere consequenzialmente affermare che, al di là di ogni demagogica ed ideologica retorica sul valore e sui valori comuni (???) dell’Unione Europea, quest’ultima è e rimane una semplice organizzazione internazionale, sui generis per carità, ma pur sempre una normale organizzazione internazionale soggetta alle norme di diritto internazionale sui trattati e sui rapporti tra gli Stati e le organizzazioni internazionali; per dirla con Benedetto Conforti, “una organizzazione internazionale altamente sofisticata”. Se, infatti, la presenza di organi con ampi poteri decisionali nonché il principio della prevalenza del diritto “comunitario” sul diritto interno fanno propendere per una sorta di embrionale Stato federale, tuttavia, l’immutata e non scemata sovranità di ciascuno Stato membro, anche in quelle materie che sono di esclusiva competenza dell’Unione, alla fine ci portano sempre allo stesso risultato: trattasi di una organizzazione internazionale e non di uno Stato federale. Non può, infatti, passare inosservato che dei quattro organismi decisionali più importanti, il Consiglio Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea – quest’utimo vero legislatore “comunitario”- sono organi di Stati, cioè organi in cui ciascun componente rappresenta non gli interessi generali dell’Unione ma gli interessi particolari dello Stato che rappresenta; sono organi, pertanto, le cui decisioni sono frutto di una mediazione politica tra gli opposti interessi e le cui decisioni, relativamente al Consiglio dell’Unione in materie delicate quali la politica estera e la fiscalità, sono tutt’oggi deliberate all’unanimità. Sottolineare questo dato è importante in quanto mette in evidenza, ancora una volta, la fragilità intrinseca dell’Unione Europea, di cui l’affaire Brexit altro non è se non la prova del nove. Questa fragilità, che spiace constatare non è stata superata dalla nuova impalcatura istituzionale di Lisbona, è resa evidente per almeno quattro considerazioni: in primo luogo, pur essendoci una moneta unica – mi riferisco ovviamente ai soli Paesi dell’Eurozona – non vi è tuttavia una politica monetaria unica; in secondo luogo, pur essendoci un mercato comune di libero scambio del lavoro, delle merci e dei servizi, non vi è una politica comune in materia fiscale; in terzo luogo, pur esistendo un’area di libera circolazione delle persone, tuttavia, in presenza di eventi di eccezionale gravità ( atti terroristici ad esempio) lo Spazio Schengen può essere derogato e sospeso; in quarto luogo, non vi è una politica estera e di sicurezza realmente comune, atteso che l’Alto Rappresentante per la Politica Estera gode di poteri più onorifici e celebrativi che veri ( ricordo ancora vividamente che il 6 febbraio dell’anno scorso, durante la crisi russo-ucraina, la politica estera dell’Unione fu assolutamente assente e addirittura scavalcata dall’asse franco -tedesco con Hollande e la Merkel che si precipitarono a Kiev per sottoporre a Putin un piano di pace). Bisogna allora chiedersi che senso ha questa Unione Europea, in cui non vi è una governance politica reale e in cui i singoli Stati rimangono tutt’ora pienamente e giustamente sovrani di fare ciò che vogliono. Personalmente sono contrario all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea ma non perché ritengo che questo sia il primo passo per una definitiva estinzione dell’Unione; sono contrario perché il Regno Unito ha rappresentato e può continuare a rappresentare l’unico contrappeso serio e credibile alla Germania e al pangermanesimo, sempre strisciante e sempre pericoloso; ma soprattutto sono contrario perché una Unione Europea senza il Regno Unito finirebbe per diventare una sorta di moderno Sacro Romano Impero della Nazione Germanica, con l’Italia ancora una volta ridotta a ruolo di vassallo. Per cui, se il 23 Giugno il Regno Unito dovesse decidere per un recesso unilaterale dall’Unione Europea, occorrerà seriamente iniziare ad interrogarsi se sia ancora utile, politicamente ed economicamente, farne parte, ben sapendo che recedere si può.