Libia: il difficile cammino verso l’unità


Russian Foreign Minister Sergei Lavrov, center left, U.S. Secretary of State John Kerry, center and United Nations special envoy for Syria Staffan de Mistura, center right, attend the ministerial meeting on Syria in Vienna, Austria, Tuesday, May 17, 2016. (Leonhard Foeger/Pool Photo via AP)

Libia: il difficile cammino verso l’unità

La settimana appena trascorsa vede importanti sviluppi della situazione politica interna ed esterna della Libia alla luce del summit avvenuto a Vienna, giorno 18 Maggio 2016, organizzato da Stati Uniti e Italia, a cui hanno partecipato insieme al nuovo presidente libico di unità nazionale, Fayez  al Sarraj, i primi ministri di 20 paesi tra cui i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l’Egitto. I delegati hanno sottoscritto una dichiarazione che riconosce l’operatività del governo di unità nazionale del premier designato Fayez al Sarraj e apre la strada all’alleggerimento dell’embargo sulle armi, all’addestramento ed equipaggiamento della Guardia presidenziale soprattutto in chiave anti-Isis, a una strategia concreta per il contrasto al traffico di esseri umani.[1] La proposta di “eccezione all’embargo” ( che quindi rimarrà per altre milizie ) è stata accolta dai delegati dei 20 paesi più l’ONU, l’UE e l’Unione africana, che hanno aperto alla richiesta di armare la “Guardia presidenziale” appena creata a Tripoli.[2] La Guardia nei piani di Sarraj non dovrebbe essere l’embrione di un nuovo esercito nazionale libico. Ma comunque potrebbe diventare la struttura attorno a cui ricomporre prima o poi le forze armate nazionali. Fayez Sarraj ha un Consiglio presidenziale, riconosciuto come “governo di unità nazionale” da parte dell’ONU, ma i suoi ministri non sono stati ancora votati dal Parlamento, quindi non sarebbero “legali”. Tuttavia, quello di Sarraj viene considerato l’unico governo riconosciuto dall’ONU, e quindi la sua richiesta di ricevere armi in deroga all’embargo Onu è stata accolta positivamente dagli Usa e dagli altri paesi riuniti a Vienna. Sarraj quindi non richiede un intervento straniero in Libia, bensì “assistenza con addestramento della Guardia presidenziale, per combattere lo stato islamico. Il premier libico ha inoltre chiesto ai suoi 18 ministri di entrare nei ministeri ed iniziare a lavorare anche senza il voto del parlamento di Tobruk e la mossa è stata approvata dai 20 ministri degli Esteri, riuniti a Vienna. Nonostante l’importante riconoscimento da parte delle Nazioni Unite del governo Sarraj, la solidità e il consenso politico interno alla Libia è tutt’altro che raggiunto. Al fine di comprendere la frammentarietà della nazione libica e del suo ruolo all’interno della comunità internazionale, è utile analizzare tre variabili che definiscono e contraddistinguono la situazione politico-economica della Libia contemporanea: 1) politica interna e formazione del governo Sarraj; 2) nascita e sviluppo dello Stato Islamico; 3) Interessi petroliferi.

Politica interna e formazione del governo Sarraj 

La Libia, a partire dalla caduta di Gheddafi, ha visto un complicato percorso di transizione, che ha portato ad una complessa frammentarietà politica e militare.

Ad oggi, l’accordo politico che vede Sarraj al comando è abbastanza fragile. I principali centri di potere presenti in Libia sono essenzialmente quattro:

  1. Il governo risultante dal processo politico e conosciuto come Governo di concordia nazionale  ( Gna, dall’acronimo inglese “Government of National Accord” );
  2. Il “governo di salvezza nazionale dei filoislamisti di Tripoli”,con la sua forza militare che fa capo alle milizie della città stato di Misurata.
  3. Il governo di Tobruk vicino al generale Haftar e all’Egitto, appoggiato dalle milizie della città di Zintan.
  4. Lo Stato Islamico centrato su Sirte, appoggiato dalle milizie qaidiste di Ansar al-Sharia.

L’accordo politico libico negoziato dall’Onu e firmato in Marocco a dicembre è basato sui due “parlamenti” di Tobruk e Tripol, facenti capo rispettivamente al generale antislamista Halifa Haftar e a un coacervo di milizie antigeddafiane e islamiste. Quest’ultimo punto è molto importate da comprendere al fine di inquadrare le due principali divisioni in Libia, che superano la conformazione e l’ostilità di natura tribale che contraddistingue il popolo libico dagli albori della sua nascita. Le divisioni di oggi, nascono durante la rivoluzione contro Gheddafi: Gli ex ufficiali e dipendenti del raìs contro le forze islamiste. Tuttavia, i due parlamenti praticamente non funzionano più, non è chiara neanche la loro composizione e politicamente rappresentano solo un terzo circa dell’arco politico libico.[3] Nonostante ciò, l’accordo Onu è costruito per funzionare solo con il consenso di questi due parlamenti. Principalmente quello di Tobruk, che dovrebbe garantire la fiducia del governo di unità nazionale  e svolgere il ruolo di suprema autorità legislativa del paese. Quello di Tobruk, tuttavia non è mai stato il vero parlamento unitario della Libia, essendo stato eletto il 25 giugno 2014 senza accordo tra le parti per riconoscerne i risultati. A partire da quella data, una serie di vicissitudini e dissidi interni, portarono a una serie di forzature condotte dalle Nazioni Unite, col proprio inviato Bernardìno Lèon, che agiva anche negli interessi degli Emirati Arabi Uniti, alleati insieme all’Egitto con il generale Haftar. Tuttavia la Camera di Tobruk non ha mai approvato veramente l’accordo dell’Onu, a parte un voto in cui astutamente rigettava solo le clausole ostili ad Haftar. Il nodo rimaneva di dare la fiducia ai ministri del neo-nato governo di unità nazionale. Così, tra la fine di febbraio e la prima metà di marzo è maturata un’altra soluzione: accogliere una lettera firmata da 101 parlamentari come surrogato di un voto di fiducia[4]. Nonostante le delegazioni libiche si siano rifiutate di riconoscere questo meccanismo, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, attraverso una dichiarazione, insieme a statunitensi ed europei riconoscevano il governo di unità nazionale come governo legittimo della Libia, invitando a rompere ogni legame con i governi di Tobruk e Tripoli e, anzi, spingendo il primo ministro del governo unitario Fayz al Sarrag a insediarsi quanto prima nella capitale. Nonostante le forzature, la Camera dei rappresentanti rimane l’organo centrale dell’accordo che dovrà concordare molte nomine con il Consiglio di Stato, una rivisitazione del parlamento di Tripoli. Arrivati a questo punto cruciale, i paesi occidentali, che probabilmente eviteranno di rinegoziare una nuova intesa sotto la guida Onu, dovranno andare avanti con una serie di forzature per far funzionare il nuovo governo libico.

Nascita e sviluppo dello Stato islamico in Libia

libia_cirneaica-1030x615Ad oggi, i rami del califfato nero in Libia si trovano in tre regioni libiche: uno in Tripolitania, uno in Cirenaica e uno nel Fezzan. In un anno circa, lo Stato islamico in Libia (Isl) si è consolidato nella sua capitale de factonel Nordafrica, Sirte, plasmandola sul modello di Raqqa e istituendo i suoi tribunali, i suoi uffici amministrativi, le sue prigioni e la sua polizia.[5] Oggi, lo Stato Islamico in Libia si trova a dover fronteggiare altre realtà salafite-jihadiste sul terreno, in quella che è una proiezione dello scenario siro-iracheno, mentre nel paese sono in corso diverse battaglie su più fronti, in particolare contro le forze islamiste di “Alba libica” e quelle laiche di Haftar con “l’Operazione Dignità”, che, da vecchi nemici, sono oggi alleati di fronte al nemico comune: Isl. La prima rilevante comparsa mediatica dell’Is in Libia risale al febbraio 2015, quando l’organizzazione diffonde il video della decapitazione di 21 egiziani copti a Sirte. Tra maggio e giugno 2015, l’Isil conquista Sirte e ne fa la sua roccaforte libica. Contemporaneamente viene sconfitto nella storica roccaforte jihadista della Libia: Derna. È stato il fronte libico del jihad che ha alimentando la propaganda dell’Is contro la nuova “campagna crociata”. L’esistenza di una strategia elaborata dalla leadership dell’Is per consolidare la propria presenza in Libia come base per la conquista del Nordafrica è emersa dopo gli attentati in Tunisia e Libia. Una forte spinta a questa delocalizzazione è stata data dall’inizio della campagna militare anti-Is avviata dalla coalizione internazionale arabo-occidentale nell’estate del 2014. Per una serie di fattori il contesto libico al momento si differenzia dallo scenario siro-iracheno. Ad esempio, in Iraq, l’ideologia dell’Is ha ricevuto molto sostegno locale grazie al lavoro svolto dagli ex-ufficiali del partito Ba’t di Saddam Hussein, che fecero leva sul sentimento antiamericano e sulla frustrazione sunnita nel post-Saddam. Questo aspetto fondamentale in Libia oggi è meno marcato, anche se l’Is potrebbe sfruttarvi il risentimento dei falchi del vecchio regime di Gheddafi.[6] Tuttavia, un nuovo scenario siro-iracheno potrebbe presentarsi qualora venga condotto un’improbabile intervento militare di terra occidentale , che verrebbe immediatamente presentato dalla propaganda dell’Is come una nuova crociata contro l’Islam, attirando così jihadisti da varie parti dell’Africa.

Interessi petroliferi

La soluzione che i paesi occidentali, stanno adottando per cercare di individuare una via d’uscita nel labirinto libico è quella di seguire i soldi: il denaro che viene dalle vendite di petrolio, la risorsa che tiene insieme quel che resta delle istituzioni nazionali. È proprio su questo fronte che americani ed europei sono riusciti a incassare il solo successo netto e strategico nel giorno dell’insediamento del presidente Fayez al Sarraj a Tripoli. Il blocco occidentale ha impedito che il governo rivale di Tobruk piazzasse sui mercati internazionali il greggio estratto nella sua zona; la prima nave cisterna che ha preso il mare si è fermata a largo di Malta ed è stata costretta a invertire la rotta.[7] Il segretario di Stato John Kerry ha dichiarato a Vienna, che soltanto un governo unitario può permettere alla produzione petrolifera di funzionare e che tutta la comunità internazionale deve sostenere questa posizione. Così in Cirenaica ,rendendosi conto che non esistevano alternative all’accordo, nei terminal di Marsa el-Hariga- incastonato nel golfo di Tobruk sono ripresi i carichi delle navi, affidati però all’organismo internazionale Noc ( National Oil Corporation ). Il controllo del rubinetto petrolifero è oggi l’arma più importante nelle mani del presidente Sarraj. Con il monitoraggio totale del Golfo della Sirte ( oggi in parte in mano all’Is ) da parte delle flotte occidentali, il contrabbando di greggio è praticamente impossibile. E senza l’oro nero la Libia rischia di fermarsi definitivamente: finora infatti l’ente centrale di Tripoli ha continuato a garantire i fondi per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici, ossia della maggioranza dei lavoratori delle zone urbane, ma dalla caduta di Gheddafi la produzione è crollata vertiginosamente. Adesso con l’apertura del porto di Hariga, la produzione aumenterà, favorendo gli scambi con i paesi occidentali che con la Noc, hanno contratti di lunga durata.

Conclusioni

Avendo delineato le tre variabili, è opportuno fare delle ipotesi sul futuro libico, mettendo anche in chiaro come Europa e Stati Uniti stanno operando nel contesto libico. L’occidente si sta concentrando sul contenimento di alcuni mali del paese nordafricano e in cima alla lista ci sono Stato Islamico e immigrazione. Per la lotta all’Is, la strategia adottata da Stati Uniti e Francia ( con la Gran Bretagna nell’usuale ruolo di comprimario ) è la classica “guerra al terrorismo 2.0: droni, raid aerei per uccidere i leader, forze speciali che stabiliscono rapporti bilaterali con singoli gruppi armati locali. Tuttavia le dichiarazioni ufficiali occidentali tendono a tenere separato il piano alla lotta allo Stato Islamico da quello del lavoro a un processo politico unitario. Il risultato è stato che, sostenendo militarmente Haftar, le varie milizie si misero in competizione per dimostrare di essere il partner ideale contro l’Is, al fine di ottenere finanziamenti e armi da parte dell’Occidente. È chiaro che un processo politico unitario non possa realizzarsi in un contesto di competizione militare tra le milizie.

La piazza Verde di Tripoli semideserta  oggi, 1 settembre 2011, nell'anniversario della rivoluzione che porto a capo della Libia Gheddafi. A parte la sicurezza che presidia l'area ribattezzata dai ribelli, piazza dei Martiri,  solo pochi cittadini che continuano a mostrare la nuova bandiera. ANSA/ CIRO FUSCO

 Nel caso dell’immigrazione, è possibile che assisteremo ad accordi simili all’ultimo accordo tra l’UE e la Turchia. L’obiettivo politico rimane quello di “spostare” altrove la presunta minaccia rappresentata dai migranti, usando fondi e non badando alle infrazioni umanitarie del partner. La strategia prevede opzioni diverse: o il presidente Sarraj approva operazioni militari sulle coste, con l’estensione della fase 3 del mandato dell’operazione europea “Sophia” contro i trafficanti, oppure gli europei troveranno in alcune municipalità o città stato, quali sono adesso, tanti leader pronti a cooperare in fatto di lotta al traffico di esseri umani. Intanto il nostro paese sta conducendo un lavoro lodevole, riunendo i leader dei principali paesi a Vienna, e lavorando in prima linea per un processo politico unitario. Nella speranza che la città di Misurata, il suo unico vero sponsor, si riveli un partner allo stesso tempo affidabile e in grado di farsi valere sugli altri contendenti. Inoltre il ministro degli esteri Gentiloni ha dichiarato che adesso è necessario negoziare col generale Haftar, il quale ha recentemente dichiarato di non riconoscere il governo Sarraj e quindi di non rispettare la decisione delle Nazioni Unite. Il generale, infatti, sponsorizzato dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti, vorrebbe un ruolo chiave nel nuovo esercito che Sarraj sta formando, grazie all’embargo sulle armi concesso a Vienna. In questo sforzo, l’Italia non troverà molte sponde, visto che gli altri europei sono interessati solo a trovare dei rimedi immediati ai due mali che restano: Stato Islamico e migrazioni.

Danilo Lo Coco

[1 http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/libia_vertice_vienna_sarraj_truppe_occidentali-1737018.html

[2] Nigro, V., “Alla Libia le armi dell’Occidente”, in “la Repubblica”, 17-05-2016.

[3] Toaldo, M., “Il paziente libico è morto (per l’Occidente)”, in “Limes” n°3/2016, “Bruxelles, il fantasma dell’Europa”, 2016

[4] Toaldo, M., “Il paziente libico è morto (per l’Occidente)”, in “Limes” n°3/2016, “Bruxelles, il fantasma dell’Europa”, 2016, p.112

[5] El Khoury, S., E., B., “Come lo Stato Islamico è penetrato in Libia”, in “Limes”, 3-2016.

[6] Cilliers, J., “What Happens in Libya Won’t Stay in Libya”, Institute for Security Studies, 4/3/2016.

[7] Di Feo, G., “Un’intesa sul petrolio la carta di Europa e Usa per unire le fazioni”, in “la Repubblica”, 17-05-2016.

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