Da Parigi a Bruxelles: un’analisi degli attentati dello Stato Islamico
“E’ inutile negarlo, siamo in guerra“.
Poco importa la qualità di queste parole e se a pronunciarle sia stato il Premier francese Manuel Valls. Il dato più eclatante è che l’Europa è già in guerra, probabilmente sin dalla sua creazione. Dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Libia alla Siria, senza dimenticare la guerre cachée nel corno d’Africa e i colonialismi del passato. L’Europa è un Albero piegato dal Vento della ipocrita democrazia da esportare, stile americano, che ad un certo punto tende a spezzare il suo tronco. Avevamo già assistito alle dolorose ferite di Madrid, Parigi e Londra adesso Bruxelles. L’Alberto Europa, ecco, si è spezzato. Dobbiamo chiederci come mai una città come Bruxelles possa aver subito un grosso smacco a livello di sicurezza. Si pensava che la capitale del delle istituzioni europee, Commissione, Consiglio, Parlamento e della Organizzazione di Difesa, la NATO, potesse rappresentare un fortino sicuro dove poter prendere un aereo, recarsi al lavoro o all’università in piena sicurezza, sembrava la normalità. Invece no, oggi rappresenta il cuore del terrorismo Europeo, ciò che emerge dalle rovine di quell’albero spezzato. Non è mia intenzione criticare, in un momento così delicato, bensì analizzare perché il Belgio sia diventato il covo dei jihadisti.
Poco importa la qualità di queste parole e se a pronunciarle sia stato il Premier francese Manuel Valls. Il dato più eclatante è che l’Europa è già in guerra, probabilmente sin dalla sua creazione. Dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Libia alla Siria, senza dimenticare la guerre cachée nel corno d’Africa e i colonialismi del passato. L’Europa è un Albero piegato dal Vento della ipocrita democrazia da esportare, stile americano, che ad un certo punto tende a spezzare il suo tronco. Avevamo già assistito alle dolorose ferite di Madrid, Parigi e Londra adesso Bruxelles. L’Alberto Europa, ecco, si è spezzato. Dobbiamo chiederci come mai una città come Bruxelles possa aver subito un grosso smacco a livello di sicurezza. Si pensava che la capitale del delle istituzioni europee, Commissione, Consiglio, Parlamento e della Organizzazione di Difesa, la NATO, potesse rappresentare un fortino sicuro dove poter prendere un aereo, recarsi al lavoro o all’università in piena sicurezza, sembrava la normalità. Invece no, oggi rappresenta il cuore del terrorismo Europeo, ciò che emerge dalle rovine di quell’albero spezzato. Non è mia intenzione criticare, in un momento così delicato, bensì analizzare perché il Belgio sia diventato il covo dei jihadisti.
Potrebbe sembrare scontato, ma bisogna partire dal sistema di integrazione nazionale che ogni Paese applica ai suoi immigrati-cittadini. Per giungere al Belgio bisogna partire dalla Francia. Come non ricordare le rivolte del 2005 nelle Banlieue parigine, frutto di una politica interna concentrata sui pregiudizi ed errori di strategia per l’integrazione della popolazione, per la maggior parte algerina e marocchina, con scarse possibilità economiche. La popolazione arabo-francese chiedeva rispetto e uguale dignità al resto dei francesi e un diritto alla casa. In Francia le abitazioni popolari rappresentano meno del 2,5% delle abitazioni totali, mentre la legge impone un 20%[1]. Ma d’altronde sono problemi presenti nella maggior parte dei paesi Europei, un’integrazione che oggi ha portato ad un maggiore disequilibrio interno. Il modello assimilazionista francese ha creato uno stereotipo di integrazione i cui il migrante è tenuto a conformarsi completamente alla cultura e alla società francese, muovendosi all’interno di uno stato laico che garantisca
l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti la legge. All’interno di questo sistema, però, esistono malcontenti generati dai pregiudizi e discriminazioni. I giovani di discendenza extraeuropea sono spesso vittime di particolari disagi che si traducono in diversi modi: difficoltà di inserimento lavorativo e condizioni abitative piuttosto disumane. La conseguenza più ovvia è l’emergere di conflitti etnici che pone in discussione il principio secondo cui la cittadinanza politica e l’uguaglianza di fronte la legge siano sufficienti a garantire l’integrazione socio-culturale dei migranti nella società francese.[2] Gli attentati di Parigi, quindi, possono essere analizzati da una prospettiva etnica-religiosa, e appaiono come l’incontro inevitabile tra la marginalità sociale ed economica delle banlieues e i valori anti-sistema proprio dell’islam radicale, che sembra aver generato un modello nuovo di inclusione all’interno di una comunità di eguali che va oltre alle appartenenze nazionali, ovvero quel modello di eguaglianza sostanziale che il sistema francese di integrazione non sia riuscito a realizzare effettivamente.
l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti la legge. All’interno di questo sistema, però, esistono malcontenti generati dai pregiudizi e discriminazioni. I giovani di discendenza extraeuropea sono spesso vittime di particolari disagi che si traducono in diversi modi: difficoltà di inserimento lavorativo e condizioni abitative piuttosto disumane. La conseguenza più ovvia è l’emergere di conflitti etnici che pone in discussione il principio secondo cui la cittadinanza politica e l’uguaglianza di fronte la legge siano sufficienti a garantire l’integrazione socio-culturale dei migranti nella società francese.[2] Gli attentati di Parigi, quindi, possono essere analizzati da una prospettiva etnica-religiosa, e appaiono come l’incontro inevitabile tra la marginalità sociale ed economica delle banlieues e i valori anti-sistema proprio dell’islam radicale, che sembra aver generato un modello nuovo di inclusione all’interno di una comunità di eguali che va oltre alle appartenenze nazionali, ovvero quel modello di eguaglianza sostanziale che il sistema francese di integrazione non sia riuscito a realizzare effettivamente.
Dalla Francia al Belgio, le similitudini sono diverse e numerose. Due nazioni che parlano la stessa lingua, condividono la stessa cultura europea e gli organi istituzionali dell’Unione Europea. Oggi Bruxelles è ritenuta uno dei punti di maggior concentrazione di jihadisti, paragonabile, quasi, ad una provincia dell’IS. Per spiegare come tutto questo è stato possibile occorre procedere di passo in passo. A partire dagli anni cinquanta del ‘900 in Belgio è stata costruita un’importante rete fondamentalista che ha potuto evolversi nel tempo senza alcun disturbo da parte delle autorità federali belghe e dei servizi di intelligence. Stiamo parlando di un movimento radicale che trae origine dalla grande Moschea del parco del Cinquantenario che sorge nel pieno centro di Bruxelles, finanziata e arricchita nel tempo dallo sceicco franco-siriano Bassam Ayachi. L’evoluzione “salafita” dell’islam belga non si è limitata solamente alla capitale, ma come una ragnatela ha coinvolto le principali città del Paese. Da Anversa alle Fiandre ha creato un sistema estremista ben sviluppato che ha visto la creazione di una vera e propria organizzazione, la Sharia4belgiu che nel 2010 ha iniziato ad invocare all’interno dei suoi consociati, terroristi potenziali e giovani emarginati dal sistema ghettizzante belga, la legge della sharia e la pena di morte per gli omosessuali. Il suddetto gruppo, soppresso nel 2015, ha costituito per molti anni un punto di riferimento importante affinché il jihadismo belga maturasse e captasse l’attenzione di tanti giovani, per essere inviati come messaggeri di Allah a combattere in Iraq e in Siria per poi far ritorno in terra belga. Un altro punto, non di poco conto, è sicuramente la posizione geografica di Bruxelles e del Belgio. Il cuore del continente Europeo, rappresenta una posizione privilegiata per una organizzazione terroristica. E’ situato a poche ore di tragitto da aeroporti strategici, come ad esempio l’aeroporto di Düsseldorf in Germania, ben collegato, con voli economici, con i maggiori aeroporti della Turchia, crocevia strategico verso la Siria. Proprio in Belgio il terrorismo jihadista è stato abile nel crearsi una rete interna, una sorta di alleanze strategiche, con le diverse criminalità organizzate del Paese. Pensiamo alla mafia albanese e cecena, una delle prime finanziatrici di armi clandestine. Lo stesso autore dell’attacco jihadista ad un supermercato kosher di Parigi, nel gennaio del 2015, si sarebbe procurato le armi da esponenti della microcriminalità balcanica presente a Bruxelles. Attuare un piano di intelligence locale e di sorveglianza, proprio per stanare le reti interne e internazionali, appare molto difficile, così come la creazione di una strategia dettagliata per far fronte al terrorismo. Questo viene complicato maggiormente se ci troviamo di fronte ad una realtà come Bruxelles, in cui sono presenti 19 municipalità e ogni sindaco ha poteri di polizia, un vero rompicapo poliziesco-amministrativo che provoca rivalità interne in un momento in cui bisogna agire sotto un’unica veste investigativa. La stessa Bruxelles è divisa in più zone di competenza della polizia federale e questo sistema di certo ha impedito lo scambio di informazioni e bloccato molte inchieste. Alcuni sindaci oggi non conoscono, proprio per tale motivo, la lista delle persone a rischio di radicalizzazione che vivono nel territorio di loro competenza. In questa maniera è più facile creare nuove forze jihadiste e una rete di protezione a favore dei terroristi, e la cattura di Salah avvenuta dopo molto tempo è una prova lampante. Il problema, più che belga, è sicuramente europeo, in quanto è necessario un maggior coordinamento delle forze di intelligence di ciascun Paese dell’Unione. Infine, la politica di integrazione deve essere rivista. E’ vero che esistono casi in cui un immigrato non vuole integrarsi, ed è vero pure che bisogna analizzare il problema di fondo e chiederci perché. La risposta appare scontata, ma è necessario riflettere. Oggi, in Belgio, un turco o un marocchino ha, ad esempio, tra il 20% e il 30% in meno di probabilità di trovare un lavoro rispetto ad un europeo. Certo, la non integrazione non giustifica il terrorismo e qualsiasi altra forma di criminalità organizzata. Oggi non c’è tempo per fermarsi, bisogna ripartire e riflettere, non solo in termini di unità e coordinamento di intelligence, ma in nuove e innovative politiche di integrazione.
Davide Daidone
Per saperne di più:
Internazionale, Giovanni De Mauro “Colombe”, 24 Marzo 2016.
http://www.economist.com/news/europe/21695308-europe-must-confront-possibility-such-attacks-regular-basis-brussels-attacks-show