Come sconfiggere il terrorismo?
Incontro con il professore Alessandro Orsini nel corso della presentazione del suo ultimo libro, “Isis”.
Incontro con il professore Alessandro Orsini nel corso della presentazione del suo ultimo libro, “Isis”.
Alessandro Orsini, oltre a essere docente di Sociologia dei Fenomeni Politici e del Terrorismo presso l’Università Luiss Guido Carli, ricopre il ruolo di Direttore del Centro per lo Studio sul Terrorismo dell’Università Tor Vergata, nonché di Research Affiliate al MIT di Boston. Orsini conta numerose pubblicazioni sulle maggiori riviste scientifiche internazionali specializzate in studi sul terrorismo, peraltro annoverate in fascia A secondo la classifica di Anvur. Uno dei suoi masterpieces, Anatomia delle Brigate rosse, è stato definito “un libro di alto prestigio intellettuale” dalla rivista di Harvard “Journal of Cold War Studies”: oltre ad essersi aggiudicato il Premio Acqui 2010, gli è stato riconosciuto il posto tra i libri più importanti del 2011 da “Foreign Affairs”. Orsini è al momento impegnato con la casa editrice Rizzoli per la quale sta pubblicando il suo nuovo libro, “Isis. I terroristi più fortunati del mondo e tutto ciò che è stato fatto per favorirli”. Ma in che senso sono i più fortunati del mondo?
Questo è uno dei nodi che si è cercato di sciogliere ieri, durante l’incontro. Due i dati di fatto: in primis, l’Isis non è l’unica organizzazione terroristica internazionale esistente al mondo, e questo è un dato che occorre evidenziare. É tuttavia la più fortunata perché le potenze occidentali che avrebbero dovuto combatterla si sono trovate piano piano sempre più paralizzate, fino ad arrivare oggi, a percepirsi come bloccate nell’insidiosa ragnatela della paura. La paura di fare passi falsi, di rompere gli ormai consolidati – ma allo stesso tempo delicatissimi – schemi dell’anarchia internazionale. Ciò d’altro canto permette a Daesh – come sarebbe più giusto definirlo, privandolo della sua matrice religiosa – di continuare ad esistere e a espandersi. Altro grande punto di forza dell’organizzazione terroristica è il lento ma pervasivo fenomeno della radicalizzazione: come spiegare la trasformazione di tutti questi giovani che pur partendo da condizioni di vita normali, si ritrovano in pochissimo tempo assoldati per la “Jihad”?
Studi psicologici accurati sui percorsi biografici dei terroristi permettono di poterli separare dalle persone comuni e poi classificare attraverso il modello DRIA, acronimo per Disintegration, Recostruction, Integration e Alienation. Il percorso formativo della personalità del neonato terrorista consisterebbe, infatti, in una sua iniziale spersonalizzazione, seguita dalla costruzione di una mentalità manichea, dalla propria integrazione in un gruppo settario, per finire con la completa alienazione dalla realtà circostante.
E l’Italia, che ruolo potrebbe ricoprire nell’eventualità di una discesa in campo in territorio libico?
L’Italia trovandosi al punto di dover decidere se spiegare o meno le proprie forze nel territorio dell’ex colonia, dovrebbe chiamare in suo sostegno anche gli altri paesi facenti parte dello scacchiere internazionale, puntando giocoforza sui più potenti Stati Uniti. Da questi non mancherebbe certo una pressione orientata in senso positivo, ma è ben noto come il nostro paese non avrebbe alcuna convenienza nell’affrontare un rischio simile. L’ammontare della perdita sarebbe troppo esoso e, oltre tutto, interesserebbe non solo numerose vite umane ma anche dei costi di guerra inimmaginabili. Occorre aggiungere che, in questo preciso momento storico, l’Italia di tutto potrebbe permettersi fuorché le spese per sostenere un intervento armato. Come se non bastasse, l’effetto boomerang sarebbe alquanto schiacciante, considerando che la Libia si ritrova allo stato dei fatti priva di un governo stabile: motivo, questo, che potrebbe invogliare le forze di Daesh, lì stabili, a prendersela con le potenze occidentali di cui l’Italia rappresenterebbe, mutatis mutandis, il solito capro espiatorio.
Giulia Guastella