Siria, sicurezza Europea e Nato


Siria, sicurezza Europea e Nato

Intervista all’eurodeputato Antonio Panzeri

Il 23 Febbraio 2016 è stata una data importante per la questione della crisi siriana. Quel giorno infatti, dopo un anno di tentativi concreti, le due parti del conflitto (le forze governative e la resistenza) hanno convenuto un “cessate il fuoco” per trovare una via politica alla soluzione del conflitto. Allo stesso tempo le due potenze mondiali, Stati Uniti e Russia, hanno anch’esse promesso uno sforzo al fine di garantire una tregua. Ufficialmente il cessate il fuco è iniziato il 27 febbraio. L’Europa si è contraddistinta per il suo ruolo umanitario e politico, escludendo ogni coinvolgimento militare. Già a partire dai primi giorni di marzo, molte potenze vedevano questa tregua come una mera copertura, tanto che nei giorni successivi alcune delle condizione imposte sono state infrante da entrambi i fronti, sopratutto da parte del
governo di  Baššār al-Asad. La questione siriana è fortemente interconnessa a due avvenimenti che hanno sconvolto gli equilibri di difesa dell’Unione europea. Il primo è la relazione con la Turchia, e gli accordi sulla questione dei migranti. Il secondo avvenimento è la conseguenza del primo, e cioè la presenza della NATO nell’Egeo: una NATO che esce dagli schemi del trattato di Washington per ritrovare una sua identità. Nel suo discorso dell’8 Marzo alle Plenarie a Strasburgo, Antonio Panzeri, europarlamentare del gruppo “Socialisti e Democratici” si è dedicato alla questione della Turchia, e il 2 maggio ha accettato di rispondere alla domande sugli argomenti sopra citati. Il fine era quello di realizzare un dossier, e partendo dalle interviste poter dare spunto a nuove riflessioni e articoli. Di seguito viene trascritto il corpo fondamentale dell’intervista[1]In relazione alla questione in Siria, e al ruolo assunto dall’Unione europea….
 
Lei pensa che l’Europa avrebbe dovuto fare di più? O che avrebbe potuto fare di più? Quali sono per Lei le politiche decisive che l’UE dovrebbe mettere in atto per risolvere la questione in Siria?
Si, ne sono consapevole e ne sono convinto. Io capisco tutte le problematiche che l’Unione europea ha, ci sono 28 diplomazie, quindi è difficile fare esprimere una visione unitaria, e questo è un motivo per il quale l’Europa non può giocare un ruolo da protagonista. Non possiamo essere quelli che preparano il tavolo ma dopo poi ci si siedono altri a discutere. Non posso dare responsabilità forti a chi dirige la politica estera europea perché ha questo condizionamento iniziale, ma bisogna chiamare alla responsabilità i singoli stati, i quali dovrebbero cedere una porzione della loro sovranità, e poi devono far venire meno alcuni interessi. Mi sono sempre chiesto perché la Francia fosse così interessata alla Siria, e in effetti lo è perché la Siria è stata una colonia francese fino al 1925, ma questo non giustifica. Quindi si poteva fare di più e non restare piegati su stessi. La prima cosa da fare sarebbe parlare con una voce sola, e costringere Stati Uniti e Russia a convenire su alcune cose, dal cessate il fuoco all’idea di costruzione di quel paese che deve fondarsi sull’integrità facendo presente la presenza dei sunniti e dei curdi. Non parlo di indipendenza della regione curda perché questo provocherebbe dei problemi sulla Turchia, ma stiamo parlando di una gestione effettiva e con un accordo che preveda un passaggio di mano da parte di Assad. Nella vicenda siriana ci sono stai dei ritardi dovuti anche alla mancanza di un certo realismo, ed era auspicabile procedere per tappe diverse, e non mettere in contrapposizione i due fronti. Serviva una transizione condizionata che avrebbe dovuto coinvolgere anche Assad, invece si è insistito appoggiando alcune forze di opposizione finché non c’è stato un intervento diretto della Russia e le carte in tavola sono cambiate.
Lei parla anche di un approccio di “politica estera coerente”, a cosa si riferisce quando parla di coerenza? In quali occasione secondo Lei l’UE non è stata coerente?
Francia e Inghilterra influenzano molto la politica estera europea a causa della loro vocazione coloniale. C’era un diplomatico inglese che nel 1800 dichiarava che l’Inghilterra non aveva amici o nemici perenni, aveva solo interessi, e il
secolo dopo Charles De Gaulle ha detto la stessa cosa. Lo vediamo anche sulla vicenda libica. Se l’Europa vuole giocare un ruolo ha bisogno di ricostruire un percorso unitario. Se non è in grado di farlo troveremo molte parole ma pochi fatti.
Il fatto che accademicamente l’UE venga definita più come una potenza normativa, economica, civilizzatrice, che militare mi porta a pensare alla collaborazione con la NATO: Grecia e Germania hanno chiesto aiuto alla NATO e non all’UE, l’UE non sa gestire la crisi nell’Egeo?
Il processo di estensione della NATO è uno dei problemi che l’Unione europea ha. L’UE è una cosa diversa dell’Alleanza Atlantica e che questa idea della continua sovrapposizione nuoce all’Unione europea: l’abbiamo vista nella vicenda dell’Ucraina. Io considera sbagliato il fatto che se tu porti a 200 km da Mosca la NATO è ovvio che questo comporti delle reazioni da parte della Russia, al di là delle nefandezze che Putin ha fatto e probabilmente farà. Tuttavia il fatto è che noi non possiamo convenire con la politica dell’Alleanza Atlantica ma abbiamo bisogno di una politica di difesa comune dell’UE e che non si sovrapponga a quella dell’Alleanza Atlantica.
Nel Mediterraneo centrale è in corso l’operazione Sophia, l’UE (considerando tutte le spese e le differenze della partecipazione degli Stati) sta facendo un lavoro discreto, perché la Germania ha fatto ricorso alla NATO e non all’UE? Non c’è fiducia? E chiedono aiuto all’Alleanza Atlantica, che a parer mio, dopo il 1989 ha perso la sua ragion d’essere; era nata in contrapposizione all’URSS, ma una volta caduta l’URSS la NATO ha dovuto re-inventarsi. Seguo le politiche della NATO e le dichiarazioni di Stoltenberg, e si parla sempre di più di una NATO preventiva, il che è una contraddizione perché la NATO nasce come potenza offensiva. Adesso si parla di NATO preventiva in relazione alle misure prese dalla Russia. E lì capisco le difficoltà esistenziali della NATO che adesso deve riadattarsi: da 27 anni la NATO deve adattare le politiche estere, e i suoi approcci. Adesso la NATO si mette a mandare aiuti per la questione dei
migranti.
Questo è un discorso sufficientemente complesso! Riferendomi alla domanda iniziale, credo che si siano riferiti alla NATO perché è relativamente più semplice attivare un servizio NATO che un servizio europeo. La strada NATO sembra più percorribile perché Grecia, Germania e Turchia facendo parte dell’Alleanza Atlantica avrebbero avuto meno possibilità di veder lesi le loro podestà: podestà che sarebbero state lese se la missione fosse stata fatta dall’UE. Qui ci sono due processi che pesano. Il primo è quello di allargamento dell’UE che c’è stato nel 2004. Nel 2004 c’erano due dottrine che si scontravano nel mondo: quella di Bush di esportazione della democrazia attraverso la guerra (vedi l’Iraq), e quella di esportazione della democrazia dell’UE per processo politico. Tuttavia i paesi che uscivano dal blocco sovietico avevano astio verso Mosca, e questi paesi sotto il punto di vista della sicurezza guardano più gli Stati
Uniti che Bruxelles. Motivo per cui adesso abbiamo difficoltà ad evitare la sovrapposizione. La vecchia Europa prima del 2004 era forgiata dopo la seconda guerra mondiale e si voleva fondare sulla pace; i nuovi entrati sono entrati  perché avevano problemi economici e sociali e perché stavano scappando dall’URSS, e di fronte alle crisi attuali si sono viste le differenze. Da parte dell’UE antica prevale il senso della pace, della solidarietà, quella nuova invece alza le barriere a causa della mancanza di idealità.
Secondo Lei la NATO nell’Egeo lede l’Europa?
Secondo il mio punto di vista può entrare in contrapposizione, e dovrebbe essere l’UE ad avere una politica estera comune. I paesi devono uscire dalle loro contraddizioni, perché se è vero che i paesi che confinano con i problemi hanno più problemi di altri che non confinano coi problemi bisogna intersecare le cose. Parlo degli hot-spot e di Dublino.
Anche perché la Turchia è un membro dell’Alleanza Atlantica. A questo punto c’è stata la riunione in Plenaria del Parlamento europeo il 28 aprile, durante la quale il PE lamentava l’accordo UE-Turchia. I motivi erano diversi: mancanza di legittimità, inefficienza degli stati, diritti umani, visa, stati incapaci di affrontare il problema migrazione etc etc.. ora perché l’UE si è resa conto dopo che l’accordo UE-Turchia ha delle falle, e non c’ha pensato prima di farlo? Perché Commissione e Parlamento hanno due velocità diverse?
Questo è un accordo voluto dalla Germania, che ha un rapporto antico con la Turchia. Basta vedere la composizione interna dell’immigrazione in Germania. Ora io non so che non se n’è accorto prima, ma io ero uno di quelli che si è opposto all’accordo perché la Turchia non è un paese affidabile. Le ONG sono andate via dalla Turchia. Se l’UE da dei soldi alla Turchia significa che vuole co-gestire il problema. Che fine fanno questi soldi? Che fine fanno questi migrati? Questi accordi sembrano una copertura per coprire la vicenda curda. Mayer dice che l’accordo funzione, che i flussi sono rallentati. Tuttavia poco fa ho fatto una intervista sulla Libia, ed è vero che se fermi il corridoio balcanico, si apre quello del Mediterraneo.
Ora secondo Lei, tenendo in considerazione che l’UE è piena di problemi, a partire dal fatto che bisogna mettere d’accordo 28 Stati sovrani: come hanno fatto 28 grosse teste ad arrivare a questo punto?
Noi negli ultimi 15 anni abbiamo mancato 3 appuntamenti con la storia. Il primo è l’introduzione dell’euro nel 2001: abbiamo immaginato che le cose potevano risolversi per approssimazione successiva. Il secondo è stato l’allargamento di cui parlavamo prima: se non si fa l’integrazione economica e sociale di questi paesi prima o poi la cosa scoppia. Ma non è stata fatta per resistenze. Non lo so, sei giovane, ma nel 2004 la discussione era molto forte sul fatto che da questi paesi venisse la manodopera. Il terzo è il no al trattato costituzionale, con il referendum francese soprattutto. All’ora c’era la paura dell’idraulico polacco: sugli stereotipi si costruisce il alto negativo del mondo. Si fece un censimento in Francia  e c’erano 35 polacchi idraulici, e causa dell’idraulico polacco si perse il referendum. C’è un acuto sociologo francese, Dominique Moisi, che dice che il mondo è diviso in tre sentimenti: quello della speranza (e sono i paesi che vogliono arrivare), quello del rancore (e sono i paesi esclusi), e quello della paura. L’Europa è il contesto della paura e tra l’altro questa paura ha cambiato antropologicamente le persone, fino al loro comportamento elettorale. Oggi va di moda votare i populisti, gli xenofobi, perché c’è questa paura. Basta vedere quello che è successo in Austria, e che vuole alzare le barriere nel Brennero. Manca una classe dirigente europea. Le classi dirigenti sono più orientate all’orologio elettorale delle prossime elezioni piuttosto che all’orologio della storia. 
Maria Elena Argano

 

[1] Viene trascritta la parte esclusivamente inerente agli argomenti
sopra-citati. L’Onorevole Antonio Panzeri era corrente della registrazione al
fine della stesura di un articolo.

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