L’Ecomafia e il traffico illecito di rifiuti nel Mar Mediterraneo


 

Il presente articolo affronta dal punto di vista del diritto penale sostanziale, una tematica delicata e di crescente interesse con riferimento al tema della tutela dell’ambiente. A tal proposito, si inizia esaminando un profilo descrittivo quindi la nozione di “ecomafia” e le caratteristiche del fenomeno ecomafioso, per porre immediatamente dopo, l’attenzione sul quadro normativo nazionale quindi sulla disciplina prevista dal codice penale e dal Testo Unico Ambientale, nello specifico sul reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti tradizionalmente previsto dall’art. 260 d.lgs.152/2006  T.U.A e oggi riprodotto dall’art. 452 quaterdecies c.p.

L’aggressione selvaggia e illegale dell’ambiente rappresenta una delle manifestazioni della decadenza della nostra società, sia a livello giuridico che a livello etico.

Dal punto di vista etimologico il termine ecomafia non è strettamente penalistico, ma è un termine atecnico, che nasce da una crasi tra la nozione di mafia e il metodo mafioso, ed è la più ampia riferibile alla nozione di criminalità ambientale o ecologica.[1]

Nella nozione di criminalità ecologica rientrano un insieme di illeciti, che vanno oltre quelli strettamente connessi al traffico illecito di rifiuti.  La parola ecomafia tende quindi potenzialmente a dispiegarsi verso una “qualsiasi forma di realizzazione di un crimine ambientale da parte delle organizzazioni criminali”. Come è stato già osservato, sorge un problema di identificazione/qualificazione penalistica delle condotte all’interno di questo grande “contenitore”, giacché i comportamenti che la criminalità organizzata può assumere, non sempre sono esattamente identificabili.

Perché il bacino del Mediterraneo come area geografica oggetto di esame?

Il Mar Mediterraneo, oltre a fungere da importante luogo di incontro e di scambio culturale tra diverse comunità, è storicamente crocevia dei flussi commerciali che ivi confluiscono e si dipartono verso il continente europeo, africano e asiatico. Tuttavia, nel tempo, questa zona è diventata un’area prolifica per le organizzazioni criminali che vi hanno incrementato le proprie economie illecite e accresciuto i profitti derivanti da queste ultime. Tra queste, nel corso degli ultimi decenni, si sono sviluppare le cosìdette. “ecomafie”, che incidono sull’ambiente. Con riferimento, in particolare, al traffico illecito di rifiuti, tale attività in Italia si è manifestata prevalentemente mediante la spedizione, il traffico e l’abbandono dei rifiuti, sotterrati in specifiche aree del continente africano o smaltiti nelle profondità del  Mar Mediterraneo.

  1. PROFILO DESCRITTIVO: LA NOZIONE DI “ECOMAFIA” E LE CARATTERISTICHE DEL FENOMENO DELLE “ECOMAFIE” NEL SETTORE DEI RIFIUTI.

Il collegamento tra ecomafia e trasporto illegale di rifiuti non è un richiamo occasionale o artificioso, perché il termine ecomafia, che si riferisce in generale a quelle associazioni criminali dedite alla commissione di illeciti perpetrati ai danni dell’ambiente riguarda principalmente il traffico di rifiuti e lo smaltimento illecito di essi; si tratta di un fenomeno criminale che può assumere portata transnazionale, di estensione globale. Sembra opportuno, in primo luogo, verificare se il significato del termine ecomafia abbia una ricaduta pratica sugli strumenti normativi di contrasto al fenomeno predisposti sia al livello nazionale che internazionale, ossia se esso possa avere una corrispondenza con le condotte che ad entrambi i livelli normativi vengono punite.

Il termine “ecomafia” fu coniato per la prima volta nel 1997 dall’Associazione Italiana Legambiente in occasione della pubblicazione del primo Rapporto annuale sulle Ecomafie e tale espressione è oramai entrata a far parte del linguaggio comune e giornalistico. Si tratta di un fenomeno di portata molto estesa; secondo il rapporto Ecomafia del 2015 di Legambiente, infatti, solo nel 2014 sono stati circa 29.293 i reati accertati in questo settore, per un giro d’affari pari a 22 miliardi di euro. In via generale, il fenomeno è riconducibile a quello delle associazioni criminali, quindi non necessariamente di stampo mafioso, che si dedicano o sono coinvolte nella commissione degli illeciti ambientali riguardanti, in particolare, la gestione, il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti.

La duplice accezione del termine “ecomafia” evoca sostanzialmente due distinti fenomeni: 1) la realizzazione in forma sistematica di illeciti ambientali da parte di organizzazioni criminali con conseguente creazione di un sistema illegale di sfruttamento e di trasformazione dell’ambiente, ; 2) Lo svolgimento di attività economiche lecite caratterizzate da un certo livello di compenetrazione con le organizzazioni criminali (sviluppo di sinergie tra imprese illecite e imprese lecite finalizzate a ridurre o ad abbattere i costi dello smaltimento lecito).

Rispetto agli strumenti normativi di contrasto, si pone un problema di tipizzazione delle condotte e di inquadramento di quelle che vengono di volta in volta in rilievo nello spettro applicativo delle fattispecie incriminatrici. Inoltre, la scarsa risposta sanzionatoria da parte delle istituzioni, favorisce la commissione dei suddetti reati. Lo smaltimento dei rifiuti costituisce solo la fase residuale della gestione di questi. In questo contesto, dovrebbe essere garantita una maggiore vigilanza rispetto alla gestione dei rifiuti, che deve essere effettuata in modo conforme alle prescrizioni di legge, in condizioni di sicurezza per l’ambiente e per la salute umana. I rifiuti da avviare allo smaltimento finale dovrebbero essere ridotti il più possibile, potenziando le attività di riutilizzo, riciclaggio e di recupero. Lo smaltimento dovrebbe inoltre essere effettuato attraverso impianti di smaltimento adeguati, che tengano conto delle tecnologie più avanzate a prevedano costi accessibili.

Le infiltrazioni della criminalità organizzata sono state riscontrate in ogni fase del ciclo di smaltimento dei rifiuti: dalla raccolta, anche attraverso il condizionamento degli appalti, al trasporto, allo stoccaggio e allo smaltimento abusivo. Si tratta di attività criminose che, manifestandosi sovente attraverso modalità organizzative tipiche delle associazioni a delinquere di stampo mafioso, si presentano oggi estremamente articolate. Nello specifico, il settore dei rifiuti è caratterizzato dalla presenza di una pluralità di figure specializzate, in un intreccio di ruoli e competenze, garantendo la solidità e la capillarità delle stesse organizzazioni criminali. La capillarità e la stratificazione del sistema vede una molteplicità di soggetti, imprenditori, produttori, trasportatori, tecnici di laboratorio, pubblici funzionari, figure intermediarie (società commerciali) e mediatori tra le varie componenti di questa filiera criminale che unisce tutte le fasi, dalla produzione allo smaltimento.. Sullo sfondo figura spesso una Pubblica Amministrazione “disattenta” nell’attività di rilascio delle autorizzazioni ambientali ed inefficiente nelle successive fasi di controllo.[2]

  1. PROFILO NORMATIVO: LA TUTELA DELL’AMBIENTE E IL CONTRASTO AL FENOMENO ECOMAFIOSO NELLA NORMATIVA NAZIONALE

LA NOZIONE DI TRAFFICO ILLECITO (ART.259 T.U.A)

Tra le principali condotte di riferimento, quando si parla di ecomafia, ve ne rientrano due: 1) il traffico illecito dei rifiuti e 2) l’attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti.[3]

Queste due fattispecie incriminatrici sembrerebbero fornire due diverse inquadrature del medesimo illecito. La prima forma sembrerebbe evocare il fenomeno descritto dalla Convenzione di Basilea (5 maggio 1992; mod. nel 2001 dall’OCSE) riguardante il controllo dei movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi e non pericolosi[4].La seconda forma, richiamerebbe la realizzazione illecita in forma organizzata. Tuttavia, si evidenzia che l’articolazione in queste due condotte non corrisponde all’effettiva fattispecie. Vi è un’ambiguità di fondo, una incongruenza terminologica tra le due fattispecie di illecito, frutto della distrazione del legislatore italiano nel denominare la prima fattispecie, la criminalità ecomafiosa, in quanto la nozione di traffico illecito di rifiuti non è identica nelle due norme; infatti, la condotta descritta nell’art. 259 del T.U.A (D.lgs. n. 152/2006) consiste nella spedizione illegale transnazionale di rifiuti ai sensi di quanto previsto nella normativa internazionale ed europea, mentre la condotta descritta nell’art. 452 quaterdecies c.p (prima art. 260 D.lgs. n. 152/2006) è il riflesso di una nozione più ampia che comprende sia il trasporto e la spedizione, che la gestione illecita dei rifiuti (… chiunque cede, riceve, trasporta, importa o comunque gestisce abusivamente …), al fine di profitto.

I regolamenti internazionali sulla tutela dell’ambiente hanno implementato il contenuto della Convenzione di Basilea del 1992 in materia di traffico illecito di rifiuti. Al riguardo, quando parliamo di traffico illecito di rifiuti (art. 259 TU AMB), il rinvio al Regolamento europeo del 1993 è stato sostituito da quello n. 1013/2006 che non contiene un’espressa definizione di traffico illecito, ma fa esclusivo riferimento alla spedizione illegale di rifiuti. Dunque, affermare che esista solo la spedizione illegale di rifiuti come condotta, significa compiere un rinvio improprio ad una definizione che non è più vigente.

Inoltre, questa norma (art. 259 TU AMB) pone numerosi problemi di incompatibilità con il principio della riserva di legge. Il rinvio al Regolamento europeo del 1993 è un rinvio fisso e non un rinvio mobile ad una fonte sovranazionale; figura anche un problema di applicazione della prassi, data la descrizione delle condotte comprese nel nuovo regolamento e quelle del vecchio regolamento.

Finalmente con l’entrata in vigore della legge n. 68/2015 si ebbe una svolta “quasi epocale” per il diritto penale dell’ambiente.Ciò consentì alla Magistratura di dotarsi di strumenti di indagine più ampi e adeguati, finalizzati ad arginare il fenomeno delle ecomafie, a cominciare dall’introduzione nel Codice penale dei delitti contro l’ambiente, cd. ecoreati,[5] fino a quel momento di natura prevalentemente contravvenzionale.

Tra i reati introdotti vi rientrano: inquinamento ambientale , disastro ambientale , traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, impedimento del controllo e omessa bonifica.[6]  Come anticipato, la riforma degli ecoreati senza dubbio determina un cambiamento radicale del diritto penale ambientale, in quanto agisce su più fronti: 1) introduce nel codice penale un autonomo titolo riguardante i delitti ambientali ; 2) prevede incriminazioni di danno e di pericolo concreto; 3) estende l’area applicativa di misure riparatorie e ripristinatorie; 4) modifica il regime di punibilità delle contravvenzioni ambientali.

Alberta Limblici

 

BIBLIOGRAFIA

  • BERNASCONI, M. GUERRA, Sub art. 260 d. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in Codice commentato dei reati e degli illeciti ambientali, a cura di F. GIUNTA, Padova, 2007;
  • G. DE SANTIS, Il delitto di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” (art. 260 D.Lgs. 152/2006), in www.carabinieri.it/editoria, 2008;
  • LEX AMBIENTE, Rivista trimestrale di diritto penale dell’ambiente, n. 1/2020, 2103;
  • M. PALMISANO, Il traffico illecito di rifiuti nel Mediterraneo: fenomenologie e strumenti di contrasto, in Diritto Penale Contemporaneo, Rivista trimestrale, n. 1/2018, pp. 93 e ss.;
  • C. PASQUALINI SALSA, Diritto Ambientale Principi, norme e giurisprudenza – 8 edizione 2005, Maggioli editore;
  • G. ROSSI, Diritto dell’ambiente, Giappichelli, 2017;
  • L. SIRACUSA, La Legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli “Ecodelitti”: una svolta “quasi” epocale” per il diritto penale dell’ambiente, in Dir. pen. cont., n. 2/2015.
  • Legambiente, Le nuove frontiere dell’ecomafia, 1997 pp.105ss.

SITOGRAFIA


[1] Inoltre, nella letteratura internazionale, si preferisce utilizzare l’espressione “criminalità ambientale” (incentrata sulla matrice degli illeciti commessi, più che sulla modalità “mafiosa” di realizzazione degli stessi).

[2] M. PALMISANO, Il traffico illecito di rifiuti nel Mediterraneo: fenomenologie e strumenti di contrasto, in Dir. pen. cont., riv. trim., n. 1/2018, pp. 93 e ss.

[3] Una fattispecie ritenuta, a ragione, capace di contrastare il fenomeno criminale abbozzato in precedenza: si tratta del delitto di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, aggiunto, come art. 53-bis, dalla legge 23 marzo 2001 n. 93 all’elenco delle incriminazioni allora previste dal decreto Ronchi (d.lgs. n. 22 del 1997). Si trattava, infatti, della prima ipotesi delittuosa contro l’ambiente prevista nel nostro ordinamento. Per approfondimenti GIOVANNI DE SANTIS http://www.carabinieri.it/editoria/rassegna-dell-arma/la-rassegna/anno-2008/n-3—luglio-settembre/studi/il-delitto-di-attivit%C3%A0-organizzate-per-il-traffico-illecito-di-rifiuti-(art-260-d-lgs-152-2006).

[4] DEFINIZIONE DI TRAFFICO ILLECITO (art. 9): spedizione transfrontaliera di rifiuti eseguita senza il rispetto delle procedure di notifica agli Stati interessati, senza il consenso di questi, o con consenso ottenuto mediante falsificazione o con falsa dichiarazione; con modalità tale da comportare uno smaltimento non conforme alle disposizioni della Convenzione.

[5] C. Cass. RelIIi, 2015 L.68/2015.

[6] L. SIRACUSA, La Legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli “Ecodelitti”: una svolta “quasi” epocale” per il diritto penale dell’ambiente, in Dir. pen. cont., n. 2/2015.

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