Il 10 marzo scorso in Libia la Camera dei Rappresentanti ha votato a favore del nuovo Governo di unità nazionale (Gun), il primo esecutivo legittimato da un voto parlamentare dopo sette anni. Si tratta di un governo di transizione, nato con lo scopo di traghettare il Paese verso le elezioni presidenziali e parlamentari fissate per il 24 dicembre 2021. Il voto ed il successivo giuramento sono stati accompagnati da una grandissima enfasi per quella che viene considerata una svolta storica, un importantissimo primo passo nel difficoltoso percorso verso la riconciliazione nazionale. Ed in effetti, dopo otto anni di guerra civile e le relative gravissime implicazioni umanitarie ed economiche, è difficile non guardare alla formazione del nuovo esecutivo con speranza ed ottimismo. Tuttavia, la complessità che caratterizza il quadro libico presenterà presto al nuovo Governo difficoltà di non facile risoluzione, legate da un lato alla permanenza delle note potenze straniere sul territorio, dall’altro al modo stesso in cui l’esecutivo è stato formato e alle dinamiche che si ritrovano al suo interno.
Il presente articolo si propone di ripercorrere le tappe della formazione del nuovo Governo mettendo in evidenza la complessità di alcune delle più urgenti sfide, prima fra tutte la permanenza delle forze straniere sul campo. Si tenterà infine di approfondire brevemente le prospettive di cooperazione con l’Italia soprattutto alla luce della crescente influenza della Turchia.
- Come si è formato il nuovo Governo
Iniziato nei primi mesi del 2020, l’intervento militare della Turchia sul suolo libico a fianco dell’esercito libico del Governo di Accordo Nazionale (GNA) ha cambiato gli equilibri del conflitto interrompendo di fatto l’avanzata dell’autoproclamato Esercito Nazionale Libico di Khalifa Haftar verso Tripoli. Lo stallo sul campo militare ha creato le condizioni per l’avvio delle negoziazioni condotte in seno al Forum di Dialogo Politico Libico (LPDF) promosso dalla Missione di supporto dell’ONU in Libia (UNSMIL) e istituito lo scorso gennaio. Il Forum, i cui 75 membri sono stati scelti come rappresentanti delle varie correnti politiche e delle appartenenze etniche e tribali presenti sul territorio, ha eletto come primo ministro del nuovo esecutivo Abdul Hamid Dbeibah, ricco uomo d’affari di Misurata che ha guidato per vent’anni sotto Gheddafi la importante società nazionale di costruzioni Libyan Investment and Development Company, e i tre membri del Consiglio Presidenziale guidato da Mohammad Younes Menfi di Tobruk, ex membro del Congresso Generale Nazionale ed ex ambasciatore libico in Grecia.
L’esecutivo provvisorio è stato votato dalla Camera dei Rappresentanti con una solida maggioranza di 121 voti a favore su 178. Tuttavia, vi sono delle questioni irrisolte che è importante considerare poiché potrebbero influenzare il corso degli eventi.
Innanzitutto la Camera dei Rappresentanti non ha ratificato parte della roadmap deliberata dall’ LPDF la quale definisce le tappe del percorso che il Governo ad interim dovrebbe seguire fino alle elezioni di dicembre. Secondo alcuni analisti[i] vi è il rischio che chi si ritrova attualmente al potere, comprese le fazioni che hanno votato per i candidati prescelti, vogliano prolungare l’esperienza del Governo provvisorio per soddisfare i propri interessi approfittando delle posizioni acquisite. Fazioni che, tra l’altro, si presume chiederanno presto il conto del loro sostegno al Governo: l’assenza infatti di una comune visione politica che unisca le personalità scelte per il nuovo Governo rende prevedibile che queste dovranno in qualche modo rispondere alle disparate fazioni cui hanno chiesto supporto elettorale.
Un ulteriore elemento controverso è dato dalla marginalità di Haftar nel nuovo Governo e nel consiglio presidenziale, osservando infatti i profili delle personalità scelte per tali organi[ii] si può notare come queste o abbiano ricoperto cariche nel vecchio esecutivo guidato da al-Serraj come nel caso di M. al-Koni, o ne abbiano preso in qualche modo le parti[iii]; il “signore della Cirenaica” sembrerebbe quindi molto poco rappresentato nel processo politico in corso, nonostante controlli col fondamentale supporto dei mercenari russi del gruppo Wagner una parte molto grande del territorio libico[iv].
Infine, a gettare un’ulteriore ombra sul processo politico in corso, un report dell’ONU che parlerebbe di tentativi di corruzione finalizzati all’ottenimento di voti a favore di uno dei candidati a primo ministro[v]. L’agenzia di stampa francese Agence-France Presse (AFP) avrebbe rivelato[vi] che le accuse riguardano Dbeibah, un segnale che la Francia non condivide l’esito delle votazioni del LPDF?
- Il problema delle forze straniere presenti sul campo
A partire dal 2011, gli anni di instabilità e guerra civile hanno creato le condizioni per la presenza sul territorio libico di una miriade di gruppi armati e foreign fighters che sono stati parte integrante del conflitto e adessono rappresentano una minaccia per il processo politico in corso. Alle milizie locali si aggiungono le milizie e i mercenari stategicamente usati dalle due principali potenze straniere (anche se non le sole) presenti sul campo, la Turchia e la Russia.
Com’è noto la Russia è stata uno dei principali “supporter” internazionali di Khalifa Haftar, a cui ha fornito sostegno in termini di forze (para)militari, armi, supporto finanziario. Il sostegno ad Haftar ha rappresentato l’opzione migliore per la Russia di Putin non solo per la tutela dei suoi interessi economici (legati principalmente al petrolio e alla vendita di armi) ma anche per porsi come alternativa agli Stati Uniti in un’ottica anti-NATO e per mantere la propria presenza militare nel Mediterraneo affermando la propria influenza nell’area.
Dall’altro lato c’è la Turchia il cui livello di engagement nel Paese non ha precedenti in tempi recenti. Come sappiamo, l’accordo di cooperazione militare stipulato nel dicembre 2019 con Fayez al-Sarraj, Primo ministro del GNA, e il conseguente ingresso militare turco nel conflitto hanno permesso alle forze di al-Sarraj di bloccare l’avanzata del Libian National Army (LNA) di Haftar. Alla fine del 2020 il parlamento turco ha approvato l’estensione della permanenza in Libia per altri 18 mesi.
A seguito dello stallo, l’accordo raggiunto dalle parti ad ottobre sul cessate il fuoco prevedeva il ritiro di tutte le milizie e i gruppi armati non libici entro il gennaio successivo. Si tratta tuttavia di una condizione rimasta inosservata; in Tripolitania nonostanto un primo gruppo di mercenari siriani assoldati dalla Turchia sia stato fatto rientrare[vii], i militari turchi continuano a controllare la base aerea di Watiya e quella navale di Misurata mentre i mercenari russi della compagnia Wagner rimangono a Sirte sostenuti da aerei di combattimento inviati da Mosca.
La smobilitazione di tutte le milizie non regolari ed estere è uno dei problemi più urgenti che il Governo provvisorio deve affrontare soprattutto in vista della riunificazione dell’esercito nazionale. A tal proposito il primo ministro Debeibah ha usato parole forti davanti al parlamento in occasione del suo insediamento: “I mercenari sono una pugnalata alle spalle del nostro Paese e devono andarsene (…) la nostra sovranità è violata dalla loro presenza” e il 17 aprile il Cosiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione[viii] sul monitoraggio del cessate il fuoco e il ritiro delle forze straniere. Ciononostante, bisogna vedere se il comitato militare 5+5 formato da rappresentanti scelti dal GNA e dall’ LNA sarà in grado di trovare un accordo per il ritiro; malgrado la dichiarazione di Dbeibah i miliziani turchi rappresentano un deterrente contro eventuali offensive al Governo per cui è evidente che il primo ministro non sia propenso a vederli lasciare il campo se anche le altre milizie non vengono smobilitate.
- Gli interessi italiani e la visita di Mario Draghi
Se la stabilizzazione politica della Libia è strategica per tutti quei Paesi che hanno interessi nel Mediterraneo, per l’Italia lo è ancora di più, non solo per motivi economici energetici, storici e di sicurezza nazionale ma anche per la gestione dei flussi migratori provenienti dall’Africa.
Il 6 aprile il Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi è volato in Libia per la sua prima visita ufficiale ad un Governo estero, chiaro segno della volontà italiana di tutelare i suoi interessi e recuperare la sua influenza nel Paese. La Libia è attualmente oggetto della competizione tra i governi esteri, tutti ansiosi di contribuire alla ricostruzione della nazione ed avere così la possibilità di ottenere concessioni energetiche e commesse industriali, accrescendo anche la propria influenza politica.
Al centro dell’incontro tra Dbeibah e Draghi vi è stata la cooperazione economica ed infrastrutturale in campo energetico, sanitario e culturale. L’Italia dovrebbe in particolare contribuire alla ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli da affidare al consorzio italiano AENEAS e alla costruzione della importante “autostrada della pace”[ix] che attraverserà il Paese collegando i confini tunisino ed egiziano.
In ambito energetico, emblematico della volontà dell’Italia di continuare a giocare un ruolo da protagonista in questo campo, è stato l’incontro tra il primo ministro Dbeibah e il suo ministro del petrolio Muhammad Aoun con il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio e l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi. Eni continua a rappresentare il principale produttore di gas in Libia ed il principale fornitore del suo mercato e vuole continuare a ricoprire questo ruolo anche in virtù delle previsioni sull’incremento della domanda di elettricità nel Paese libico. Tuttavia, gli anni di conflitto hanno aperto la strada ad una competizione più aggressiva da parte di Russia, Francia e Turchia. In particolare, quest’ultima ha evidentemente intenzione di capitalizzare anche in questo ambito il suo appoggio militare nei confronti del GNA e i suoi legami col corrente Governo. La società petrolifera nazionale turca TPAO starebbe conducendo già da giugno scorso prospezioni petrolifere nella zona economica esclusiva libica grazie a concessioni ottenute dal GNA.
L’influenza turca potrebbe realisticamente estendersi anche alla gestione dei flussi migratori. Le motovedette fornite negli ultimi anni dall’Italia alla guardia costiera libica vengono attualmente usate da istruttori turchi che la addestrano al pattugliamento dell’area di ricerca e soccorso senza che il Governo italiano abbia controllo alcuno sulla loro operatività. Per L’Italia e l’Unione Europea cresce quindi il rischio che la Turchia possa esercitare un controllo sui flussi migratori dal nord Africa e utilizzarli come arma di ricatto, come del resto è successo nel marzo dello scorso anno alla frontiera sud-orientale dell’UE.
Proprio sul fronte immigrazione, hanno comprensibilmente destato scalpore le parole pronunciate da Draghi durante la conferenza stampa della sua visita in Libia con le quali egli ha espresso soddisfazione per ciò che la Libia fa nei salvataggi. Dal 2017, anno in cui è stato ripristinato il trattato di amicizia con Tripoli del 2008, l’Italia finanzia la guardia costiera libica come parte della sua strategia per fronteggiare l’immigrazione dal continente africano. Tali finanziamenti vengono rinnovati ogni anno dal parlamento italiano e le stime parlano ci circa 785 milioni di euro[x] erogati dal 2017 ad oggi, con l’ultimo rifinanziamento avvenuto a luglio del 2020. Stupisce, per usare un eufemismo, che non esista un meccanismo efficace di monitoraggio dei fondi versati e soprattutto che le abbondantemente documentate atroci violenze e torture che avvengono da anni nei centri di detenzione libici non abbiano ad oggi stimolato un cambio di strategia da parte dell’Italia il cui parlamento dovrebbe votare a breve il rifinanziamento delle missioni anche per quest’anno. Si registra con desolazione che alla proposta di modifica del memorandum d’intesa relativo all’accordo con la Libia annunciata dal ministro degli Esteri Di Maio a giugno dello scorso anno, una modifica resasi necessaria nelle parole del ministro per rafforzare la tutela dei diritti umani, non è seguito nessun ulteriore annuncio o comunicazione.
Sara Pola
Fonti
[i] https://www.libyaherald.com/2021/03/23/op-ed-no-to-aborting-the-political-process-and-wasting-the-lpdf-roadmap-compass/
[ii] https://www.aa.com.tr/en/africa/profile-of-libyas-new-executive-authority-heads/2135683
[iii] Ibid.
[iv] https://libya.liveuamap.com/
[v] https://english.alaraby.co.uk/english/news/2021/3/16/un-report-confirms-attempted-bribes-at-libya-talks
[vi] Ibid.
[vii] https://formiche.net/2021/04/turchia-libia-dabaiba/
[viii] https://news.un.org/en/story/2021/04/1089992
[ix] Il progetto dell’autostrada risale all’accordo firmato nel 2008 da Berlusconi, allora Presidente del Consiglio italiano e Gheddafi.
[x] https://www.oxfamitalia.org/accordo-italia-libia-4-anniversario/