- Introduzione
Negli ultimi giorni l’attenzione mediatica si è concentrata su una vicenda che lascia basiti: le intercettazioni di giornalisti nell’ambito delle indagini sulle ONG. Di seguito si analizza la vicenda, ripercorrendo anche gli avvenimenti che accompagnarono la disposizione dell’inchiesta nel 2016-2017.
- Gli accordi con la Libia e le indagini sulle ONG
Per riuscire ad avere una maggiore comprensione dell’episodio che si sta per analizzare, è necessario fornire un contesto al periodo in cui i fatti sono avvenuti.
I dati riportano che nel 2017 ci fu una sensibile riduzione del numero di sbarchi su suolo italico: fra luglio e agosto del 2017 erano sbarcati in Italia via mare circa 15mila migranti, mentre nello stesso periodo del 2016 il numero di migranti era di 45mila, perciò il triplo[1]. L’allora Ministro degli Interni Minniti attribuì il risultato all’operato del Governo italiano che aveva potenziato la Guardia costiera, stretto accordi con i sindaci delle città libiche coinvolte nel traffico di migranti e spinto affinché i paesi al sud della Libia aumentassero i propri controlli alle frontiere.
Apparentemente, i dati che testimoniano questo calo negli sbarchi potrebbero essere interpretati come positivi, e sicuramente dal punto di vista della loro spendibilità in campagna elettorale lo erano. Tuttavia, nello stesso periodo l’Italia fu fortemente criticata a livello internazionale per i mezzi tramite cui avrebbe ottenuto questo risultato. Un’inchiesta pubblicata da Associated Press trattò di un presunto accordo fra il governo italiano e delle potenti milizie libiche che, fino a poco prima, erano coinvolte nello stesso traffico che si cercava di contrastare[2]. Le due milizie di cui parlava l’inchiesta erano la “Martire Abu Anas al Dabbashi” e la “Brigata 48”, che, insieme alle altre milizie libiche, controllavano anche i centri di detenzione per migranti. Forse sarà necessario ricordarlo: in questi centri di detenzione, come è stato ampiamente documentato, i diritti umani vengono continuamente violati[3]. Il Governo italiano negò ogni coinvolgimento, nonostante la presenza di diversi soggetti che testimoniavano il contenuto del report.
Anche giornali di un certo calibro non avevano risparmiato le critiche nei confronti della strategia italiana. Gli editorialisti del New York Times accusarono l’Italia di aver pagato i trafficanti o le milizie per interrompere il traffico stesso, con il rischio che i soldi devoluti finissero nelle mani sbagliate, alimentando le violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione e perseguendo obiettivi politici, economici e militari che nulla avevano a che fare con il traffico di esseri umani[4]. Simili critiche, accompagnate da ipotesi di conseguenze prospettabili, giunsero dal Washington Post e dal Financial Times[5].
Le accuse, svelando ciò che si celava dietro agli incredibili risultati italiani, potrebbero esser state percepite come scomode. Di certo lo erano anche le testimonianze delle condizioni inumane in cui versavano i rifugiati detenuti in Libia. Di questo trattava già al tempo la giornalista Nancy Porsia, nome che verrà ripreso più avanti nel testo, ma che è giusto menzionare ora per inquadrare il ruolo delle sue attività d’inchiesta[6].
Nel frattempo, sempre nel 2017, si apriva un’indagine che ipotizzava il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in rapporto alle attività di search and rescue nel Mediterraneo fra il 2016 e il 2017. L’inchiesta coinvolgeva la motonave “Iuventa” della ONG tedesca “Jugend Rettet”, la “Vos Prudence” di Save the Children e la “Vos Hestia” di Medici Senza Frontiere[7]. Le indagini si concentrarono su tre episodi in particolare per i quali si contestava ai membri dell’equipaggio di non aver prestato soccorso ai migranti, ma di averli, invece, presi a bordo lasciando che i trafficanti libici potessero poi rientrare in Libia. Ad inizio marzo, la Procura di Trapani ha notificato l’avviso di chiusura delle indagini a 21 persone, passibili di successivo rinvio a giudizio[8].
L’inchiesta della Procura di Trapani nacque dalle informazioni di alcuni investigatori che, sotto copertura, avevano lavorato sulle navi in questione. Tuttavia, ad onor del vero, è corretto precisare che le vicende che portarono all’apertura della suddetta indagine sono ad oggi ancora dibattute. Si parla di ex poliziotti cacciati dal corpo, ufficiali della Guardia costiera collegati all’ambito della sicurezza privata e di rapporti che venivano inviati dalla Sicilia alle segreterie dei partiti[9]. Ad ogni modo, dai documenti depositati dalla Procura alla chiusura delle indagini, è emersa una vicenda inaccettabile su cui concentrare l’attenzione.
- Le intercettazioni
In seguito al deposito dei documenti, è emerso che diversi giornalisti sono stati intercettati nel corso delle indagini. Le pagine di intercettazioni, trascritte e depositate contengono, tra l’altro, nomi di fonti e contatti, i quali sono tutelati dalla normativa nazionale. I giornalisti in questione si erano occupati del tema degli sbarchi o delle vicende relative alla situazione libica, ma nessuno di loro era indagato nel caso delle ONG.
Alcuni sono stati oggetto di intercettazione indiretta mentre parlavano con rappresentanti delle ONG. Rapporto, tra l’altro, normale per i giornalisti che si occupano dei flussi migratori e che spesso e volentieri trovano proprio nelle organizzazioni le loro fonti. Tra questi, Claudia Di Pasquale di Report, Fausto Biloslavo de Il Giornale, Antonio Massari del Fatto Quotidiano, Nello Scavo di Avvenire e Francesca Mannocchi de L’Espresso[10]. Tuttavia, il caso che desta più preoccupazione è quello della già citata giornalista free-lance Nancy Porsia. Porsia è stata direttamente intercettata, pur non essendo indagata, per ben sei mesi, durante i quali sono state ascoltate, non solo le sue telefonate personali nonché quelle con le proprie fonti, ma anche le telefonate con il suo avvocato Alessandra Ballerini, alla quale confidava il timore per le minacce ricevute dalle milizie libiche capeggiate dal trafficante Bija, capo della Guardia costiera di Zawiya[11]. Come emerge dal contenuto del dossier di Porsia, le informazioni raccolte e lì riportate nulla hanno a che vedere con l’oggetto delle indagini della procura di Trapani.
A seguito di questa vicenda, il segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Raffaele Lo Russo, ha dichiarato che le intercettazioni ai danni dei giornalisti sono un fatto «Inquietante e molto grave», ipotizzando addirittura un’intenzionalità dietro la vicenda: «Non vorrei che questa operazione fosse nata per individuare le fonti di questi colleghi»[12].
Nancy Porsia nel frattempo ha commentato la vicenda, ospite a Propaganda il 9 aprile[13]. La giornalista ricorda che, applicando lo strumento delle intercettazioni, si è derogato non solamente al suo diritto alla privacy, ma anche al suo diritto, in qualità di giornalista, alla tutela delle fonti.
Le fonti dei giornalisti, in base all’articolo 2 della legge n. 69/1963, sono “garantite”[14]. Anzi, la violazione della regola deontologica del segreto sulla fonte comporta una responsabilità disciplinare[15] stabilita dall’articolo 48 sempre della legge n. 69/1963. Il rispetto del segreto delle fonti non è assoluto, in quanto l’articolo 200 del Codice di procedura penale prevede che, quando il giornalista si trovi a deporre davanti al giudice, egli possa opporre il segreto professionale sui nomi delle sue fonti, ma, ove l’informazione risulti indispensabile ai fini della prova del reato per cui si procede e se l’identificazione della fonte è l’unico modo per accertare la veridicità della notizia, il giudice può ordinare al giornalista di rivelare la fonte[16]. I casi in cui il segreto professionale può essere rimosso sono, dunque, estremamente limitati e, nel caso di specie, non sembra che le condizioni necessarie affinché questo si verifichi fossero presenti.
A tutelare la segretezza delle fonti dalle intercettazioni non è solo la normativa italiana che Porsia menziona durante l’intervista, ma anche quella internazionale[17], come stabilito, ad esempio, dalla Corte Europea dei Diritti Umani nel recentissimo caso Sedletska v. Ukraine[18]. La Corte di Strasburgo ha stabilito che la protezione delle fonti è fondamentale per la libertà di stampa in quanto, senza un’adeguata ed effettiva tutela, i giornalisti potrebbero astenersi dal divulgare notizie di interesse generale, compromettendo così il loro fondamentale ruolo all’interno della società. Per questa ragione, l’intercettazione telefonica di un giornalista violerebbe l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che prevede il diritto alla libertà di espressione e che tutela la libertà di stampa[19].
Ad ogni modo, sebbene Porsia fosse già stata sentita come persona informata sui fatti, questo non sarebbe bastato, spingendo le autorità ad intercettarla. Inoltre, l’attività degli inquirenti che la riguardava non si limitava alle intercettazioni delle sue conversazioni telefoniche, ma si estendeva anche al c.d. positioning, ovvero al pedinamento elettronico[20]. Il tutto, dice Porsia durante l’intervista, senza che neanche una riga delle conversazioni trascritte e intercettate siano finite nell’informativa su cui verrà poi istruito il processo. Evidentemente, per l’irrilevanza del contenuto delle intercettazioni ai fini dello stesso processo contro le ONG.
- Le domane senza risposta
A seguito delle suddette vicende, ci si chiede il perché dietro a queste intercettazioni. La giornalista maggiormente colpita dalla vicenda, trova una spiegazione che, come lei stessa afferma, è puramente speculativa, ma che, se dovesse rivelarsi veritiera, incrementerebbe ulteriormente la già profonda gravità della vicenda. Porsia, nel 2016, avrebbe fatto un’inchiesta sul coinvolgimento di alcuni ufficiali libici della Guardia costiera nel traffico di esseri umani nel Mediterraneo. Dopo la pubblicazione dell’inchiesta, alla giornalista sarebbe stato negato il visto per la Libia, costringendola a lasciare il Paese all’inizio del 2017 e a non farvi più ritorno. La suddetta inchiesta avrebbe, però, infastidito non soltanto le autorità libiche, ma anche quelle italiane, rappresentando una pubblicità negativa per la campagna politica dell’allora Ministro dell’Interno che stava cercando di sdoganare e legittimare l’accordo di cooperazione fra i due paesi, come visto poc’anzi.
Minniti, al contrario, si è detto completamente estraneo alle vicende, in quanto, l’informativa contenente le linee guida delle prossime inchieste destinata al Ministro, risalirebbe al periodo in cui questi non si era ancora insediato[21].
In risposta, Porsia afferma che l’inchiesta, però, sia partita successivamente al suo insediamento, in particolare le intercettazioni nei confronti di questa che sarebbero cominciate a luglio 2017. Pare, dunque, difficile che il Ministro non ne fosse a conoscenza.
Nel frattempo, il Ministero della Giustizia ha comunicato in una nota di avere aperto formalmente un fascicolo sull’inchiesta della Procura di Trapani[22]. La Ministra Cartabia ha, inoltre, dato mandato all’Ispettorato generale di svolgere degli accertamenti preliminari in merito[23].
Di certo sarà una vicenda su cui si tornerà con, si spera, le opportune informazioni che consentano la doverosa difesa dei valori dello stato democratico.
A cura di Laura Rusconi
[1]Il Post, “Il losco accordo dell’Italia sui migranti”, 27 settembre 2017, disponibile online.
[2]Il Post, “L’Italia ha fatto un accordo con i trafficanti di migranti?”, 30 agosto 2017, disponibile online.
[3]UNICEF – Child Alert, “A Deadly Journey for Children. The Central Mediterranean Migration Route”, UNICEF/UN052613/ROMENZI, febbraio 2017.
[4]The New York Times, “Italy’s Dodgy Deal on Migrants”, 25 settembre 2017, disponibile online.
[5]Il Post, “Il losco accordo dell’Italia sui migranti” cit.
[6]Open Migration, “Quattro domande cruciali sulla Libia a Nancy Porsia”, 11 agosto 2017, disponibile online.
[7]F. Albanese, “Migranti: non solo l’inchiesta sulla Mare Jonio, verso il processo altre tre Ong” in La Stampa, 3 marzo 2021, disponibile online.
[8]Sky TG24, “Migranti: chiusa inchiesta su tre ong, 21 indagati a Trapani”, 3 marzo 2021, disponibile online.
[9]A. Palladino, “Due ex poliziotti fan di Salvini e Meloni dietro l’inchiesta contro le Ong” in Domani, 2 aprile 2021, disponibile online.
[10]Il Fatto Quotidiano, “Intercettati giornalisti che scrivono di Libia e migranti: conversazioni, foto e fonti nelle carte dell’inchiesta di Trapani sulle ong”, 2 aprile 2021, disponibile online.
[11]A. Palladino, “Nell’inchiesta sulle ong intercettati anche giornalisti mai indagati” in Domani, 3 aprile 2021, disponibile anche online.
[12]G. Isola, “Il caso. Spionaggio contro i giornalisti” in Avvenire, 2 aprile 2021, disponibile online.
[13]L’interrvista è disponibile online su: https://www.la7.it/propagandalive/podcast/lintervista-a-nancy-porsia-puntata-del-942021-10-04-2021-374589, visitato il 13 aprile 2021.
[14]Legge 3 febbraio 1963, n. 69 “Ordinamento della professione di giornalista”, Articolo 2 (Diritti e doveri): “(…) Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse (…)”, GU, Serie Generale n.49 del 20-02-1963.
[15]Legge 3 febbraio 1963, n. 69 cit., Articolo 48 (Procedimento disciplinare): “Gli iscritti nell’albo, negli elenchi o nel registro, che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionali, o di fatti che compromettano la propria reputazione o la dignità dell’Ordine, sono sottoposti a procedimento disciplinare. (…)”.
[16]Codice di procedura penale (D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477), Articolo 200 (Segreto professionale): “(3) Le disposizioni previste dai commi 1 e 2 si applicano ai giornalisti professionisti iscritti nell’albo professionale, relativamente ai nomi delle persone dalle quali i medesimi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione. Tuttavia se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’identificazione della fonte della notizia, il giudice ordina al giornalista di indicare la fonte delle sue informazioni.”.
[17]M. Castellaneta, “Segretezza delle fonti: la Corte europea blocca le intercettazioni a danno dei giornalisti”, 6 aprile 2021 su: http://www.marinacastellaneta.it/blog/segretezza-delle-fonti-la-corte-europea-blocca-le-intercettazioni-a-danno-dei-giornalisti.html.
[18]Corte EDU, Sedletska v. Ukraine, Application no. 42634/18, 1 aprile 2021.
[19]Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), 4 novembre 1950, Articolo 10 (Libertà di espressione): “(1) Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive. (2) L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario.”.
[20]G. Croce, “G.p.s.: il c.d. pedinamento elettronico” su: https://www.diritto.it/g-p-s-il-c-d-pedinamento-elettronico/, visitato il 13 aprile 2021.
[21]P. Griseri, “Marco Minniti: ‘Mai criminalizzato le Ong e non ho mai chiuso un porto’. L’ex ministro dell’Interno nega di avere un ruolo nell’inchiesta con intercettazioni sui giornalisti” in La Stampa, 7 aprile 2021.
[22]G. Merli, “Cartabia manda gli ispettori a Trapani. Fnsi: ‘Adesso interventi legislativi’” in Il manifesto, 6 aprile 2021, disponibile anche online.
[23]La Repubblica, “Giustizia, caso intercettazioni: la ministra Cartabia invia gli ispettori a Trapani”, 6 aprile 2021, disponibile online.
SITOGRAFIA:
- Albanese F., “Migranti: non solo l’inchiesta sulla Mare Jonio, verso il processo altre tre Ong” in La Stampa, 3 marzo 2021;
- Castellaneta M., “Segretezza delle fonti: la Corte europea blocca le intercettazioni a danno dei giornalisti”, 6 aprile 2021 su: http://www.marinacastellaneta.it/blog/segretezza-delle-fonti-la-corte-europea-blocca-le-intercettazioni-a-danno-dei-giornalisti.html;
- Croce G., “p.s.: il c.d. pedinamento elettronico” su: https://www.diritto.it/g-p-s-il-c-d-pedinamento-elettronico/, visitato il 13 aprile 2021;
- Griseri P., “Marco Minniti: ‘Mai criminalizzato le Ong e non ho mai chiuso un porto’. L’ex ministro dell’Interno nega di avere un ruolo nell’inchiesta con intercettazioni sui giornalisti” in La Stampa, 7 aprile 2021;
- Il Fatto Quotidiano, “Intercettati giornalisti che scrivono di Libia e migranti: conversazioni, foto e fonti nelle carte dell’inchiesta di Trapani sulle ong”, 2 aprile 2021;
- Il Post, “Il losco accordo dell’Italia sui migranti”, 27 settembre 2017;
- Il Post, “L’Italia ha fatto un accordo con i trafficanti di migranti?”, 30 agosto 2017;
- Isola G., “Il caso. Spionaggio contro i giornalisti” in Avvenire, 2 aprile 2021;
- Merli G., “Cartabia manda gli ispettori a Trapani. Fnsi: ‘Adesso interventi legislativi’” in Il manifesto, 6 aprile 2021;
- Open Migration, “Quattro domande cruciali sulla Libia a Nancy Porsia”, 11 agosto 2017;
- Palladino A., “Due ex poliziotti fan di Salvini e Meloni dietro l’inchiesta contro le Ong” in Domani, 2 aprile 2021;
- Palladino A., “Nell’inchiesta sulle ong intercettati anche giornalisti mai indagati” in Domani, 3 aprile 2021;
- Sky TG24, “Migranti: chiusa inchiesta su tre ong, 21 indagati a Trapani”, 3 marzo 2021;
- The New York Times, “Italy’s Dodgy Deal on Migrants”, 25 settembre 2017;
- UNICEF – Child Alert, “A Deadly Journey for Children. The Central Mediterranean Migration Route”, UNICEF/UN052613/ROMENZI, febbraio 2017;