Matteo Renzi ritira la delegazione dei ministri di Italia Viva del governo Conte bis. Si apre una crisi politica dagli esiti assai incerti. Intanto il presidente Conte si è recato al Quirinale non per rassegnare le dimissioni, ma per assumere l’interim del ministero delle politiche alimentari e forestali, rimasto senza un titolare dopo la rinuncia dell’esponente renziana, Teresa Bellanova. La legge n.400 del 1988 stabilisce, infatti, che sia il presidente della Repubblica a conferire al premier stesso o ad un ministro l’incarico di reggere ad interim un dicastero. Si tratta di una deroga alla regolare formazione del governo da utilizzare solo in casi di reale e provvisoria necessità, al fine di evitare la concentrazione di poteri nelle mani di un solo soggetto.
Conte ha anche manifestato al Capo dello Stato l’intenzione di promuovere un chiarimento mediante comunicazioni da rendere dinanzi alle Camere.
Va subito detto che fin quando il presidente del consiglio non rassegnerà le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica o non ci sarà un voto di sfiducia in Parlamento non si può discutere di una formale crisi governativa. La richiesta dei gruppi parlamentari è che Conte si presenti alle Camere per riferire in Parlamento. Lunedì alla Camera e martedì al Senato è previsto il dibattimento parlamentare e poi la ricerca dei voti “responsabili” per consentire all’esecutivo di rimanere in sella. Fu Romano Prodi nel 1998 a sfidare in aula il gruppo di rifondazione comunista che aveva ritirato l’appoggio esterno alla maggioranza. In quella circostanza il professore di Bologna venne sfiduciato per un solo voto.
Come da manuale la situazione odierna può essere ricondotta a una crisi di tipo extraparlamentare. Crisi che si verificano a seguito di una spaccatura dentro la maggioranza. Le alterazioni degli equilibri politici all’interno della coalizione di governo possono essere causate, per l’appunto, dal ritiro dell’appoggio di un partito facente parte della compagine.
In teoria tutte le possibili opzioni per la soluzione della crisi restano aperte.
Difficile, tuttavia, si prospetta la decisione di sciogliere le Camere e non perché siamo in piena emergenza sanitaria. La pandemia non ha di certo ostacolato le elezioni presidenziali americane e altri Paesi europei si accingono già nella prossima primavera ad andare al voto.
Piuttosto, un duplice ordine di ragioni sembra sbarrare la strada ad una fine prematura della legislatura. Appare improbabile, al di là dei proclami dei loro leaders, che i partiti siano disponibili ad andare subito al voto. A seguito della riforma costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, le elezioni comporterebbero, già nell’immediato, un drastico ridimensionamento della pattuglia di parlamentari che compone l’attuale assetto di Senato e Camera. E ciò vale anche per i parlamentari appartenenti alle forze politiche che, sondaggi alla mano, potrebbero vincere la prossima competizione elettorale.
Alle motivazioni di convenienza politica si aggiunge un ostacolo tecnico scritto a chiare lettere nella Costituzione italiana. Tra qualche mese inizia il semestre bianco che corrisponde agli ultimi sei mesi del mandato del Presidente della Repubblica. Durante questo periodo il Capo dello Stato non può procedere allo scioglimento delle Camere, “salvo che gli ultimi sei mesi non coincidano in tutto o in parte con gli ultimi mesi della legislatura”, recita l’art. 88 della Costituzione. Il settennato di Sergio Mattarella scade il 3 febbraio del 2022, motivo per cui i tempi per una eventuale fine della legislatura prima della sua naturale scadenza sono assai ristretti. Si dovrebbero celebrare le elezioni entro il prossimo luglio.
Rimangono sul campo gli scenari legati alla formazione di un nuovo Esecutivo. Un governo Conte ter senza Italia Viva che ottiene il sostegno dei c.d. responsabili, una riappacificazione tra Conte e Renzi, un Governo che rimane nel perimetro della stessa maggioranza ma con un nuovo premier, un Esecutivo istituzionale o di larghe intese con l’apporto di almeno una parte dell’opposizione, presumibilmente Forza Italia, secondo il modello Ursula. Una riedizione, cioè, dell’alleanza trasversale delle forze politiche (Pd, M5S, FI) che ha eletto la presidente della Commissione europea von der Leyen.
Nel 2013 il Governo guidato da Enrico Letta nacque proprio da una larga convergenza tra le forze politiche che gli assicurarono la maggioranza in entrambe le Camere. Dopo il fallimento di Pier Luigi Bersani di dar vita ad un accordo tra Pd e Movimento cinque stelle, l’esecutivo venne composto, sotto la guida del Presidente Napolitano, da esponenti provenienti anche dalle fila dell’opposizione.
Rispetto alle carte oggi sul tavolo, il Presidente Mattarella ha già fatto sapere che occorre una soluzione rapida della crisi per avere al più presto un Governo nella pienezza delle sue funzioni. Nei prossimi giorni bisognerà, infatti, votare lo scostamento di bilancio per fornire i ristori a tutte le categorie produttive devastate dall’emergenza sanitaria e mettere a punto le prossime misure per fronteggiare l’infezione dal Covid – 19.
Il Quirinale preferirebbe, comunque, evitare esecutivi nati con il sostegno di maggioranze raccogliticce. Diverso sarebbe se si formasse un nuovo gruppo parlamentare guidato dal Premier Conte e disponibile ad aderire al programma dell’attuale esecutivo.
Potrebbe anche profilarsi – a seguito di un cambio di passo della coalizione Pd -M5s, con una correzione profonda della linea politica che, ad esempio, dovrebbe accogliere l’adesione al Mes sanitario – una ricomposizione della frattura con Italia Viva. Soluzione che sembra visibilmente perdere quota nelle ultime ore, dopo le dichiarazioni di netta chiusura da parte di tutti i partners giallorossi rispetto a futuri accordi con il segretario di IV.
Uno spiraglio per superare lo stallo potrebbe avvenire ove la maggioranza si rendesse disponibile alla individuazione di una nuova personalità per l’incarico di presidente del consiglio.
Meno probabile, almeno per ora, la formazione di un Gabinetto istituzionale o di un Governo di salute pubblica guidato da una personalità autorevole, come l’ex Presidente della Banca centrale, Mario Draghi. Un esecutivo, cioè, che possa assumere una maggiore responsabilità nei confronti del Capo dello Stato, qualora la scelta dovesse essere particolarmente complessa e difficile in mancanza di indicazioni chiare da parte delle forze politiche presenti in Parlamento.
Tuttavia, una cosa è certa: le crisi devono essere trattate in Parlamento. Verso la fine degli anni 50 Giuseppe Maranini si espresse nel senso della incostituzionalità delle crisi extraparlamentari. E’ indispensabile ricondurre la crisi ministeriale all’interno della discussione parlamentare per evitare un progressivo esautoramento del ruolo delle Camere che si pone in aperto contrasto con le previsioni costituzionali.
L’unica crisi prevista in Costituzione ha origine dalla volontà espressa delle Assemblee di interrompere la relazione fiduciaria. Nella nostra democrazia parlamentare non è previsto l’istituto tedesco della sfiducia costruttiva che evita le crisi governative al buio, senza che sia pronta una alternativa sostenuta dalla necessaria maggioranza parlamentare. Eppure, il congegno della mozione di sfiducia, per verificare se il governo mantiene ancora il sostegno delle Camere, è stato pensato proprio al fine di dare stabilità al Governo e rendere alquanto difficoltosa l’approvazione di una mozione che costringe lo stesso alle dimissioni.
Inoltre, la “parlamentarizzazione” della crisi consente di chiarire davanti all’opinione pubblica le posizioni sulla crisi assunte da ognuna delle forze politiche rappresentate nelle Assemblee elettive.
Nella vicenda della crisi le Camere devono ritornare ad essere centrali per rendere trasparente il percorso con cui si arriverà a un nuovo governo o, in extrema ratio, a scivolare inesorabilmente verso il voto entro la primavera 2021.
Qualora lo stesso Conte darà vita ad un esecutivo, con dentro l’arcipelago dei responsabili (oggi riabilitati a salvatori della Patria, gli stessi che in altre epoche erano accusati di tradimento e trasformismo) e Italia Viva tra i banchi dell’opposizione, nascerà di fatto un esecutivo diverso retto da una nuova maggioranza.
Diversamente, se l’operazione non dovesse vedere la luce il premier dovrà dirigersi al Colle e rassegnare il mandato nelle mani del Capo dello Stato. A quel punto il pallino della crisi passerebbe al Presidente Mattarella cui la Costituzione assegna le prerogative per trovare la terapia migliore per uscire dalla crisi di governo, la prima nell’era della pandemia.
Prof.ssa Ida Angela Nicotra
Ordinario di Diritto Costituzionale all’università degli studi di Catania