Il dumping fiscale è una pratica usata in alcuni Stati, che consiste nello svolgere una concorrenza al ribasso di aliquote e della pressione fiscale da parte di uno Stato al fine di attrarre investitori esteri, per trarne guadagni sul fronte delle imposte dirette e sui loro consumi in loco.
Questa pratica, che ha una storia risalente nel tempo, è stata sviluppata, almeno inizialmente, solo in paesi che non facevano parte dell’UE, come le Isole Cayman con una corporate tax allo 0%.
Con il passare del tempo, questa concorrenza fiscale è stata, ampiamente, svolta all’ interno dell’ UE da parte di alcuni paesi: Lussemburgo, Irlanda, Paesi Bassi e, ormai ex Stato membro dell’ Unione, Regno Unito.
Si comprende questo deflusso di introiti fiscali da Stati con una fiscalità alta, verso Stati con un regime fiscale più generoso, analizzando come gli investimenti esteri facciano aumentare in modo esponenziale il PIL di questi paesi.
Il Lussemburgo riesce a produrre il 4.5% del PIL, incassando dalle imposte societarie, contro l’ “esiguo” 2% dell’ Italia.
L’ Irlanda, scelta da numerose società di grandi dimensioni, come Google o Amazon, come Stato nel quale impiantare la loro sede principale per il continente europeo produce il 2.7% del PIL da imposte societarie, perché riesce ad invogliare numerose società di capitali che producono alti profitti con una bassa corporate tax al 12.5%, contro la nostrana Imposta sul reddito delle società (IRES) con aliquota al 24%.
Roberto Rustichelli, Presidente dell’A.G.C.M., in occasione della presentazione del rapporto annuale dell’ A.G.C.M. in Parlamento tenutasi lo scorso luglio, ha dichiarato che “ il Dumping fiscale danneggia l’Italia e costa fino a 8 miliardi di dollari” e ha denunciato la condotta di alcuni Stati dell’ UE, definiti dal Presidente dell’ Antitrust, come dei paradisi fiscali che pongono in essere una concorrenza fiscale della quale i principali benefattori sono le multinazionali e i principali soggetti svantaggiati sono, invece, le imprese italiane che si trovano in una posizione di svantaggio competitivo.
L’ Europa come risponde al dumping fiscale?
Le istituzioni europee sembrano avere contezza della gravità del dumping fiscale: prova ne sia il rapporto “Study on Structures of Aggressive Tax Planning and Indicators” del 2016, ma nonostante ciò, la Commissione europea non sembra voler affrontare il problema in modo strutturale.
Se da un lato vi è una certa severità nel controllare che vi sia il rispetto, da parte di alcuni Stati dell’ UE , dei parametri di finanza pubblica, dall’ altro lato vi è una tolleranza ingiustificata del comportamento sleale che attuano alcuni Stati membri in danno ad altri
Stati membri, Stati che avrebbero bisogno di queste risorse fiscali per ripianare la voragine debitoria dei loro conti pubblici.
La mancanza di un regime comune di fiscalità tra i singoli Stati membri potrebbe causare uno sconquasso economico e l’estinzione dell’ Unione, come ha spiegato l’ ultimo rapporto annuale dell’ A.G.C.M.
Cosa aspettarci per il futuro?
Una politica eurounitaria che miri a debellare queste pratiche scorrette di concorrenza fiscale tra Stati membri e che sia diretta a uno sviluppo economico sostenibile dei vari paesi UE in virtù dell’ art.3, par.3 T.U.E.
Marco Provenzano
Balestreri G., L’Ue tace sul dumping fiscale, in “Business Insides”, 3 luglio 2019. Graziola G. e Bonanni F., L’ Antitrust attacca F.C.A.: <<Rilevanti danni allo Stato dal trasferimento fiscale a Londra>>, in “Il Sole 24 Ore”, 2 luglio 2019.