Abbiamo intervistato a Bruxelles al NATO Headquarters il Generale S.A. Roberto Nordio, Rappresentante militare italiano presto i Comitati Militari della NATO e dell’Unione Europea. Il Generale, durante l’intervista fatta da Maria Elena Argano, ha fornito degli importanti spunti di riflessione sulle attuali sfide dell’Alleanza e sul ruolo dell’Italia in uno scenario internazionale sempre più complesso.
Generale, la pandemia “Coronavirus” è ormai un serio problema planetario. Cosa sta facendo la NATO per impedire che si trasformi in una reale minaccia alla sicurezza degli Stati membri della NATO?
La NATO sta facendo la sua parte. Gli Alleati si supportano a vicenda, attraverso lo scambio di professionisti medici, la costruzione di ospedali da campo, di attrezzature mediche vitali e individuando procedure tecnico-sanitarie speciali per combattere questa malattia mortale. Sono stati organizzati ed effettuati trasporti logistici strategici di forniture mediche critiche da tutto il mondo, di personale medico, di materiali essenziali e di attrezzature vitali da fonti militari e civili. Inoltre, stiamo sfruttando le nostre conoscenze e risorse mediche, scientifiche e tecnologiche per contribuire a fornire risposte innovative. Le Forze Armate degli Stati membri stanno offrendo un contributo fondamentale per arginare gli effetti distruttivi di questa crisi. Pensi soltanto al ruolo che stanno svolgendo i militari Italiani nel territorio nazionale, qualcosa di mai visto prima. Gli Alleati stanno anche lavorando insieme per garantire l’accesso del pubblico a informazioni trasparenti, tempestive e accurate, che sono fondamentali per superare questa pandemia e combattere la disinformazione. Vista la necessità, in questo particolare momento, di un approccio coordinato e globale, la NATO sta lavorando a stretto contatto con altre organizzazioni internazionali, tra cui le Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Unione Europea.
Si deve inoltre sottolineare che, nonostante l’impegno gravoso in questa crisi, la NATO rimane attiva, focalizzata e pronta a svolgere i suoi compiti principali: difesa collettiva, gestione delle crisi e sicurezza cooperativa. La capacità dell’Alleanza di condurre le operazioni e assicurare la difesa contro le svariate minacce alla sicurezza resta intatta. Proprio nei giorni scorsi i Ministri degli Esteri e della Difesa dei Paesi membri hanno preso ulteriori decisioni per rafforzare il ruolo della NATO nell’affrontare le attuali e future sfide alla sicurezza.
I Leaders dei Paesi NATO si sono incontrati a Londra, il 3 e 4 dicembre, per celebrare i 70 anni dell’Alleanza Atlantica. L’occasione ha permesso anche di discutere di presente e futuro. Qual è il messaggio principale della London Declaration e che ruolo riveste oggi la NATO nello scenario internazionale?
Prima di concentrarmi sul messaggio emerso dall’incontro di Londra, credo sia necessario fare una premessa. Quel meeting doveva essere celebrativo agli occhi di tutti per festeggiare i 70 anni dell’Alleanza politico-militare più duratura della storia, che ha saputo difendere la sicurezza del continente europeo, cha ha vinto la Guerra Fredda, che ha proiettato stabilità nel tempo affrontando crisi anche al di fuori della sua area di responsabilità. Ma, come noto, nel cammino verso il meeting ci sono stati anche momenti di crisi che rischiavano di minare la coesione tra Alleati, generando una certa preoccupazione, anche a causa della forte dichiarazione di un importante leader politico che metteva in discussione la capacità della NATO di “pensare”. In altre parole, c’era la preoccupazione che potesse essere un meeting divisivo, anziché celebrativo. Al contrario, secondo me, si è riconfermata la forza dell’Alleanza che ne è uscita rafforzata, direi anche più forte di come si è presentata.
Tornando al “messaggio”, lo dividerei in tre parti fondamentali. La prima, che potrebbe essere considerata alla stregua di “una storia che si ripete”. E, invece, è il fondamento della nostra Alleanza, cioè la riaffermazione della condivisione dei principi che hanno portato alla sua costituzione: quelli della Carta delle Nazioni Unite, dello stato di diritto, della difesa dei diritti umani; inoltre, la riaffermazione della validità dell’Articolo 5 del Trattato Nord Atlantico che, insieme al preambolo, costituisce il fondamento della nostra Alleanza. Quindi, una grande riaffermazione dei valori alla base della NATO, che hanno tenuto gli Stati Membri uniti per 70 anni. Il secondo aspetto è quello della “proiezione nel futuro”, ovvero il dover tenere conto che, per garantire la sicurezza e la difesa dei Paesi alleati, oggi e domani, bisogna considerare anche le cosiddette “tecnologie innovative”, le nuove sfide che nascono dal mondo del cyber, dalla parte ibrida, dall’intelligenza artificiale, senza perdere di vista le minacce di oggi rappresentate dagli stati più aggressivi, un mondo di instabilità diffusa soprattutto nell’area Sud della NATO, caratterizzata dal terrorismo. Il terzo aspetto, che magari può avere – meno dei precedenti – destato l’interesse del pubblico, è quello della “riflessione strategica”: il desiderio di vedere come la NATO si può ulteriormente trasformare per accrescere la sua valenza politica anche nel campo delle consultazioni. In sintesi, dal Summit di Londra emerge l’immagine di un’Alleanza che mostra come soltanto attraverso una condivisa capacità e una forte volontà di trasformazione essa può rimanere rilevante anche nel futuro come lo è oggi. Basti considerare l’importanza delle operazioni internazionali condotte sotto la bandiera NATO, oggi come ieri. Non dimentichiamoci che, per 70 anni, noi siamo cresciuti in pace e voi giovani state crescendo in pace, soprattutto grazie alla NATO.
A Varsavia, nel luglio 2016, Unione Europea e NATO hanno delineato le aree per una cooperazione rafforzata alla luce delle sfide comuni a est e sud, tra cui la lotta alle minacce ibride, il miglioramento della resilienza, lo sviluppo delle capacità di difesa, la difesa informatica, la sicurezza marittima e le esercitazioni. In che modo questo segna un punto di svolta rispetto al passato e perché proprio in questo momento storico?
È inevitabile fare anche qui una premessa, ed è che la cooperazione tra NATO ed Europa non è sempre stata fattiva, concreta. Ma, nel 2016, c’è stata la presa di coscienza che le due organizzazioni internazionali, che hanno in comune ben 22 Paesi, condividono gli stessi valori e gli stessi principi fondanti. Questa può sembrare una frase fatta, in realtà è un’affermazione più che mai valida ed attuale, è alla base di tutto, perché questo è quello che ci unisce: i valori della democrazia. NATO ed EU condividono le stesse minacce alla sicurezza e alla difesa, perciò il rafforzamento di una va a rafforzare l’altra, secondo il principio di complementarietà. Il Segretario Generale, esemplificando, afferma che NATO e Unione Europea sono due facce della stessa medaglia e, aggiungo io, dove la medaglia rappresenta la sicurezza e la difesa. Ecco, possiamo dire che si è preso coscienza di questi elementi e si è voluto dare concretezza, con la definizione di 7 aree di cooperazione e un certo numero di progetti (che in totale sono 74), al principio della cooperazione tra la NATO e l’Europa.
Nel dicembre 2016, i Ministri degli Esteri della NATO hanno approvato una dichiarazione alla quale sono state allegate 42 misure comuni per promuovere la cooperazione NATO-UE. Altre 32 misure sono state concordate nel dicembre 2017. Quali sono ad ora i risultati di questa cooperazione?
Sicuramente, come dicevo poc’anzi, c’è una spinta verso la concretezza: questi progetti spingono le due organizzazioni a incontrarsi, a discutere, a individuare aree comuni. È un percorso non semplice, perché è inutile nascondersi che sussistono alcuni elementi di mancata condivisione all’interno delle due organizzazioni. Ciononostante, il fatto che ci siano progetti concreti già permette di incontrarsi e di accrescere quel senso di confidence building che è necessario per cooperare nel futuro. Vi sono aree di cooperazione più avanzata, quale ad esempio la “military mobility”, che sta portando a risultati concreti, ma si sta lavorando molto anche nel settore del cyber, dell’ibrido, del counter-terrorism. Bisogna prendere coscienza che le sfide di oggi si affrontano secondo il concetto dell’approccio comprensivo, della governance. E, secondo questo approccio, la massima efficienza ed efficacia si possono ottenere prendendo il meglio dell’uno e dell’altro, unendo gli sforzi e perseguendoli in modo sinergico. Vi sono caratteristiche e peculiarità dell’Unione Europea non in possesso della NATO e viceversa. Mettendole insieme, grazie alla condivisione di principi, alla volontà dei 22 Paesi che fanno parte di una e dell’altra organizzazione e dei Paesi che non ne fanno parte, ma che ne condividono gli stessi principi, io sono fiducioso che nel futuro otterremo dei successi concreti.
In relazione alla capacità di adattamento dell’Alleanza alle nuove minacce, quali sono le operazioni NATO più significative in corso oggi?
La NATO porta avanti molte attività operative, di cui alcune si proiettano al di fuori dei suoi confini, come la missione in Afghanistan, sicuramente la più importante. Senza dimenticare quella più vicina a noi, la missione in Kosovo, la KFOR, da anni sotto la guida di un comandante italiano. Noi consideriamo i Balcani, infatti, un’area di rilevanza strategica non solo per gli interessi nazionali ma per per la sicurezza di tutto il continente europeo. Abbiamo poi la NATO Training Mission (NMI) in Iraq che, nella sua recente evoluzione, potrebbe ampliare il suo ruolo di capacity building nei confronti delle forze armate e di sicurezza irachene. Non dimentichiamoci, poi, delle operazioni all’interno dei confini della NATO, tra cui l’Operazione “Sea Guardian” per la sicurezza marittima nel Mediterraneo, oltre alle attività operative ed addestrative rivolte verso i partner dell’area est, che si concretizzano – fra l’altro – nella presenza di nostre truppe in Lettonia, ma in generale di truppe dei Paesi membri nelle repubbliche baltiche. Infine, vale la pena ricordare l’attività di air policing che viene svolta da alcuni Paesi della NATO per accrescere la sicurezza aerea appunto nei Paesi Baltici.
Nel caso dell’Italia, qual è il contributo concreto che dà, considerando che esso non raggiunge il 2% del PIL. Qual è, in altre parole, il valore aggiunto che l’Italia fornisce alla NATO?
Dividerei questa domanda in tre elementi.
Il nostro Paese dà un contributo che io definisco “strutturale” ospitando importanti Comandi della NATO Command Structure e altri enti collegati alla NATO. Ospitiamo l’Allied Joint Force Command a Napoli, il NATO Defence College a Roma, tre Centri di Eccellenza collegati alla NATO: il Modelling and Simulation (M&S), il Security Force Assistance (SFA) e lo Stability Policing (SP), quest’ultimo modello formativo unico per le forze di sicurezza nella fase di stabilizzazione post-conflittuale. Ospitiamo, fra gli altri, il NATO Deployable Air Command and Control Center (DACCC) a Poggio Renatico e il Centre for Maritime Research and Experimentation (CMRE) a La Spezia, l’Alliance Ground Surveillance (AGS) a Sigonella. Questo dal punto di vista strutturale. Le nostre Forze Armate esprimono Comandanti di componenti dei Comandi Joint tipo il NATO Rapid Deployable Corps a Solbiate Olona, sotto la leadership dell’Esercito. Marina ed Aereonautica esprimono, a loro volta, Comandi di componenti all’interno della NATO Force Structure, cioè dei Comandi dati disponibili dalle Nazioni per operazioni NATO secondo il principio delle rotazioni. All’interno della NATO Command Structure siamo presenti con più di 600 persone, da Norfolk in Virginia (US) a Izmir in Turchia, da Brunssum (Olanda) a Mons (Belgio), fino a Napoli per l’area Sud. Si tratta, quindi, di un contributo molto elevato negli elementi organizzativi più importanti dell’Organizzazione. Il secondo elemento è quello operativo. In tutte le operazioni e missioni che ho citato l’Italia è presente, non tanto per “motivi di bandiera”, quanto perché fortemente sostenitrice del principio di coesione che vige all’interno dell’Alleanza. Siamo il secondo Paese contributore dopo gli Stati Uniti nei teatri operativi. Siamo fra i contributori principali in Afghanistan, il secondo in Kosovo. Siamo presenti in Iraq, con una presenza limitata ma significativa. Contribuiamo alla Air policing nelle repubbliche baltiche e siamo l’unico Paese che assicura tale attività chiave anche in favore di Slovenia, Albania, Montenegro e Islanda. Direi un grande contributo operativo. Fondamentale è anche lo sforzo in campo marittimo, con la già citata Operazione “Sea Guardian”, da tutti estremamente apprezzata. Ne deriva l’immagine di un Paese che, ricordiamolo, è co-fondatore della NATO e dell’UE, ed è fortemente presente, rappresentato e apprezzato non solo per i contributi offerti, ma anche per il grande senso di responsabilità che dimostra. Il terzo elemento è il contributo di pensiero. Perchè l’Italia si è fatta carico, a mio avviso, della necessità di orientare l’Alleanza anche verso quelle sfide meno palpabili, le minacce meno quantificabili, che derivano dall’instabilità diffusa soprattutto nell’area Sud. Con pazienza e costanza l’Italia è riuscita ad orientare la NATO verso i confini meridionali dell’area NATO ed oggi, grazie a questa azione molto forte e costante, abbracciata poi dagli Alleati, abbiamo quella che viene definita “Strategic Direction South”, da cui è discesa la costituzione del Centro denominato “Hub for the South”. Esso svolge il difficile e delicato compito di comprendere e interagire con l’universo di instabilità che caratterizza il continente africano e il Middle East, ponendosi quale centro di riflessione e di riferimento per permettere la proiezione di stabilità e la cooperazione – in termini di sicurezza – con i paesi instabili che chiedono di migliorare le proprie condizioni di sicurezza attraverso l’addestramento delle loro unità ad essa preposte. Quindi tre elementi: strutturale, operativo e di pensiero. Tutti e tre concorrono alla partecipazione qualificata del nostro Paese alla NATO, ove i circa 600 militari della NATO Command Structure rappresentano un vero valore aggiunto.
Quali sono gli aspetti principali del Nuovo Concetto Strategico del Capo di Stato Maggiore della Difesa e in che modo essi influiranno sul ruolo dell’Italia nel contribuire al mantenimento della stabilità internazionale?
Il Concetto Strategico va a colmare un vuoto esistente da un po’ di tempo. È un documento guida, il punto di partenza per tutte le attività future di organizzazione e di orientamento della definizione del futuro delle nostre Forze Armate. È, in particolare, un documento che abbraccia molti aspetti. Parte dall’analisi della situazione di oggi, quindi dov’è immersa l’Italia, e mette anche a nudo le carenze dello strumento militare rispetto alle nuove esigenze di sicurezza emerse. Con un’ottica pragmatica definisce gli aspetti fondamentali per riorganizzare e riorientare le Forze Armate in maniera tale che possano accrescere il loro livello di “efficienza sistemica”, al fine di essere maggiormente rilevanti quale military instrument of power. Ribadendo, però, che esso è inserito nel più ampio contesto nazionale di cui costituisce soltanto solo uno dei modi per perseguire gli interessi nazionali. Sottolinea, inoltre, come soltanto attraverso un approccio interforze vero e sentito si potranno affrontare le sfide future. Utilizzando, certamente, le nuove tecnologie ma senza prescindere dall’elemento umano, che dovrà essere sempre più preparato e convinto della sua centralità. Il Nuovo Concetto Strategico, infine, inquadra le attività internazionali cui lo strumento militare potrebbe essere chiamato a partecipare sia all’interno delle Organizzazioni Internazionali consolidate – in primis NATO, l’Unione Europea e ONU – senza dimenticarsi della possibilità di poter operare nel contesto di rapporti bilaterali e multilaterali qualora fossero convenienti agli interessi nazionali. E’ davvero un documento che sviluppa una visione a 360 gradi. Sono sicuro che per la sua lungimiranza rimarrà valido anche nei prossimi anni e costituirà una pietra fondante per l’ottimizzazione delle nostre Forze Armate.
Infine, se mi consente, avrei io una richiesta per Lei. Noi abbiamo bisogno di giovani come Lei per accrescere la cultura dei giovani rispetto al mondo della difesa e della sicurezza. Rendendoli, cioè, edotti sulle sfide che li attendono nel futuro. Come dicevo prima, io sono vissuto e miei figli stanno vivendo in un contesto di pace. Però il mondo che ci circonda è così pregno di sfide alla nostra sicurezza – lo stiamo vedendo in questi giorni – e ai nostri principi, da necessitare una presa di coscienza, urgente. E’ anche grazie a voi che questi aspetti potranno essere meglio espressi e capiti. Voi potete meglio spiegare i compiti delle Forze Armate nel contribuire al mantenimento della sicurezza nella nostra società. Tutto sembra garantito, come dicono gli inglesi “it’s a given”, la pace is a given, ma non è un given. E secondo me la gran parte dei giovani non ha questa percezione. E voi potete dare una mano affinché queste sfide siano capite e ben espresse. Potete contribuire efficacemente a spiegare il contributo che i militari possono dare al nostro Paese e che le forze armate europee possono dare all’Unione Europea e alla NATO per mantenere saldi i nostri principi, per mantenere le nostre società libere, per riaffermare il rispetto del diritto, per mantenere le nostre società in quel clima di sicurezza che ci ha permesso di prosperare dal punto di vista sociale, economico, anche del semplice punto di vista del divertimento. Chiedo il vostro aiuto. E conto su di voi. Soprattutto adesso. Grazie!
Intervista 28/02/2020 (attualizzata il 14/04/2020)
Generale di Squadra Aerea Roberto NORDIO – Rappresentante Militare Italiano presso i Comitati Militari della NATO e dell’Unione Europea.
Dott.ssa Maria Elena ARGANO (in data dell’intervista Policy Analyst EU-Logos Athéna e Vice Direttore Dipartimento Ricerca e studi Istituto Mediterraneo di Studi Internazionali).