Si è concluso ieri il Vertice informale tra i Capi di Stato o di Governo dei 28 Stati membri dell’Unione Europea. Si è trattato dell’avvio di un Vertice particolarmente atteso e voluto, al tempo stesso, anche dai vertici dell’Unione Europea, soprattutto alla luce dei contrasti di opinione e di procedure politiche internazionali che negli ultimi mesi hanno contraddistinto, ed anche in maniera poco velata ed esplicita, alcuni esponenti governativi di Italia, Francia, Austria ed Ungheria. Alle controverse vicende del Ministro degli Interni italiano Matteo Salvini che come forte “segno” di protesta ha bloccato per tre giorni lo sbarco di migranti dalla nave “Diciotti” attraccata al porto di Catania, polemizzando contro le politiche del Governo francese accusato di espellere al confine italo-francese di Ventimiglia migliaia di migranti, tra cui molte donne e bambini, sono corrisposte, nelle recenti settimane, le dichiarazioni del Presidente della Francia Emmanuel Macron molto critico nei confronti della pericolosità dei movimenti nazionalistici/populistici per la stabilità del futuro dell’Unione Europea, la posizione del cancelliere austriaco Sebastian Kurz intenzionato ad avallare la doppia cittadinanza dei cittadini italiani dall’identità linguistico-culturale italo-tedesca residenti nel Ticino, e le discutibili dichiarazioni del Primo Ministro dell’Ungheria Viktor Orbàn inerenti la ferma volontà di non collaborare nella distribuzione dei migranti nord-africani. Sotto queste posizioni politiche, chiara espressione di disaccordi comunitari e velatamente custodi di rivendicazioni nazionalistiche in grado di fare affiorare nuovamente violente posizioni appartenenti ad un passato storico che sembrava ormai del tutto superato, si è avviato il confronto all’interno del Vertice di Salisburgo, che, come facile prevedere, ha portato pochi, deboli e deludenti risultati concreti.
Temi centrali dell’incontro, avvenuto nelle splendide cornici del Felsenteitshule Theater e della Mozarteum University di Salisburgo, sono stati in modo particolare emigrazione e Brexit. Si tratta di punti caldi della politica comunitaria che per i prossimi mesi attendono di trovare una giusta e concreta soluzione, per evitare sostanzialmente ulteriori problemi di natura sociale ed economica potenzialmente pericolosi per una implosione europea: eccessiva presenza di emigrati “politici” ed “economici” tra i vari Stati membri con l’incapacità di controllare ulteriormente il sopraffollamento dei centri di accoglienza, e gestione delle conseguenze commerciali dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, che a marzo del prossimo anno dovrebbe avviarsi in maniera definitiva.
Il punto nevralgico riguardo la gestione comunitaria-europea dei flussi migratori, che comunque negli ultimi mesi hanno avuto una notevole flessione, sono state le proposte di revisione del Trattato di Berlino, che prevede al Paese di primo sbarco l’onere del peso di tutte le procedure di identificazione e di rilascio dell’eventuale status di asilo politico, con una forte conseguenza, come facile immaginare, su Italia e Grecia, vicine geograficamente alle vie nord-africane ed orientali; e del Trattato EunavForMed Sophia, che dal 2015 ha come obiettivo principale la lotta al traffico di esseri umani e dell’emigrazione clandestina nel Mediterraneo con l’ausilio di navi private e/o militari che hanno l’obbligo di adeguarsi alle regole del diritto internazionale ma che abbia come primo porto di approdo, materiale e burocratico, uno di quelli appartenenti al territorio italiano. Come facile prevedere, in entrambi i Trattati, l’Italia, i suoi porti, il suo diritto, la sua gente e la sua ospitalità sono chiamati ad una responsabilità fondamentale per la tenuta comunitaria dell’Unione Europea, un peso che nel corso degli anni è diventato sempre più pesante, gravoso e difficilmente gestibile, che trova proprio nelle rivendicazioni nazionalistiche-populistiche una sua soluzione estrema anti-accoglienza. In sostanza, l’Italia, con la sua vocazione geografica e spirituale mediterranea, non sembra avere più le necessarie forze per sobbarcarsi un compito così gravoso e determinante, inerente, tra le altre cose, anche il rispetto dei diritti degli esseri umani. Una responsabilità divenuta nel corso degli anni un pesante fardello anche a causa del dileguarsi politico degli altri Paesi europei. Per questo motivo, certamente di primaria importanza, la revisione responsabile fortemente ispirata dai valori comunitari della solidarietà e della partecipazione, dei Protocolli di Berlino e di Sophia, sono diretti a mantenere la politica di accoglienza di carattere morale e burocratica dell’Italia a fronte della stessa assunzione di responsabilità governativa da parte degli altri Paesi, soprattutto quelli fondatori dell’Unione Europea che a partire dagli anni Cinquanta con i Trattati di Messina e di Roma avviarono il sogno di un’Europa unita, pacifica e solidale. Per questo motivo, al Vertice di Salisburgo, il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte, espressione di un Governo “giallo-verde” Lega-Movimento 5S, ha presentato sul tavolo delle trattative diverse proposte: eliminare la diretta responsabilità e l’onere dell’Italia nella gestione burocratica e di salvataggio dei migranti, tramite la partecipazione paritaria senza precedenze anche degli altri Paesi europei e la rotazione tra i suoi vari porti per il controllo del Mediterraneo. Proposte del resto già avanzate in altri precedenti incontri, come al Consiglio europeo di fine giugno ed al meeting tra i Ministri della Difesa dei Paesi membri del luglio scorso, in cui la Ministra italiana alla Difesa Elisabetta Trenta ha proposto l’istituzione di una speciale “Unità di coordinamento” in grado di decidere e gestire lo sbarco tra i vari porti europei-mediterranei, ad esclusione della sola priorità italiana. Si tratta di questioni che lo stesso Premier Conte aveva in precedenza discusso con il Cancelliere austriaco Kurz in un incontro bilaterale, anche in seguito alla decisione di quest’ultimo di concedere il doppio passaporto ai cittadini italiani residenti nel Tirolo.
Eppure, la debolezza delle soluzioni sull’emigrazione trovate tra i 28 Capi di Governo/Stato a Salisburgo, possono ancora trovare una valida e concreta alternativa tramite l’attivazione di aiuti finanziari nei Paesi africani, soprattutto quelli nord-orientali, luoghi di origine e di partenza della gente bisognosa. Come sostenuto nel corso degli ultimi anni in modo particolare dai Governi italiani, il punto di riferimento a cui si guarda è il “modello Turchia”, vale a dire un versamento di solidi aiuti economici ai Paesi africani in grado di prevedere e fermare in maniera lecita e responsabile ogni inizio illecito di emigrazione “politica” ed “economica”. Una linea di investimento già in parte avviata dal Consiglio europeo di fine giugno con l’attivazione di un “Trust Fund UE-Africa”, potenziato in parte a Salisburgo, almeno nelle intenzioni teoriche, tanto da spingere lo stesso Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, a sostenere che “l’Europa ha i mezzi per attuare una strategia globale di investimenti verso l’Africa, fino a 50 miliardi di euro di budget nel periodo 2021-2027”. In ambito più strettamente europeo, invece, il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha puntato l’attenzione sull’istituzione di una comune polizia di frontiera, in grado di controllare, con l’ausilio di più di 10 mila guardie, le frontiere esterne e più vulnerabili del Vecchio Continente. Un provvedimento che anche se all’apparenza sembra avere consensi unanimi, trova invece critiche tra i Paesi “Visegrad” dell’Europa dell’Est, primi tra tutti Polonia, Repubblica Ceca, Croazia, Slovenia ed Ungheria, che pur partecipando poco o niente alla politica di distribuzione dei migranti in parte uguale a carattere legale e volontaria, cominciano a criticare il forte aumento del peso della politica comunitaria europea troppo monotono e poco incline alla concessione di rivendicazioni nazionali. Una situazione difficile in cui a tentare di trovare una soluzione condivisa e senza spaccature ideologiche, ci ha pensato, almeno in parte, il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Da vero padrone di casa e coordinatore del Vertice, ha ribadito la necessità di superare le retoriche e le critiche senza senso sull’emigrazione, solo per fare accrescere i consensi nazionalistici, per avvalorare e stimolare ulteriormente, piuttosto, solo i punti che fino adesso hanno funzionato nella gestione migratoria: il controllo dei confini esterni, la cooperazione tra Stati e gli accordi bi-laterali con i Paesi africani, annunciando proprio per tale motivo un imminente incontro tra UE e “Lega afro-araba”(1).
A parte emigrazione, l’altro punto caldo di Salisburgo su cui sono stati impegnati i 28 rappresentanti europei, coordinati in questo caso in modo particolare dallo stesso Presidente Tusk, è stato l’avvio nei negoziati della Brexit, su cui a pochi mesi dal suo definitivo approdo, ci sono ancora diverse ombre difficili da dissipare. “I negoziati sulla Brexit stanno entrando nella loro fase decisiva, ma vorrei sottolineare che alcune delle proposte del Premier Theresa May indicano un’evoluzione positiva nell’approccio da parte del Regno Unito ed una volontà di minimizzare gli effetti negativi della Brexit stessa”, sostiene Tusk. Infatti, se in materia di sicurezza globale e di politica estera la politica inglese del Premier britannico sembra trovare accordi e corrispondenza con l’Unione Europea, anche in merito alla gestione sociale ed amministrativa dei cittadini europei che da anni vivono e lavorano in Gran Bretagna, sui punti strettamente commerciali che richiamano in causa la vicina Irlanda del Nord, permangono ancora discordanze di vedute che, tra le altre cose, sono fronte di critica della politica estera della May anche da parte degli inglesi stessi e da esponenti politici di punta, come Boris Johnson (2).
In sostanza, a Salisburgo i punti condivisi di una sana politica comunitaria sono stati pochi e sempre gli stessi, la cui debolezza nella soluzione sembra essere l’unico fattore reso evidente. Si tratta di una mancanza di un vero sviluppo socio-economico solidale e sussidiario cui aspiravano i padri fondatori dell’Unione Europea negli anni Cinquanta, le cui lungimiranti idee ed aspirazioni corrono costantemente il rischio di essere offuscate non solo dalle anacronistiche rivendicazioni estremo-nazionalistiche, ma anche da una pesante ed improduttiva burocratizzazione che rende sterile ogni progetto futuro di un’Europa “unità nella diversità”(3).
Salvatore Drago
(1)Per una panoramica fondamentale della questione migratoria in rapporto all’Unione Europea e ad una soluzione geo-politica internazionale, si rinvia ai seguenti libri: Alessandro Dal Lago, Non persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 2006; Loretta Napoleoni, Mercanti di uomini. Il traffico di ostaggi e migranti che finanzia il jihadismo, Rizzoli, Milano 2017 e Pierfrancesco De Robertis, Migranti SPA. Il business dell’emigrazione: cifre, vittime e carnefici, Rubbettino, Soveria Mannelli 2018;
(2)In merito al nuovo equilibrio europeo successivo alla Brexit, per un approfondimento del tema, sono utili i presenti lavori: Gabriele Cosentino, L’era del post-verità. Media e populismi dalla Brexit a Trump, Imprimatur, Roma 2017; Roberto Caporale, Exeunt. La Brexit e la fine dell’Europa, Rubbettino, Soveria Mannelli 2017 e Paolo Mariani, Lasciare l’Unione Europea. Riflessioni giuridiche sul recesso nei giorni di Brexit, Egea, Milano 2018.
(3) I principi fondamentali inerenti gli aspetti sociali della cooperazione, della solidarietà e della sussidiarietà, vengono approfonditi da diversi testi, tra cui: Le politiche dell’Unione Europea. I padri fondatori dell’UE, Documento dell’Unione Europea, Lussemburgo 2013; Comitato Economico e Sociale Europeo, L’economia sociale nell’Unione Europea, 2013; Aldo Giordano, un’altra Europa è possibile. Ideali cristiani e prospettive per il Vecchio Continente, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013 e Vincenzo Buonomo – Angelo Capecci, L’Europa e la dignità dell’uomo. Diritti umani e filosofia, Città Nuova, Roma 2017.