Un centinaio di morti da metà Aprile. Il drammatico bilancio della repressione governativa contro le manifestazioni in Nicaragua. Mercoledì la polizia è stata autorizzata ad usare la forza ed ha sparato ad altezza uomo contro i manifestanti che chiedevano le dimissioni del presidente Ortega: tredici morti accertati e circa ottanta feriti nei centri di Managua, Leon e Masaya. La folla era stata convocata in piazza a Managua dall’associazione delle Madri di Aprile (mamme di giovani uccisi o scomparsi in precedenti manifestazioni) che hanno ricevuto il sostegno di gran parte della popolazione nelle maggiori città del paese.
Gesto duramente condannato anche dalla Conferenza episcopale che aveva cercato ultimamente (e inutilmente) di mediare fra il governo ed i manifestanti proponendo un “dialogo nazionale” che, dopo i recenti spargimenti di sangue, è stato sospeso. A renderlo noto un lapidario comunicato da parte dei vescovi che hanno voluto cessare ogni attività riconciliatrice “fin quando si continuerà a negare al popolo il diritto a manifestare pacificamente, e il popolo continuerà ad essere represso ed assassinato”
Le proteste che dividono il Nicaragua da metà aprile sono state innescate da un aumento di tassazione di circa il 5 per cento sulle pensioni e da un altrettanto modesto rincaro dei contributi per la previdenza sociale. Ma le ragioni del malcontento sono da ricercare nell’assetto assunto dal Nicaragua negli anni successivi alla rivoluzione del ’79 quando la guerriglia sandinista pose fine alla dittatura militare di Anastasio Somoza: il governo di Daniel Ortega ha retto il paese dal 1979 al 1990 e dal 2007 ad oggi, decenni in cui si è verificato il fenomeno che i nicaraguensi chiamano “la pignatta” ovvero la progressiva ed illegale appropriazione di terreni, aziende ed infrastrutture, finite in mano ad alcuni leader del movimento sandinista che ha prodotto e consolidato forme di gestione economica clientelari e corrotte che hanno tradito, tanto nella forma quanto nella sostanza , i principi della rivoluzione trasformando la filosofia del paese da Marxista ad “Orteghista”.
Adesso i manifestanti che da due mesi protestano per le strade del piccolo paese centroamericano pretendono le dimissioni del “comandante Daniel” e della moglie, Maria Rosario Murillo vicepresidente di Ortega, fortemente sospettata di essere lei a governare da dietro le quinte. Contro i due coniugi e a fianco dei manifestanti si è schierata anche la Juventud Sandinista che li considera dei traditori della rivoluzione. La coppia Ortega-Murillo ha commesso dei crimini, crimini contro gli ideali rivoluzionari prima e contro il loro stesso popolo poi, senza che il resto della sinistra al potere abbia mosso un dito, perché per loro l’unico obiettivo è mantenere il potere, a qualsiasi prezzo. Quando nel 1998 Zoilamérica Narváez, figlia della Murillo e figliastra di Ortega denunciò quest’ultimo per violenze, il fronte della sinistra non alzò la voce, né mise sotto inchiesta il denunciato, Zoilamèrica venne etichettata come malata di mente ed allontanata e la faccenda semplicemente insabbiata. Quando la potentissima vicepresidente del Nicaragua, la dama degli anelli e dalle velleità artistiche, si schierò al fianco di Ortega a discapito della figlia, la sinistra chinò nuovamente il capo.
Restò silente, la sinistra, anche quando nel 1998 Ortega siglò un patto con Arnoldo Alèman, della destra, con cui si compì la svolta liberale che privatizzò e attirò nell’orbita del regime di Ortega grandi settori dell’economia nazionale. E quando i pochi oppositori di sinistra, i veri sandinisti, alzarono la voce per essere repentinamente minacciati e allontanati, ancora una volta la sinistra tacque. Uno dei comandanti della rivoluzione, Mònica Baltodano, per la rivista Envìo ha scritto, nel 2014, una lucida disamina su come il potere in Nicaragua sia progressivamente degenerato dal titolo “¿Qué régimen es éste? ¿Qué mutaciones ha experimentado el FSLN hasta llegar a lo que es hoy? “ (Che regime è questo? Che mutazioni ha sperimentato il FSLN fino a diventare quello che è oggi?) attribuendo alla degenerazione dell’“Orteghismo” tre passaggi fondamentali: in primo luogo, dalla fine degli anni ’90 ad oggi è stata sistematicamente polarizzata la ricchezza nel paese in favore di una ristretta casta di amministratori assolutamente fedeli alla famiglia Ortega, se non addirittura imparentati con essa. In secondo luogo “è aumentata la subordinazione del paese alle logiche di mercato globali”, che hanno favorito l’ingresso in Nicaragua di parecchie multinazionali straniere attirate dal basso costo della manodopera locale, la terza è che questo tipo di regime ha bisogno di disinnescare sul nascere ogni tipo di resistenza sociale o di azione critica nei confronti del governo, per far ciò l’Orteghismo ha progressivamente monopolizzato i mezzi di informazione di massa (durante i primi giorni di protesta l’accesso ad internet è stato limitato nella speranza di contenere il diffondersi delle notizie) e fornito quanto più potere possibile alle forze dell’ordine.
Da quando si sono verificati i primi scontri e si sono registrate le prime vittime, Ortega, in quanto comandante in capo delle forze di polizia, avrebbe dovuto porre immediatamente un freno alla repressione, ordinando la sospensione dei poliziotti coinvolti e disponendo un’indagine pubblica nei loro confronti. Invece il presidente assente e la sua consorte onnipresente hanno sistematicamente sminuito la protesta grazie al loro completo controllo sui media e alla sistematica diffusione nell’etere di messaggi volti ad etichettare i manifestanti come “sparuti gruppetti”, “parassiti succhiasangue” , “teppisti”, e “mele marce” ordinando contemporaneamente alle forze dell’ordine di aumentare la pressione su di loro. La repressione poliziesca ha prodotto una recrudescenza degli scontri nelle piazze e ha dimostrato come Ortega tema profondamente tali forme di dissenso.
Per quasi un decennio la polizia si è configurata come un corpo scelto di pretoriani fedele ad Ortega, modellata e istruita secondo principi di assoluta fedeltà e lealtà al governo, pronta ad eseguire efficacemente gli ordini al punto tale da essere fortemente sospettata di abuso di potere, violenza e tortura.
Ormai la sopravvivenza del “regime” di Ortega è pericolosamente messa in discussione e parlare di regime probabilmente non è improprio: ufficialmente il Nicaragua è un pese democratico ed Ortega ha conseguito legalmente il suo terzo mandato, non prima però di aver modificato adeguatamente la costituzione (la legge in Nicaragua imponeva il limite dei due mandati) e aver abbassato la soglia per la formazione del governo ad appena il 35% delle preferenze.
Giovedì il parlamento europeo ha condannato la feroce repressione attuata nei confronti dei manifestanti. Ortega non intende desistere ed è determinato a finire il suo mandato che scade nel 2022 e per ribadirlo, Mercoledì sera, ha indetto una grande manifestazione proclamando a migliaia di suoi sostenitori: “Il Nicaragua ci appartiene e noi tutti resteremo qui”. Di giorno in giorno, però, il regime perde alleati, dal supporto della chiesa all’appoggio degli imprenditori che negli anni passati lo avevano appoggiato e sostenuto nelle riforme liberali imposte al paese.
E quando i manifestanti scandiscono: “Ortega e Somoza sono la medesima cosa!” significa che i traguardi del movimento sandinista si sono tristemente persi in favore di un potere assoluto con evidenti tratti dinastici che non intende cedere il passo alle rivendicazioni del proprio stesso popolo.