“Ce lo dice la scienza”: retorica scientifica e comunicazione digitale


“Ce lo dice la Scienza”:
retorica scientifica e comunicazione digitale

A causa dell’apparente invasione dei social e dei media digitali di antivaccinisti e terrapiattisti, secondo molti stiamo vivendo una sorta di secondo medioevo, un’epoca di oscurantismo in cui la figura dello scienziato viene derisa, sminuita e persino intaccata dalla plebe, incapace (per natura o per cultura) di comprendere la complessità dei concetti studiati dai grandi studiosi delle più disparate discipline scientifiche.
Sebbene sia evidente che oggi la fiducia verso certe professioni sia venuta meno, ciò non sembra essere imputabile a una mancanza di strumenti scientifici nella massa, o a una diffusa, generale e dilagante ignoranza.
In primis, per alcuni di questi fenomeni (vaccini in testa), i dati mostrano che la sfiducia verso queste pratiche e il rifiuto dei consigli dei professionisti venga da loro pari sociali: avvocati, insegnanti, ingegneri e in generale profili con un livello d’istruzione più che elevato. Ciò ha portato alcuni a sostenere che il problema sia imputabile alla preferenza che il nostro sistema scolastico darebbe alle materie umanistiche, ma se non bastasse una semplice occhiata ai programmi ministeriali disponibili oggi, la teoria avrebbe comunque pochi contatti col reale.
Infatti, possiamo notare che anche altre categorie lavorative, anche quelle più tradizionalmente umanistiche, sono fortemente criticate sui social e nei media tradizionali: senza scomodare la vera e propria guerra che la magistratura ha affrontato (specialmente in Italia) nell’ultimo ventennio, basti pensare alla rivoluzione che il mondo del giornalismo e della stampa stanno affrontando da più di due decadi, colpiti a morte dalla sfiducia dei lettori e sfiancati dalla concorrenza dei reporter digitali.
In generale, è evidente che la sfiducia verso l’altro sia semplicemente un tratto distintivo della società occidentale moderna, e coinvolge ogni ambito del sapere e ogni categoria professionale.

Ciò che molti scienziati sostengono, però, è che se da un lato le discipline più marcatamente umanistiche si prestano facilmente a critiche di ogni genere, il mondo della scienza è invece squisitamente affare dello scienziato in quanto tale, poiché unico possessore degli strumenti per comprendere a fondo la materia.
Competenza contro ignoranza, super partes contro faziosità: da questi punti di partenza si costruiscono molto spesso i comunicati, i post e le invettive di grandi figure del mondo medico e scientifico sui social. Ma possiamo davvero dare per scontati questi elementi? In realtà, no, non sempre.

In primis, è importante sottolineare come, nel rispondere ad accuse e critiche spesso banali e populiste, a volte la risposta delle figure competenti risulta essere altrettanto generalista: ad esempio, si accomuna alla stessa istanza chi giunge alla stessa affermazione con prospettive diverse. Si pensi al caso degli “antivaccinisti”, inseriti in un solo fascio dalla retorica di molti scienziati-influencer, senza tenere conto delle istanze giuridiche, scientifiche o morali poste dai numerosi comitati e rappresentanti di queste diverse “fazioni”. A livello comunicativo, l’unico effetto generato da pratiche simili è il far sentire l’altro deriso, umiliato e sottostimato. Ogni singolo individuo a cui lo scienziato vuole spiegare un concetto non rappresenta un contenitore vuoto, un recipiente che può essere più o meno liberamente riempito di nozioni che memorizzerà schematicamente: ognuno di noi tradurrà queste informazioni utilizzando la sua esperienza personale, e di conseguenza lo stesso messaggio avrà, per migliaia di persone, migliaia di significati diversi. Tenendo conto che ciò avviene anche nei gruppi più ristretti, immaginate l’impatto devastante di una comunicazione poco attenta per chi gestisce centinaia di migliaia di accessi e visualizzazioni su internet.

È fondamentale ricordare che queste meccaniche linguistiche e comunicative funzionano anche tra e negli scienziati: è proprio quest’ultimo che in primis  deve sempre ricordarsi di appoggiarsi a verità empiriche, distante da qualsiasi forma di influenza esterna. Ma, come oramai riconosciuto da numerose ricerche e studi, l’uomo è costantemente influenzato dal suo contesto culturale, e le aree in cui agisce il suo pensiero sono spesso delimitate da confini che neanche lui percepisce. Dall’omosessualità come malattia alle leggi razziali, la storia è stracolma di scoperte e affermazioni scientifiche che sono state figlie di stereotipi e preconcetti sociali e culturali. Ma anche senza dover ricorrere ai manuali di storia, gli stessi tragici fenomeni attuali non sono figli solo dell’opportunismo di qualche bigotto con accesso a internet, ma sono stati ideati da scienziati, diffusi da professionisti della comunicazione, e difesi da fior di avvocati: si pensi al caso Hamer. E il fatto che determinate teorie prendano piede anche in professionisti sinceramente convinti della loro validità, nonostante tutti i mezzi culturali a loro disposizione, dovrebbe far riflettere.

Inoltre, le necessità economiche e produttive dei vari ordini professionali difendono, a seconda delle esigenze, pratiche che la scienza stessa presenta come quantomeno poco credibili: è il caso dell’omeopatia, che nel 2016 era praticata di 4.000 medici iscritti all’albo, in Italia. Come si può pretendere che a sottomettersi alla scienza sia in primis chi non è competente, quando lo stesso ordine dei medici continua a non prendere provvedimenti contro chi consiglia e persegue pratiche simili? Ci sono master sulle cosiddette medicine complementari nelle Università, professionisti antroposofici iscritti all’ordine, centri istituzionali che praticano l’agopuntura e alcuni trattamenti “alternativi” possono essere detratti dalle tasse. Probabilmente sarebbe il caso di offrire un quadro chiaro al pubblico e alla società, priva di lanciarsi in invettive contro l’ignoranza della plebe.

“La scienza non è democratica” è uno slogan efficace ma privo di rilievo, nell’ambito comunicativo in cui viene utilizzato. Scelte come l’obbligo vaccinale e i fondi alla ricerca vengono stabilite nell’ottica governativa, ed è ridicolo continuare a sostenere che gli unici a poter analizzare l’argomento debbano essere gli scienziati, quando enti e uffici come il Ministero della Salute esistono proprio perché incrociano interessi e urgenze dell’intero paese riguardo a casi specifici, e non possono focalizzarsi solo su una prospettiva (che sia dello scienziato o dell’antivaccinista).

Ad alcuni commenti che richiedevano maggiore disponibilità al confronto, e magari l’assunzione di figure competenti relativamente all’ambito della comunicazione, il famoso Roberto Burioni ha risposto con il blocco dei profili. Nonostante da mesi molte realtà scientifiche e giornalistiche cerchino di dimostrare, con dati emersi dal metodo scientifico, come sia necessario adottare certi provvedimenti per una migliore comunicazione della scienza e della medicina, in tanti hanno fatto spallucce. E forse in questo passaggio, più di ogni altro, si nota l’incoerenza di queste pratiche retoriche: competenza, sì, ma solo in certi ambiti. Ancora una volta dunque la storia ci sta mostrando come lo scienziato sia influenzato culturalmente dal suo contesto sociale: il lavoro vero è quello che svolge la sua categoria professionale, e la gestione di profili social o di realtà editoriali online è un’attività che può tranquillamente essere portata avanti in parallelo, indipendentemente dai numeri e dalle conseguenze di una pessima comunicazione.

Nella lotta tra potere e riconoscimento professionale, a farne la spesa saranno, come sempre, i meno attrezzati a reggere l’urto delle conseguenze: i poveri, le minoranze sociali, gli emarginati.
Dunque, prima di scagliarci contro il primo profilo terrapiattista che incontriamo online, pretendiamo chiarezza dall’Ordine dei Medici, chiediamo provvedimenti alle Università, affrontiamo un percorso pro-scienza con ogni categoria professionale richiesta, dall’ambito scientifico fino a quello comunicativo. Solo così potremo evitare un’ulteriore inasprimento del dibattito attuale.

Claudio Cugliandro

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