IL NEMICO DEL MIO NEMICO E’ MIO AMICO. PER ORA.


IL NEMICO DEL MIO NEMICO E’ MIO AMICO. PER ORA.

La crisi della penisola coreana che in queste settimane tiene  il mondo con il fiato sospeso, tra test balistici nucleari, formali dichiarazioni di guerra durante le plenarie dell’Assemblea delle Nazioni Unite, provocazioni al limite dello scontro armato, essa è indubbiamente la più grave dalla firma dell’armistizio del 1953.

Con la Guerra Fredda all’inizio dei suoi giorni, la penisola coreana divenne il primo reale campo di scontro tra Stati Uniti e Unione Sovietica, e con l’invasione della Corea del Sud da parte delle truppe comuniste di Kim Il-Sung (il nonno dell’attuale Kim), fece piombare il mondo nella reale possibilità di uno scontro nucleare.

Sappiamo tutti poi come è andata a finire. Una linea di demarcazione posta al 38° parallelo attraversata da una zona demilitarizzata lunga 248 Chilometri, sotto il controllo delle Nazioni Unite, e una pace mai del tutto siglata e riconosciuta, portando avanti una guerra “ufficialmente” da più di sessant’anni. Nel corso di questi decenni, periodi di apparente dialogo repentinamente precipitati in rappresaglie, minacce ed incidenti diplomatici vari hanno accompagnato le relazioni tra la “triplice intesa” formata da Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud e la controparte nordcoreana al pericolo di un nuovo scontro militare di dimensioni regionali.

Mettendo da parte l’inefficienza e l’ignoranza dei vari Tillerson, Mattis e lo stesso Trump, il problema reale che ha portato alla tesissima situazione nella penisola è dovuta alla sottovalutazione della precedente amministrazione – quella Obama – che preferì concentrarsi ad impacciate e distruttive rivoluzioni islamiche, al rafforzamento e all’ ampliamento delle truppe e dei paesi della NATO e ad improbabili sanzioni ed embarghi alla Russia, sorvolando e non tenendo in considerazione la reale pericolosità e le intenzioni di sviluppo dell’arsenale atomico nordcoreano.

Adesso però che il popolo americano ha fatto virare la sua politica a destra, adesso che nuovi assetti geopolitici si stanno presentando sullo scacchiere internazionale, nuove potenze mirano a raggiungere e sostituire le antiche potenze globali. La regione del Pacifico è una di queste.

Se da una parte le diplomazie mondiali sono concentrate e preoccupate nel trovare un escamotage per abbattere il regime di Pyongyang, siamo sicuri che un potenziale conflitto con quest’ultimo si concluda e sia circoscritto solo esclusivamente alla penisola coreana? E’ solo Kim Jong-Un e la pericolosità dei suoi arsenali il vero obiettivo degli americani in questo angolo di pianeta?

All lined up and ready to go. (Reuters/File Photo/KCNA)

Facendo un po’ di fantapolitica (che poi così fantasiosa potrebbe non essere), all’ indomani di un inizio di conflitto armato con i nordcoreani, le altre due potenze della regione la Cina e la Russia – quest’ultima interessata perlopiù a mire espansionistiche verso l’Europa – e dopo una guerra lampo della durata di qualche settimana, con l’inverosimile utilizzo di armi nucleari leggere, o magari dopo una segretissima operazione dietro le linee nemiche per assassinare Kim Jong-Un, al termine di una qualunque opzione militare per deporre il regime, sarebbe a questo punto che sorgerebbe il vero problema.

Ponendo che la Cina rimanga neutrale per tutto il conflitto – o per buona parte di esso – ai trattati di pace essa giocherebbe un ruolo fondamentale nell’ agenda decisionale nella creazione di una nuova entità statale nordcoreana o nell’ unificazione della penisola.

Oltre alla repentina e gloriosa ascesa a potenza economica globale, negli ultimi dieci anni, il dragone rosso si è altresì attestata a potenza militare, con un effettivo di circa 2,260,00 componenti, tra esercito di terra, aeronautica e marina, più quasi 1 milione e mezzo di riservisti, arrivando quasi a toccare i 4 milioni di possibili combattenti. Non solo, le politiche di ammodernamento dell’arsenale e degli apparecchi bellici portati avanti dall’ amministrazione Jinping, consentirebbero di affrontare un eventuale scontro armato contro  potenze come gli Stati Uniti o la NATO. C’è anche da sottolineare un altro fattore decisamente importante, ovvero la campagna di espansione militare nel Mar Meridionale Cinese, iniziata da Hu Jintao e perseguita a pieno ritmo da Xi Jinping e la disputa con il Giappone per il controllo delle isole Senkaku.

I paesi della comunità del Pacifico e dell’ASEAN, hanno ben accolto gli interessi cinesi sui loro territori, interessi squisitamente economici e talvolta anche militari come nelle Filippine di Rodrigo Duterte.

Comunque andrà a finire la questione coreana, chiunque vi sarà un domani alla presidenza degli Stati Uniti, la comunità internazionale dovrà focalizzarsi sul potenziale scontro diplomatico/militare che si verrà a creare contro la Cina; nel frattempo però la secolare potenza americana gioca d’astuzia e d’attesa, propiziandosi proprio i cinesi. “Il nemico del mio nemico è mio amico” direbbe qualcuno. E’ vero: ma solo per adesso.

Emanuele Pipitone

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