Il 16 Dicembre scorso è stata presentata al parlamento della Turchia una proposta di riforma costituzionale, promossa dal Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) e voluta fortemente dal suo fondatore Recep Tayyip Erdoğan. La proposta di revisione costituzionale, approvata il successivo 21 Gennaio con 339 voti favorevoli, non è però riuscita ad ottenere i due terzi dei voti con i quali avrebbe potuto sottrarsi alla consultazione popolare.
Essa contiene ben 18 emendamenti che, qualora confermati in sede referendaria, modificherebbero radicalmente l’architettura costituzionale del Paese trasformando la Turchia da repubblica parlamentare in repubblica presidenziale, accentrando fortemente il potere nelle mani del presidente ed erodendo il sistema di “checks and balances”, fondamentale per mantenere l’equilibrio dei poteri all’interno di uno Stato democratico.
Cosa prevede la riforma
Se il referendum avesse esito positivo, la carica di primo ministro verrebbe abolita e il presidente della repubblica prenderebbe il suo posto diventando il capo dell’organo esecutivo. Inoltre, al presidente verrebbero attribuiti i seguenti poteri:
• nominare e rimuovere il vicepresidente e i membri del Consiglio dei ministri senza che essi siano sottoposti al voto di fiducia parlamentare;
• sciogliere il parlamento, emanare decreti con forza di legge, eccetto per quelle materie regolate esclusivamente da essa, e rimanere allo stesso tempo il leader del proprio partito;
• proporre la legge di bilancio;
• nominare la metà dei membri dell’Alto Consiglio dei giudici e dei pubblici ministeri;
• dichiarare lo stato di emergenza;
• determinare le politiche di sicurezza nazionale e prendere le misure necessarie in tale ambito.
Altri emendamenti contenuti nella riforma prevedono:
• l’ampliamento del numero dei parlamentari da 550 a 600;
• l’allungamento della durata della legislatura da 4 a 5 anni (secondo un’interpetazione possibile della riforma, il conteggio dei mandati ricomincerebbe da capo ed Erdoğan potrebbe ricandidarsi per altri due mandati oltre quello in corso, non è stato chiarito se sarà questo il caso o meno;)
• indizione delle elezioni presidenziali e di quelle parlamentari per lo stesso giorno;
• l’abbassamento dell’età minima prevista per poter accedere all’elettorato passivo, che passerebbe da 25 a 18 anni;
• ineleggibilità degli individui con legami nel servizio militare; (art.76) [1]
• abolizione dei tribunali e giudici militari, da istituire eccezionalmente in caso di guerra;
• riduzione del numero dei giudici della Corte Costituzionale da 17 a 15 e dei componenti del consiglio dei giudici e magistrati che passerebbero da 22 a 13.
Infine, il meccanismo di messa in accusa del presidente diventerebbe molto complicato rispetto a quello attuale, determinando soglie di maggioranza più alte sia per avviare e proporre un’indagine che per rimetterla al giudizio della Corte Costituzionale.
La posizione dei partiti politici turchi
Oltre al partito Akp, sviluppatosi dalla tradizione dell’Islam politico e della “democrazia conservatrice” e fondato da Erdoğan, a sostenere la riforma figura anche il partito del Movimento Nazionalista (Mhp), che dopo il colpo di stato dello scorso Luglio, non ha esitato a garantire al presidente i voti necessari all’approvazione della proposta. Tuttavia la mossa del suo leader Devlet Bahçeli, oltre a non aver messo d’accordo i vertici del partito, non sembra rispondere alle aspettative della maggioranza del suo elettorato.
Sul fronte dell’opposizione si è invece schierato il Partito Popolare Repubblicano, principale forza laica del paese e secondo partito in parlamento per numero di seggi. Esso vede nella riforma un allontamento determinante dalla tradizione kemalista del Paese e il suo leader Kemal Kiliçdaroğlu ha fatto appello ai turchi affinchè “venga corretto il grave errore commesso dal parlamento”.
Infine il partito Democratico dei Popoli, partito filo-curdo entrato per la prima volta in parlamento nel Giugno 2015 con il 15% dei consensi, ha boicottato la votazione dichiarando di non voler usare il diritto di voto per “un progetto illegittimo in un contesto in cui i nostri deputati sono stati ingiustamente arrestati”, riferendosi all’arresto del Novembre scorso, quando il leader del partito Selahattin Demirtaş e la copresidente Figen Yüksekdağ furono accusati di terrorismo.
Motivazioni del sì e del no
I sostenitori della riforma affermano che, alla luce del tentato golpe e del clima di generale di instabilità dovuto in parte al perdurante conflitto con il gruppo separatista curdo Pkk e in parte alla lunga stagione di attentati di varia matrice che colpiscono da anni il Paese, la Turchia abbia bisogno di una leadership più forte per garantire la sua sicurezza.
Inoltre il presidente Erdoğan ha perorato la causa sostenendo che il sistema parlamentare turco spesso porti alla formazione di deboli coalizioni di governo incapaci di prendere decisioni importanti e ha affermato che la nuova Costituzione sarebbe molto simile a quella degli Stati Uniti e della Francia. [2]
Appare evidente che la riforma, attraverso un profondo e verticistico controllo delle istituzioni, renderebbe molto più difficile agli avversari politici del presidente inserirsi negli apparati dello Stato e destabilizzare il nuovo sistema di potere da lui retto. Al contrario gli oppositori vedono la riforma come un pericolo per lo Stato di diritto; quest’ultimo infatti, se il referendum avesse esito positivo, diventerebbe pericolosamente simile ad uno Stato autoritario.
A tal proposito, è stato evidenziato come al forte accentramento dei poteri nella figura del presidente, non corrisponda un reale sistema di pesi e contrappesi. Di conseguenza il principio della divisione dei poteri, importantissima garanzia di equilibrio, verrebbe fortemente inficiato. Queste preoccupazioni appaiano ancor più realistiche se si pensa alla stretta sulle libertà, le repressioni e gli arresti seguiti al tentato golpe dello scorso 15 Luglio.
Sondaggi e previsioni
Secondo i sondaggi pubblicati, il sì e il no si trovano in una posizione di equilibrio. Tuttavia i sondaggisti sono spesso stati riluttanti nel rendere noti i risultati sostenendo come vi siano troppi elettori indecisi affinché l’indagine possa risultare accurata; si tratta soprattutto di chi non è affiliato ad alcun parito. Bisogna inoltre sottolineare che i voti dell’elettorato dell’Mhp si divideranno: alcuni sondaggi rivelano infatti come circa metà degli elettori del partito siano orientati a bocciare la riforma.
Secondo il fondatore del centro di ricerca A&G, Adil Gür, a rendere dubbio il risultato della consultazione vi è anche quella parte dell’elettorato dell’Akp di Erdoğan che alle elezioni parlamentari del Giugno 2015 non votò a suo favore facendogli perdere la maggioranza assoluta in parlamento e spingendolo ad indire le elezioni anticipate a causa della difficoltà incontrata nel formare un nuovo governo. [3]
Sara Pola