Ebola: il coraggio della verità


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L’approfondimento settimanale di I.ME.SI.

Ebola: il coraggio della verità

a cura del
Prof. Francesco Scarlata
 Docente di malattie infettive presso l’Università degli studi di Palermo

Come spesso accade in
Italia, dall’ampia trattazione di un argomento sui media sfuggono alcuni
elementi essenziali alla comprensione della problematica.
Ebola (dal nome di un
fiume africano) è un virus dei pipistrelli e delle scimmie africane che si è
adattato alla specie umana e può trasmettersi da uomo infetto ad uomo sano
attraverso  la contaminazione di cute
lesa o di mucose (congiuntivale, orofaringea, genitale) sia lese che integre
con  sangue o secrezioni (saliva, feci,
urine, fluidi genitali, etc..).In teoria quindi la
trasmissione potrebbe essere evitata con l’adozione di grossolane precauzioni e
indossando dei semplici guanti.
Purtroppo abbiamo
visto come decine di operatori sanitari si siano ammalati pur indossando
dispositivi di protezione individuale ben più efficienti, inclusi gli
“scafandri” delle infermiere americane che assistevano il paziente deceduto a Dallas.
L’elevata contagiosità
dell’Ebola dipende dalla sua alta virulenza
(cioè capacità di indurre malattia), così che piccolissime quantità del
virus, presente anche su oggetti o alimenti contaminati da secrezioni
dell’infetto sono in grado di trasmettere il contagio e la stessa protezione
con “scafandri” non esclude la contaminazione durante il processo di
svestizione e di discarica dei dispositivi di protezione a perdere.
Inoltre le linee guida
internazionali, adottate a metà ottobre anche dal Ministero della Salute
italiano, considerano a rischio anche chi, pur senza alcun contatto, si sia
avvicinato a meno di un metro ad un paziente con Ebola. E’ lecito pertanto
supporre che, malgrado le rassicurazioni sulla non trasmissibilità del virus
per via aerogena (cioè inalando con il respiro particelle virali disperse
nell’aria sotto forma di aerosol), non vi siano certezze a proposito.
Viene inoltre ripetuto
fino alla noia che il virus non si trasmette durante il periodo di incubazione
e che pertanto debba essere considerato possibile fonte di contagio soltanto
chi inizia ad avere sintomi.
Tuttavia tale asserzione
(che d’altra parte non mi risulta ad oggi poggiare su dati virologici
significativi) contrasta con quanto è da tempo ben noto nelle altre malattie
infettive (dall’influenza alle malattie esantematiche, dalle gastroenteriti
alle epatiti) laddove senza dubbio alcuno la maggiore contagiosità si ha nella
seconda parte del periodo di incubazione quando una già ampia replicazione
microbica non è ancora contrastata dalla produzione di anticorpi.
D’altra parte se
l’infetto ancora senza sintomi non può trasmettere il virus, per quale motivo
l’efficientissimo servizio sanitario dell’esercito americano mette in
quarantena tutti i suoi militari di ritorno dalle aree di epidemia?
Un altro interrogativo
che è lecito porsi è quello relativo al livello di rischio Ebola per la Sicilia
e all’efficienza delle nostre strutture sanitarie di fronte ad un caso
probabile o accertato di infezione.
In atto la possibilità
che un paziente con Ebola giunga in Sicilia è di certo un evento molto più
improbabile rispetto ad altre regioni italiane od europee che hanno voli
diretti o comunque intrattengono rapporti più stretti con le aree di epidemia
(Liberia,Sierra Leone,Guinea). Gli stessi immigrati che giungono sulle nostre
coste, ancor che la provenienza sia difficilmente tracciabile (mancanza di
documenti di identità, false dichiarazioni, etc..), sbarcano dopo un viaggio
attraverso il deserto e un soggiorno sulle coste libiche di diverse settimane o
mesi, ampiamente superiore ai 21 giorni di massima incubazione.
Bisogna tuttavia ammettere
che l’operazione Mare Nostrum (“ servizio
informale di taxi sul mare”,
come affermato da una Commissione UE) ha
portato non soltanto ad un aumento dell’immigrazione clandestina ma anche ad
una notevole accelerazione dei tempi della migrazione dall’Africa Nera alle
coste nord-africane e da qui in Sicilia per cui non si può escludere che
focolai di Ebola possano verificarsi nei campi profughi di quella terra di
nessuno che è diventata la Libia e in questo caso la Sicilia diverrebbe da
regione europea a bassissimo rischio a ventre molle dell’importazione del virus
in Europa in quanto la nostra “frontiera”
marittima non potrebbe filtrare i casi come si cerca oggi di fare in ogni
parte del mondo con i controlli allo sbarco in porti e aeroporti.
Per quanto riguarda
infine l’eventuale isolamento di casi sospetti o accertati (questi ultimi in
attesa di essere trasferiti allo Spallanzani di Roma, unico centro deputato
alla loro cura) non mi risulta che negli ospedali siciliani vi siano posti
letto con i criteri di sicurezza biologica da tempo codificati per le febbri
emorragiche virali, alle quali la malattia da virus Ebola appartiene. Ad oggi
non sono neppure pervenuti i dispositivi di sicurezza individuale dal cui
assemblaggio deriva l’ormai ben nota bardatura dei sanitari predisposti
all’assistenza degli ammalati o dei sospetti.

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