Marta Grande
Dal 7 maggio 2013 è membro della III Commissione (Affari Esteri e Comunitari).
Da luglio 2013 è membro del comitato permanente sulla politica estera e relazioni esterne dell’Unione Europea.
Dal 2015 è membro e segretario del comitato permanente sui diritti umani e membro del comitato permanente sull’attuazione dell’agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Da ottobre 2014 è capogruppo del Movimento cinque stelle nella commissione di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro.
Intervista a Marta Grande (M5S) su temi di politica estera
A cura di Federico La Mattina
In questi anni gli equilibri globali stanno mutando notevolmente: stiamo assistendo a sommovimenti politici, smottamenti geopolitici, ascesa di nuove o vecchie potenze (o aspiranti tali). Gli Stati Uniti – unica superpotenza globale – stanno attraversando una crisi egemonica di durata ed esito imprevedibili.
Risulta impossibile valutare un programma di governo relegando la politica estera ad accessorio secondario, quasi fosse un tecnicismo da esperti di diplomazia. Le decisioni di politica estera hanno una grande influenza, spesso di lungo periodo, nel futuro di un paese.
Ciò è immediatamente tangibile per un paese come l’Italia che ha scontato la destabilizzazione del proprio fronte est balcanico e del proprio fronte sud a seguito della guerra a direzione franco-anglo-statunitense contro la Libia (a cui non è stata capace di opporsi). Discutere di geopolitica, del ruolo dell’Italia nel Mediterraneo, in Europa e nel mondo, lungi dall’essere un esercizio accademico, è attività di essenziale ed imprescindibile importanza.
Abbiamo intervistato l’Onorevole Marta Grande, parlamentare del Movimento 5 Stelle molto attenta alle vicende di politica estera (membro della Commissione Affari Esteri e Comunitari e della commissione di inchiesta sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro).
Onorevole Grande, il M5S ha più volte rivendicato una forte autonomia nelle decisioni di politica estera, criticando le scelte governative. Dal punto di vista geografico l’Italia è sia un paese legato all’Europa continentale che un paese mediterraneo.
Sono mutati gli equilibri geopolitici della guerra fredda e possiamo dire che si è chiusa anche la breve parentesi unipolare avviata negli anni novanta. Senza rispolverare patetiche ambizioni neocoloniali, l’Italia può svolgere un importante ruolo di mediazione, trovando una forte centralità nel Mediterraneo? Come bisognerebbe indirizzare la politica estera del nostro paese?
È una domanda, questa, che include già parte della risposta. È un fatto incontestabile l’esistere di una Europa “continentale” e di una “mediterranea”, non lo è però altrettanto una equilibrata coesistenza di queste due diverse identità: la Germania e l’Italia sono rispettivamente i due paesi faro di queste realtà ma il nostro paese viene spesso minato nella propria autonomia politica, non riuscendo così ad esercitare quella spinta propulsiva nel bacino del mediterraneo che mai quanto in questo particolare momento storico risulta necessaria.
Cooperazione, immigrazione, disuguaglianza sociale; sono, questi, temi che la politica italiana dovrebbe e potrebbe naturalmente candidarsi a rilanciare a livello internazionale. Del resto la nostra leadership in area mediterranea si estende ben oltre i limiti dei confini europei e molti sono i paesi africani e mediorientali che riconoscono nell’Italia un faro, un riferimento forte ed affidabile.
Quelli che si preannunciano all’orizzonte sono cambiamenti epocali e tutti noi dobbiamo predisporci ad affrontarli nel giusto modo, scevri da ogni pregiudizio e condizionamento nostalgico, per questo credo che l’Europa sia ad un punto di svolta e vada ripensata, corretta e rilanciata come istituzione politica. L’Italia può candidarsi ad essere la locomotiva trainante di questo processo? Assolutamente sì.
Guy Mettan, giornalista e politico svizzero, ha scritto un libro, recentemente tradotto in Italia, in cui analizza storicamente il fenomeno della “russofobia”, dedicando ampio spazio agli eventi degli ultimi anni.
Il Movimento 5 Stelle è stato ampiamente criticato, spesso bollato come filo-russo, per essersi opposto alle sanzioni o per avere criticato la politica aggressiva della Nato nei confronti della Russia. Ritiene che alla base di queste critiche ci sia un atteggiamento di – spesso istintiva – russofobia? Qual è la sua opinione in merito alle relazioni tra Italia e Russia?
L’Italia ha con la Russia relazioni eccellenti da decenni e proprio il nostro paese, in sede Europea, si è battuto perché non venissero rinnovate automaticamente le sanzioni e che tale scelta venisse invece sottoposta al voto.
Certo si sarebbe potuto e dovuto fare di più, per quanto il segnale è evidente e va accolto per quello che effettivamente rappresenta, cioè una discontinuità rispetto alla reazione monolitica della pressoché totalità dei paesi occidentali.
Il perché è presto detto: incassata la pressione sistematica di tutti i gruppi parlamentari il governo, seppure timidamente, ha dovuto muoversi in questa direzione.
Il Medio Oriente e il Nord Africa sono immersi nel caos. Paesi come Libia, Siria, Iraq sono in profonda crisi di statualità e il fenomeno jihadista trova nuova linfa nei conflitti. Ritiene che le potenze occidentali siano corresponsabili del caos mediorientale? L’Occidente (e i suoi alleati) hanno avuto a suo avviso delle responsabilità nell’escalation del conflitto siriano?
Quando un paese si trova coinvolto in un conflitto non è mai esente da responsabilità. Innocenti, purtroppo, sono solamente le vittime civili. In questo caso, poi, non parliamo di singoli paesi ma di aree ben più vaste, oggetto di rivoluzioni e conflitti sui quali, col senno di poi, possiamo esprimere i giudizi più articolati ma che tutto sembrano fuorché spontanei ed auto-determinati.
La Siria e la Libia, distrutte da anni di bombardamenti non sono realtà di un altro pianeta e l’Europa non può certo permettersi il lusso di appiattirsi su direttive e linee strategiche tracciate da altri. Noi, per primi, dobbiamo credere al nostro potenziale ed influenzare lo scacchiere politico mediorientale recitando la parte dei protagonisti e non dei comprimari.
Una Europa che ripiega su sé stessa rinchiudendosi nel proprio guscio sarebbe la prova provata di un’assenza di strategia e di visione comune.
Si sente spesso parlare di uno “scontro di civiltà” di huntingtoniana memoria. Ritiene che oggi esista sul serio un simile pericolo?
Non esiste nessuno scontro di civiltà ma piuttosto un ritorno alle classi sociali. La politica – tutta – questo lo sa per certo ma si guarda bene dal dirlo, dal momento che non è ancora riuscita a dotarsi di uno strumento sufficientemente concreto per rinnovarsi.
Parliamo di un processo complesso, di difficile identificazione: quelle che ieri venivano definite con un disprezzo quasi sarcastico “masse” oggi hanno nomi diversi, si chiamano ” gente”, “cittadini” e rappresentano una maggioranza sempre più vasta e sempre più delusa, sofferente e però priva, al contempo, di quegli strumenti di lotta che almeno due decenni di destabilizzazione politica ed economica hanno generato.
Il potere vigila sempre, non ha flessioni, non conosce pause e non indietreggia mai. È stato creato ad arte un vuoto di valori e principi, una solitudine ideale, una alienazione individuale che non può che sfociare in una grottesca paura dell’altro e tanto più le diversità si accentuano quanto più monta lo scetticismo, la diffidenza, la rabbia.
La grande scommessa che abbiamo l’obbligo di vincere consiste proprio nel semplificare il quadro e fare chiarezza, in modo definitivo e serio, su chi sono veramente i buoni e i cattivi.
Temi come il futuro dell’Unione Europea e della Nato dividono molte forze politiche in Europa. L’amministrazione Trump è ancora agli albori e gli iniziali ottimismi su un accordo di ampio respiro tra Usa e Russia cominciano a scemare. Qual è la vostra posizione sul futuro dell’Europa e dell’Alleanza Atlantica?
Io sono ottimista rispetto agli sviluppi delle relazioni internazionali così come di quelle atlantiche: per quanto esista, in questo senso, un inquietante principio di osmosi, tuttavia il crollo delle ideologie non ha di fatto cancellato le specificità culturali dei popoli e la natura dei singoli individui.
Se da un lato si avverte un fastidioso ritorno ai nazionalismi più beceri dall’altro, il semplice venire meno dell’alibi “ideologico” limita in modo drastico il potenziale aggressivo tanto delle singole realtà statuali quanto di entità politiche più complesse come appunto la nostra UE e la stessa NATO.
La parola chiave è ristrutturare e possiamo essere certi che ciò avverrà presto e su larga scala. Recentemente abbiamo affrontato questo tema proprio in Aula, durante la discussione di una proposta di legge di iniziativa popolare che non a caso abbiamo presentato proprio noi: bisogna rinnovare per rendere efficiente ed efficace, non esiste un percorso alternativo a questo.
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