I missili di Kim, quanto c’è da preoccuparsi per il nucleare Nord Coreano?



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E’ di pochi giorni fa la notizia diffusa dai centri di analisi e monitoraggio di tutto il mondo del nuovo traguardo conseguito dall’esercito nord coreano nella tecnologia missilistica: Il primo test del nuovo vettore da trasporto per testate nucleari è andato a buon fine. Il missile balistico Musudan (interamente progettato e sviluppato in Corea del nord) si è schiantato nelle acque territoriali giapponesi notificando al mondo i progressi fatti dal regime di Pyongyang nel campo della balistica intercontinentale.

In quanto semplice test missilistico, il Musudan era sprovvisto di testate nucleari, ciò nonostante l’obiettivo di Kim Jong Un non è stato quello di dimostrare al mondo l’ennesimo aumento di chilotoni dei propri ordigni nucleari, bensì testare il raggio effettivo dei nuovi vettori missilistici e dichiarare pubblicamente che la Corea del nord dispone di missili con sufficiente gittata da colpire obiettivi ben al di fuori del proprio settore d’influenza.

Con una gittata approssimativa di 1.300km il Musudan è il primo vettore nord coreano alimentato a propellente allo stato solido ( condizione essenziale per i missili intercontinentali) una tecnologia in grado, almeno sulla carta, di lambire anche le coste occidentali degli Stati Uniti. Le foto satellitari dimostrano che i cantieri missilistici della Nord Corea sono in fermento, con una pletora di progetti (quasi tutti ancora non testati e quindi in stato embrionale) in grado di trasformare il piccolo e controverso paese in una potenza nucleare con capacità d’attacco intercontinentali.

Sono al vaglio progetti che prevedono nei prossimi anni la sostituzione dei vetusti Scud di produzione sovietica (con un raggio di “appena” 960km) in favore di progetti interamente sviluppati nel nord in grado di garantire la sufficiente pressione internazionale e la giusta deterrenza di cui la Corea del nord ha disperato bisogno. Il più faraonico progetto è il KN-80 “Hwasong” un vettore multistadio (ICBM – acronimo di Intercontinental Ballistic Missile ) in grado di colpire a 11.500km di distanza, ovvero:

qualsiasi zona del Giappone, tutta la west coast statunitense e parte dell’Europa, il che, francamente, sembra più una manovra propagandistica piuttosto che un reale progetto su cui investire, soprattutto perché sviluppare, testare e alimentare un intero arsenale di ICBM di questo calibro è un’operazione tanto costosa quanto irraggiungibile per le traballanti finanze di Pyongyang che continua tutt’oggi a soffrire per le sanzioni internazionali e per l’embargo sugli idrocarburi.


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L’ultimo test missilistico, però, non era soltanto volto a mostrare i muscoli, ma era una risposta chiara ai rivali del Sud, al governo di Washington, e al loro intento di continuare lo schieramento del THAAD ( Terminal High Altitude Area Defense) un ammodernato sistema missilistico( il progetto risale ai tempi della guerra fredda) che dovrebbe abbattere i missili balistici a medio e corto raggio, ma non gli ICBM.

E’ con questo presupposto che l’ultimo test missilistico di Kim Jong Un rischia di far implodere il complesso equilibrio indocinese che si regge su fondamenta assai precarie. Perentoria è arrivata la condanna del governo cinese nei confronti del dispiegamento del sistema di difesa a stelle e strisce: Schierare un sistema di difensivo contro missili a medio raggio quando la nord Corea ha appena testato il suo primo missile a lungo raggio, nell’ottica di Pechino, è un chiaro segno della volontà statunitense di arginare l’influenza della Cina nel settore e non una reale deterrenza verso la Corea del nord, riducendone l’efficacia missilistica in una zona che i Cinesi iniziano sempre più a percepire come un cortile di casa.

Le considerazioni a caldo di Hong Yuan, esperto di relazioni USA-Cina all’Academy of social sciences di Pechino, esplicano bene i timori nutriti dai cinesi: “ Già il dispiegamento del Thaad è un atto ostile nei confronti della Cina[…] qui non si tratta di una semplice difesa missilistica, il Thaad fa parte di un sistema di allerta globale pensato in funzione degli interessi USA che minaccia, fra l’altro, anche la Russia. Avventurarsi in operazioni chirurgiche in un’area dove sono presenti almeno due potenze nucleari sarebbe imprudente e pericoloso”.

A rendere ancora più spinosa la questione è il sito in cui sarà ampliato e reso operativo il Thaad: La parte più meridionale della penisola coreana, la zona dove sorgono la maggior parte delle istallazioni militari e dove sono stanziate il grosso delle forze USA.

Ciò rende il sistema antimissile non uno strumento di difesa per Seoul e della popolazione civile nei confronti del Nord, ma uno strumento per preservare la capacità operativa e l’efficienza militare delle truppe statunitensi nella regione.

Non attendendo responsi dai classici canali diplomatici la Cina ha già iniziato un boicottaggio non dichiarato della Corea del sud: le imprese private (ma sempre fortemente dipendenti dal governo centrale) hanno iniziato a cancellare forniture e rapporti commerciali con molte aziende sud coreane, i maggiori siti web turistici in Cina hanno annullato le prenotazioni verso la penisola coreana, il conglomerato giapponese-coreano, Lotte, ha subito la chiusura di una ventina di punti vendita in territorio cinese, l’industria dell’intrattenimento di Seoul si è vista oscurare molti dei propri programmi, trasmessi via web, nel territorio cinese, più ci si avvicinerà alla piena operatività del THAAD più le pressioni cinesi si faranno insistenti rischiando di far precipitare la situazione.

A questo punto bisogna attendere una risposta dal governo di Seoul soprattutto in merito alla questione della presenza USA sul proprio territorio, argomento che divide l’opinione pubblica e infiamma la scena politica già da qualche anno, dimostrando come una precisa frangia della popolazione (quella più giovane) non ritenga più necessaria la totale adesione alle linee guida geopolitiche fornite dagli Stati Uniti, preferendo imbastire nuove relazioni diplomatiche con Cina, Russia e Nord Corea.


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Sicuramente la partita che in questo momento giocano da Tokyo, Pechino, Seoul e Washington, trascende la questione Nord Coreana e il suo deterrente nucleare, soprattutto perché un paese cronicamente a corto di materie prime e beni di prima necessità come il Nord, con un difficilissimo accesso alle tecnologie belliche, soprattutto in campo missilistico, non costituisce una reale minaccia nei confronti delle principali potenze nucleari.

Gli eventuali missili nord coreani, anche se efficienti e con notevole gittata, sarebbero prodotti in un numero tanto esiguo da essere facilmente intercettati e resi inoffensivi, di contro la rappresaglia che il Nord dovrebbe subire non lascerebbe scampo e questo Pyongyang lo sa bene.

Il braccio di ferro sul nucleare è soltanto l’ennesimo tentativo da parte del Nord di uscire, con tutti i mezzi, dall’isolamento internazionale che lo soffoca da decenni. Una prima composizione dei complessi rapporti fra le due coree potrebbe essere proprio la crisi del governo di Seoul che ha portato all’impeachment di Park Geun-hye spianando la strada alla sinistra nazionalista e al suo candidato favorito: Moon Jae-In, che si batte da tempo per un approccio più collaborativo col nord.

Bryan Myers, docente di studi internazionali alla Dangseo University di Seoul, ha infatti tenuto a sottolineare:
“In passato lo stesso Moon ha aperto all’idea di una confederazione fra nord e sud, obiettivo perseguito da Pyongyang sin dagli anni ’60. Ma il Nord pone come condizione per la creazione di tale federazione il preventivo ritiro di tutte le truppe americane. Una richiesta che potrebbe essere anche troppo per un governo sud coreano di sinistra.”

Bisogna vedere adesso, una volta chiusasi la fase di turbolenza che sta per adesso attraversando il governo di Seoul, quanto gli Stati Uniti siano disposti a tollerare l’eventualità di un nuovo allineamento geopolitico del Sud e quanto la strategia di contenimento della Cina, fortemente sostenuta da Trump, possa incidere su tale processo.

Fabrizio Tralongo

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