Palestina: il discutibile contributo italiano ad una battaglia lunga un secolo


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Palestina: il discutibile contributo italiano ad una battaglia lunga un secolo

Francia, Germania, Svezia, Gran Bretagna, Italia. Stati
nazione, o “Stati di diritto”, meglio noti. Stato di Palestina. Qualcosa stride già nel nome. Vi è in realtà una battaglia lunga un secolo, alle spalle di
questo territorio, che spiega perfettamente la ragion d’essere di tale nuisance.
Una battaglia suo malgrado senza speranza, se consideriamo quanto possa essere
utopica l’impresa di accogliere le ragioni di due popoli che “dialogano” a
colpi di guerriglie per aver riconosciuta la propria unicità sul suolo. Un
territorio pur sempre popolato da vite umane, le stesse che in tutti gli stati
del mondo sono oggi portatrici dei più alti valori di dignità trasmessici dai
nostri Padri Costituenti, eppure ancora indifferente all’idea di aver versato
tanto sangue. Ma è nel riconoscere questi dati di fatto che ci rendiamo conto
di quanto possa risultare semplicistico affibiare le colpe di tale
atteggiamento all’intrinseca natura dei suoi abitanti, quasi che i loro geni contenessero
i demoni della distruzione, o peggio, ad una singola causa. Quella che oggi passa
alla storia sotto il nome di questione israelo – palestinese è figlia di una
serie di motivazioni storico – religiose che si susseguono perfette come gli
anelli di una catena inossidabile. Che l’arrivo degli Ebrei, successivo alla seconda
guerra mondiale, si possa considerare dalla prospettiva araba come un’invasione
immotivata, è un dato di fatto. È tutt’altro che ragionevole pretendere di
riappropriarsi con la forza di un territorio, soltanto perché duemila anni prima
vi hanno abitato i propri antenati. D’altro canto, Israele non a torto rivendica
il riconoscimento della propria nazione che trae la sua esistenza non da un mero
atto di forza ma da una risoluzione dell’Onu, e dunque riponendo le origini
della sua natura legale nella comunità internazionale. Tra l’altro non è mai
esistito un popolo palestinese in quanto tale, ma solo una vastissima comunità
di arabi stanziata su un immenso territorio. Perciò la formula “due popoli per
due nazioni” sembra, alla luce di quanto detto, pura retorica dissacrante.
Queste sono solo alcune premesse per dimostrare quanto quello israelo-palestinese
sia tutt’altro che catalogabile in una sbrigativa etichetta e per poter
asserire che si tratti di un conflitto senza precedenti storici, motivo per cui
una soluzione unica per tutti sembra oggi quasi impossibile
da ottenere. Ma cosa si
intende per Stato di Palestina? Oggi lo “Stato di Palestina”, che deve il suo infelice battesimo
alla retorica dell’esclusione, raccoglie i territori palestinesi divisi della Cisgiordania
e della striscia di Gaza, oltre al Libano, parte della Siria e della Giordania.
La sua indipendenza è stata sancita dalla maggior parte degli Stati europei, i
quali hanno decisamente subito l’influenza della Svezia come di chi con
perfetta non chalance apre le danze, oltre che dalle Nazioni Unite le quali con
la risoluzione 67/19 del 29 Novembre 2012 gli hanno riconosciuto lo status di
“Osservatore permanente”, seppur non membro. Si ricorda inoltre il
riconoscimento dall’Unesco a far data dal 31 Ottobre 2011 e per ultimo in
tempistica, ma non per importanza, quello avvenuto dal Parlamento europeo il 17
Dicembre 2014 con la risoluzione 2014/2964. Sarebbe questo il lungo e faticoso percorso
che negli anni sta concedendo alla Palestina di ottenere il proprio posto nel
mondo. E l’Italia?
Quale ruolo per un governo che fa da spettatore a un teatro dilaniato da tali e
tante contraddizioni? Volgendo uno sguardo ai numeri, è datato 27 Febbraio 2015 il
riconoscimento della Palestina da parte della Camera dei deputati. Più
precisamente, sono state presentate ben sei mozioni, delle quali soltanto due
sono state, alla fine, votate. La prima, proveniente dal Partito Democratico ed alla quale
ha deciso di convergere Sinistra Ecologia e Libertà, più esplicita, prende la freccia
rossa per raggiungere la quanto mai irrisolta questione israelo-palestinese,
nonostante si limiti a chiedere che il governo lavori a questo scopo. Essa, di
fatti, impegna l’Esecutivo “a continuare a sostenere in ogni sede l’obiettivo
della costituzione di uno Stato palestinese che convive in pace, sicurezza e prosperità
accanto allo Stato di Israele…” L’altra, proposta dalla coalizione moderata Area Popolare e
Nuovo Centro Destra, benché se ne dica il contrario, non presenta alcuna
somiglianza con la precedente. Anzi subordina il riconoscimento della Palestina
ad un accordo politico fra le parti; una mossa che ottiene l’approvazione di Israele,
il quale considera quella del negoziato l’unica via per intraprendere un
cammino di pace. Si citano testuali parole nella mozione: “S’impegna il governo
a promuovere il raggiungimento di un’intesa politica tra Al Fatah e Hamas per
cui, attraverso il riconoscimento dello Stato di Israele e l’abbandono della
violenza, si determinino le condizioni per il riconoscimento di uno Stato
Palestinese.” Cosa è successo, dunque? Alla resa dei conti il nostro
governo si è trovato ad approvare un voto che presenta un esito duplice e
contrapposto, grazie al quale ben si spiega l’esultanza dell’ambasciata
israeliana e di quella palestinese che si ritrovano, subito dopo il discorso
del nostro ministro degli Esteri alla Camera, a ringraziare entrambe il governo
italiano. Non sarà che l’Italia faccia il doppio gioco, che insomma decida
per non decidere? La domanda cui non si può rifuggire, e che risulta quanto mai
banale ma allo stesso tempo urgente, attiene dunque alla veridicità del nostro operato.
Considerando infatti il lungo percorso, di cui sopra, intrapreso dai territori
israelo-palestinesi, ed ormai quasi del tutto accettato dal regime
internazionale, l’ambiguità che si cela dietro la doppia risposta italiana
appare assai stridente e non fa affatto pensare ad una volontà di mettere
d’accordo le due parti al governo, per evitare una spaccatura, così come
giustificato dall’Onorevole Paolo Gentiloni.
Giulia Guastella

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