ITALICUM E CONSULTA: SI POTEVA OSARE DI PIU’!



Un'udienza della Corte Costituzionale ANSA / MAURIZIO BRAMBATTI

Un’udienza della Corte Costituzionale
ANSA / MAURIZIO BRAMBATTI


Ancora una volta la Corte Costituzionale torna, nel giro di pochi anni, ad occuparsi di legge elettorale. Lo aveva già fatto nel 2014, con la celebre sentenza n. 1 che aveva dichiarato l’incostituzionalità del cd. Porcellum, torna a farlo oggi con questa pronuncia con la quale dichiara, parzialmente, incostituzionale il cd. Italicum. Partiamo proprio dalla sentenza 1 del 2014.

In questa sentenza, la Corte, pur affermando che in Costituzione non esiste una norma che impone questo o quel sistema elettorale, che è una scelta discrezionale del potere politico, tuttavia ha rilevato l’illegittimità costituzionale del cd. Porcellum sia nella parte in cui non prevedeva una soglia minima per l’attribuzione del premio di maggioranza e con ciò violando il principio fondamentale di eguaglianza del voto ( art. 48, comma 2, Cost.) – principio secondo cui ciascun voto deve contribuire con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi – sia nella parte in cui tale legge non prevedeva alcuna preferenza.

La Consulta, al riguardo, volle ribadire che la Costituzione non attribuisce ai partiti politici alcun potere costituzionale in ordine alla formazione degli organi elettivi, principio quest’ultimo che veniva violato da quella legge elettorale che, prevedendo collegi molti ampi e liste bloccate di candidati, di fatto privava l’elettore di ogni potee di scelta dell’eletto, che era rimesso alla mera ed esclusiva volontà del partito politico, che stabiliva l’ordine di composizione delle liste.

Al fine di recepire i rilievi della Consulta, l’allora Governo Renzi partorì una nuova legge elettorale, l’Italicum come giornalisticamente conosciuto, applicabile unicamente alla Camera dei Deputati, in quanto nelle previsioni del Governo il Senato della Repubblica doveva essere abolito o quantomeno sottratto all’elezione diretta: circostanza quest’ultima non verificatasi per la bocciatura della riforma costituzionale lo scorso 4 dicembre.

L’Italicum è una legge proporzionale, con una soglia di sbarramento al 3%, con liste di candidati il cui solo capolista è indicato dal partito mentre tutti gli altri devono essere scelti con la preferenza da parte dell’elettore; prevede che il partito che ottiene almeno il 40% dei voti ottenga un premio di maggioranza tale da avere assegnati il 55% circa dei seggi della Camera dei Deputati. Se nessun partito raggiunge tale soglia, si procede con un successivo turno di ballottaggio tra i due partiti più votati ed il partito vincitore si vede assegnato il premio di maggioranza.


Camera dei Deputati

Camera dei Deputati


Con la sentenza di ieri, la Consulta si è limitata a dichiarare incostituzionale il solo ballottaggio e inoltre le candidature plurime, cioè la possibilità di candidarsi in più collegi fino ad un massimo di 10, restano, ma non sarà l’eletto a scegliersi il collegio, bensì ciò avverrà con sorteggio. Francamente, la decisione della Consulta appare deludente, poiché la stessa non si è pronunciata su un aspetto importante quale appunto quello dei capi lista bloccati, cioè di candidati che saranno automaticamente eletti senza bisogno di alcuna preferenza.

Ed in questo modo, a mio avviso, la Consulta ha tradito quanto aveva precedentemente stabilito nella sentenza n. 1/2014, allorquando aveva affermato il principio secondo cui ciascun voto deve contribuire con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi: l’avere mantenuto i capilista bloccati, crea una evidente disparità di trattamento tra il voto di chi esprime una preferenza contribuendo ad eleggere il proprio candidato ed il voto di chi indica solo il partito, vedendosi così imposta l’elezione di un candidato non votato.

Il voto deve essere libero ed uguale ( vedi sentenza n. 43/1961 della stessa Corte Costituzionale), e non possono esserci candidati nominati dai partiti, seppur in misura limitata. Da questo punto di vista, è chiaro che la Consulta si è piegata alla volontà dei tre grandi partiti ( PD, M5S, FI) che hanno tutto l’interesse ad avere un sistema elettorale privo di preferenze ed in cui gli eletti vengono da loro nominati.

Si badi, che come affermato dalla stessa Corte, la legge elettorale così espunta risulta essere immediatamente applicabile, con la conseguenza che, se il Parlamento non interverrà con alcuni correttivi, vi è il rischio di votare e non garantire alcuna governabilità, atteso che ad oggi nessun partito sembra possa raggiungere il 40% ed avere diritto al premio di maggioranza. In altri termini, potremmo ritrovarci una Camera dei Deputati ed un Senato della Repubblica ( quest’ultimo eletto con il cd. Consultellum, cioè con il Porcellum corretto dalla sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale) in cui non sarà possibile formare alcuna maggioranza di governo, se non dando vita ad un governo di grande coalizione tra PD e FI.

In ordine poi, all’armonizzazione dei sistemi elettorali tra Camera e Senato, mi permetto di sottolineare che, a Costituzione invariata, con un Senato che come noto è eletto su base regionale ed una Camera dei Deputati eletta su base nazionale, l’armonizzazione non potrà mai essere garantita: serve prima infatti una riforma costituzionale che stabilisca che anche il Senato è eletto su base nazionale, circostanza quest’ultima non verificabile poiché tradirebbe lo spirito regionalistico del Senato stesso.

Dott. Rosario Fiore
Cultore di Diritto Pubblico Comparato ( IUS/21), Unipa

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