Trump, il rivoluzionario.
Siamo tutti un po’ americani. O meglio, almeno una volta nella vita ci siamo sentiti tutti un po’ americani. E in media, l’ultima volta che ci siamo sentiti tale, è stato circa una settimana fa, e con precisione direi la notte di Martedì 8 novembre, quando letteralmente tutto il mondo è rimasto con il fiato sospeso su chi tra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti Hillary Clinton e Donald Trump, la storia e il popolo degli Stati Uniti avesse eletto come suo 45° presidente. “E’ incredibile” si è chiesto qualcuno “come il voto di 240 milioni di persone ne valga del destino di 7 miliardi.” Incredibile ma reale. Nella notte di martedì scorso, che potrebbe benissimo essere definita “la notte della globalizzazione della sudditanza” le televisioni e le agenzie di stampa globali, come turbini impazzite, battevano una dopo l’altra le notizie che provenivano oltreoceano. I social Network erano impazziti, americani e non americani – ma che in quel momento si sentivano più americani degli americani stessi -, politologi della ultim’ora e opinionisti e analisti spuntati come i funghi dal nulla, pregavano e speravano che a vincere le peggiori elezioni nella storia degli Stati Uniti, fosse Hillary Clinton, già ex first-lady, ex-senatrice ed ex- Segretario di Stato, candidata con i Democratici, contro il più tenace ed indubbiamente peggior candidato repubblicano Donald J. Trump. Ma “Virtù e Fortuna” avrebbe detto Machiavelli e “voglia di cambiamento” hanno fatto si che gli americani votassero proprio il peggiore “The Donald”.
L’elezione di Trump come 45° presidente degli Stati Uniti è stato qualcosa di inaspettato e di scongiurato ma che è accaduto..
Ma perché proprio Trump? Perché Trump, nella sua infinita “maleducazione”, si è rivelato il vero volto del cambiamento (in peggio?) che gli Stati Uniti stanno attraversando, quella tanto preoccupante rottura con i poteri forti presenti a Washington. Ma Trump è un magnate! Sì! Trump è un magnate; anzi è l’esempio per eccellenza del Businessman e, parliamoci chiaro era quello che molto probabilmente gli americani avevano necessità di avere come presidente.
L’America è un paese ricco ed infinito di contraddizioni, il Meltingpot di culture che persiste fin dalla sua fondazione ne è la caratteristica principale, ma anche la causa della grave differenza sociale che spesso e volentieri sfocia in violenze di stampo razziale, e dopo otto anni di amministrazione Obama, il primo presidente nero nella storia degli States che alle sue piccole vittorie – Obamacare, disoccupazione ai minimi termini, diritti LGBT – ha ceduto il passo a grandi sconfitte (politica estera) a nulla è servito il tentativo di stabilizzare la questione razziale; l’America è paradossalmente ripiombata nell’oscuro vortice del razzismo, WASP contro Afro. E la testimonianza di quest’ultimo grave problema è l’elezione di Trump, che con la sua elezione ha fatto emergere proprio i gravi problemi sociali del paese, e la testimonianza di come quegli stati da sempre di corrente democratica abbiano deciso di non continuare con una pessima copia di quello che fu l’amministrazione Obama, ovvero Hillary Clinton. Ecco perché non hanno vinto i democratici.
Ecco perché Trump è un rivoluzionario perché parla il linguaggio slang , a tratti un po’volgare, delle classi meno abbiette degli States, di quelle sperdute realtà dell’entroterra americano dal futuro incerto e senza prospettive, avendo il coraggio di uscire dagli schermi del falso politically correct ,tipico della realtà USA, mostrando quanto di peggiore e di reale vi è dietro un politico. Nella sua ideologia pseudo di destra, tra nazionalismi e mire isolazioniste, Trump è il Repubblicano più democratico degli stessi Democratici, dove la parola Democrazia,in una realtà come quella statunitense è un qualcosa di abbastanza poco definito.
Emanuele Pipitone