– EDIZIONE STRAORDINARIA –
Raid a Kunduz: raso al suolo l’ospedale di Medici senza frontiere
Sono le 2.08, ora
locale, a Kunduz, in Afghanistan, quando l’oscurità della notte viene
attraversata da un bagliore accecante e un tonfo sordo rompe il silenzio di un
paese addormentato. Sono le 2.08, ora locale, quando la prima bomba si abbatte
sull’ospedale di Medici Senza Frontiere. Il bombardamento, messo in atto dalle
forze Nato, cesserà solo dopo un’ora, intorno alle 3.15, malgrado lo
staff di Msf si fosse messo in contatto con il comando Nato di Kabul e con
Washington già nei dieci minuti immediatamente successivi al lancio della prima
bomba. Dopo l’impatto degli ordigni, l’incendio. Secondo le testimonianze dei
sopravvissuti molte delle vittime, impossibilitate a muoversi dai rispettivi
letti, sono state sopraffatte dalle ustioni. Il bilancio, benché ancora
provvisorio, è molto grave: una ventina di morti, tra cui civili, adulti e
bambini, e membri dello staff medico e circa una quarantina di feriti.
All’attacco sono immediatamente seguite le polemiche e le giustificazioni. Il
primo a rompere il silenzio è stato proprio Msf, tramite il responsabile per
l’Afghanistan Guilhem Molinie, il quale ha precisato che “tutte le parti nel
conflitto, a Kabul e a Washington, erano state informate sulla precisa localizzazione
delle strutture con coordinate Gps ”. In un primo momento, le forze americane
hanno fatto sapere, tramite il portavoce delle forze statunitensi presenti in
Afghanistan, che “le forze Usa hanno condotto un raid aereo sulla città di
Kunduz contro individui che minacciavano le forze”, e che, pertanto,
l’operazione “potrebbe avere causato danni collaterali ad una struttura medica
della città”. Kabul, invece, fa sapere che “nell’ospedale si nascondevano 10-15
terroristi, tutti uccisi”, lasciando intendere che l’ospedale possa aver a
tutti gli effetti rappresentato un bersaglio militare. Il segretario alla
Difesa degli Stati Uniti, Ashton Curter, rende nota la volontà da parte delle
autorità competenti di aprire un’indagine per determinare le cause
dell’avvenimento, senza tuttavia ammettere la presenza di terroristi e
guerriglieri all’interno dell’ospedale. Alle tesi statunitensi ha
immediatamente fatto seguito la smentita da parte del portavoce dei talebani
Zabiullah Mujahid, che non solo ha affermato che al momento del bombardamento nell’ospedale
non era presente nessuno dei combattenti, ma ha anche condannato aspramente
l’avvenimento come un “crimine americano”, ennesima prova, secondo lui, “della
natura spietata e ipocrita degli invasori e dei loro mercenari”.
locale, a Kunduz, in Afghanistan, quando l’oscurità della notte viene
attraversata da un bagliore accecante e un tonfo sordo rompe il silenzio di un
paese addormentato. Sono le 2.08, ora locale, quando la prima bomba si abbatte
sull’ospedale di Medici Senza Frontiere. Il bombardamento, messo in atto dalle
forze Nato, cesserà solo dopo un’ora, intorno alle 3.15, malgrado lo
staff di Msf si fosse messo in contatto con il comando Nato di Kabul e con
Washington già nei dieci minuti immediatamente successivi al lancio della prima
bomba. Dopo l’impatto degli ordigni, l’incendio. Secondo le testimonianze dei
sopravvissuti molte delle vittime, impossibilitate a muoversi dai rispettivi
letti, sono state sopraffatte dalle ustioni. Il bilancio, benché ancora
provvisorio, è molto grave: una ventina di morti, tra cui civili, adulti e
bambini, e membri dello staff medico e circa una quarantina di feriti.
All’attacco sono immediatamente seguite le polemiche e le giustificazioni. Il
primo a rompere il silenzio è stato proprio Msf, tramite il responsabile per
l’Afghanistan Guilhem Molinie, il quale ha precisato che “tutte le parti nel
conflitto, a Kabul e a Washington, erano state informate sulla precisa localizzazione
delle strutture con coordinate Gps ”. In un primo momento, le forze americane
hanno fatto sapere, tramite il portavoce delle forze statunitensi presenti in
Afghanistan, che “le forze Usa hanno condotto un raid aereo sulla città di
Kunduz contro individui che minacciavano le forze”, e che, pertanto,
l’operazione “potrebbe avere causato danni collaterali ad una struttura medica
della città”. Kabul, invece, fa sapere che “nell’ospedale si nascondevano 10-15
terroristi, tutti uccisi”, lasciando intendere che l’ospedale possa aver a
tutti gli effetti rappresentato un bersaglio militare. Il segretario alla
Difesa degli Stati Uniti, Ashton Curter, rende nota la volontà da parte delle
autorità competenti di aprire un’indagine per determinare le cause
dell’avvenimento, senza tuttavia ammettere la presenza di terroristi e
guerriglieri all’interno dell’ospedale. Alle tesi statunitensi ha
immediatamente fatto seguito la smentita da parte del portavoce dei talebani
Zabiullah Mujahid, che non solo ha affermato che al momento del bombardamento nell’ospedale
non era presente nessuno dei combattenti, ma ha anche condannato aspramente
l’avvenimento come un “crimine americano”, ennesima prova, secondo lui, “della
natura spietata e ipocrita degli invasori e dei loro mercenari”.
Nelle ore successive
all’attacco Msf ha cominciato a organizzare il trasferimento dei superstiti
in un ospedale di Emergency a Kabul. Sarà proprio Emergency, infatti, a dover
sopperire alla grave carenza sanitaria venutasi a creare dopo la distruzione
dell’ospedale di Kunduz, l’unico ospedale nell’Afghanistan nordorientale che
garantiva operazioni chirurgiche per il salvataggio degli arti e che aveva
permesso ai volontari di Msf di curare, dal 28 Settembre, data di inasprimento
degli scontri tra talebani e esercito afgano, circa 400 feriti. Nelle prossime ore,
anche in seguito alle pressanti richieste delle parti coinvolte, andrà fatta
luce sulle motivazioni dell’attacco, che già viene dai più definito un “crimine
di guerra” a tutti gli effetti. L’Onu stessa ha sottolineato la gravità
dell’avvenimento, benché la Nato non sia nuova alla pratica del sacrificio dei
civili in nome dell’abbattimento di un bersaglio militare. A questo proposito
l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha tenuto a
specificare che “gli strateghi militari internazionali ed afghani hanno
l’obbligo di rispettare e proteggere i civili e in particolare le strutture
mediche e il loro personale devono essere oggetto di una protezione speciale”. D’altra parte il
bombardamento è stato solo la punta dell’iceberg di una situazione già molto
critica da fine Settembre. Kunduz, una delle città più grandi dell’Afghanistan
settentrionale, nodo strategico tra Kabul e il Tajikistan, era stata a lungo
contesa, per poi cadere recentemente sotto l’egida dei talebani, malgrado il
controllo che la Germania vi aveva esercitato fino al 2013. Infuria pertanto ancora la battaglia per
riportare la città sotto il controllo del governo di Kabul, a scapito di tutte
quelle vittime, i “danni collaterali”, che oggi, tramite la viva voce dei
superstiti del bombardamento dell’ospedale di Medici senza Frontiere, chiedono
chiarezza e giustizia.
all’attacco Msf ha cominciato a organizzare il trasferimento dei superstiti
in un ospedale di Emergency a Kabul. Sarà proprio Emergency, infatti, a dover
sopperire alla grave carenza sanitaria venutasi a creare dopo la distruzione
dell’ospedale di Kunduz, l’unico ospedale nell’Afghanistan nordorientale che
garantiva operazioni chirurgiche per il salvataggio degli arti e che aveva
permesso ai volontari di Msf di curare, dal 28 Settembre, data di inasprimento
degli scontri tra talebani e esercito afgano, circa 400 feriti. Nelle prossime ore,
anche in seguito alle pressanti richieste delle parti coinvolte, andrà fatta
luce sulle motivazioni dell’attacco, che già viene dai più definito un “crimine
di guerra” a tutti gli effetti. L’Onu stessa ha sottolineato la gravità
dell’avvenimento, benché la Nato non sia nuova alla pratica del sacrificio dei
civili in nome dell’abbattimento di un bersaglio militare. A questo proposito
l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha tenuto a
specificare che “gli strateghi militari internazionali ed afghani hanno
l’obbligo di rispettare e proteggere i civili e in particolare le strutture
mediche e il loro personale devono essere oggetto di una protezione speciale”. D’altra parte il
bombardamento è stato solo la punta dell’iceberg di una situazione già molto
critica da fine Settembre. Kunduz, una delle città più grandi dell’Afghanistan
settentrionale, nodo strategico tra Kabul e il Tajikistan, era stata a lungo
contesa, per poi cadere recentemente sotto l’egida dei talebani, malgrado il
controllo che la Germania vi aveva esercitato fino al 2013. Infuria pertanto ancora la battaglia per
riportare la città sotto il controllo del governo di Kabul, a scapito di tutte
quelle vittime, i “danni collaterali”, che oggi, tramite la viva voce dei
superstiti del bombardamento dell’ospedale di Medici senza Frontiere, chiedono
chiarezza e giustizia.
Alessia Girgenti