L’ordine di demolizione di un fabbricato abusivo: brevi riflessioni sul contrasto tra la giurisprudenza della Cedu e quella della Corte di Cassazione italiana


 

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  1. L’ordine di demolizione dell’opera abusiva viene adottato con provvedimento del Pubblico Ministero, che per legge deve dare esecuzione alle sentenze divenute irrevocabili. Partiamo dal qualificare giuridicamente l’ordine di demolizione contenuto in una sentenza penale irrevocabile, ex articolo 31, comma 9, D.P.R. 380/2001, che si pone in continuità con l’art. 7, ultimo comma, della Legge 47/85.Di recente, peraltro, la Suprema Corte di Cassazione[1], ribadendo un suo consolidato orientamento, ha nuovamente affermato che “ la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore dell’abuso. Per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una “pena” nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen”
  2. Conformandosi a questo consolidato orientamento, i giudici dell’esecuzione, eccettuo talune significative e coraggiose eccezioni[2] hanno sovente fatto eseguire un ordine di demolizione anche in presenza di un reato ormai estinto per decorso del tempo, atteso che l’ordine di demolizione, secondo l’unanime indirizzo della Suprema Corte di Cassazione, non ha natura di sanzione penale ma, come sopra evidenziato, ha natura amministrativa.
  3. Al riguardo, la Suprema Corte di Cassazione, in una recente sua pronuncia, (CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. 3^, 10/01/2012 , Sentenza n. 190 ) ci insegna che “ secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte l’ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi dell’art. 31, comma 9, D.P.R. 380/2001, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all’esecuzione nelle forme previste da codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorché applicativo di sanzione amministrativa”. L’ordine di demolizione, dunque, benchè contenuto in un provvedimento giurisdizionale, ha natura amministrativa: in virtù di questa sua consolidata qualificazione, l’ordine di demolizione di un manufatto abusivo viene eseguito anche a distanza di molto tempo da quando la sentenza penale è divenuta irrevocabile, anche quando ad esempio, col decorso del tempo di cui agli articoli 172-173 c.p., il reato si è estinto.
  4. Appare opportuno, al riguardo, dopo avere esaminato, seppur brevemente, l’orientamento giurisprudenziale domestico, fare cenno alla giurispruenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha, in più riprese, chiarito quando una sanzione qualificata dal diritto interno “amministrativa” ha invece un effetto sostanzialmente penale e punitivo e quindi in che termini la sua eventuale applicazione comporta una violazione del divieto del ne bis in idem contenuto nell’art. art. 4 del Protocollo 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, sottoscritto il 22.XI. 1984.Inoltre, la gravità e la finalità repressiva costituiscono, secondo il consolidato orientamento della Corte EDU, ulteriori indici fondamentali della “penalità” della sanzione, a nulla rilevando la compresenza di finalità ulteriori della stessa come, ad esempio, quella di tutela del territorio ( Vedi CEDU Engel c. Paesi Bassi 08.06.1976; Campbell e Fell c. Regno Unito 28.06.1984; M. c. Germania 17.12.2009). Alla luce di questi consolidati principi giurisprudenziali della Corte di Strasburgo, appare chiaro che l’ordine di demolizione, che incide pesantemente sulla proprietà di un soggetto, ai sensi dell’art. 53 della Convenzione EDU, non può essere considerata mera “sanzione amministrativa”, in quanto è indubbio il suo carattere altamente punitivo, alla stregua di una vera e propria sanzione penale.
  5. In una sua recentissima pronuncia, la Corte Europea dei diritti dell’uomo è ritornata sul tema del divieto del ne bis in idem, offrendo anche interessanti spunti di riflessione sulla natura sostanzialmente “penale” delle sanzioni amministrative: ci si riferisce, in particolare, alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. II, del 4 marzo 2014 (causa Grande Stevens ed altri e. Italia). In particolare, alla luce della prassi già consolidata, la Corte ha chiarito che è necessario considerare, per la qualificazione, tre criteri che hanno carattere alternativo e non cumulativo: la qualificazione giuridica della misura sul piano interno, la natura della misura ed il grado di severità della sanzione.
  6. L’evidente discostamento della giurisprudenza della Suprema Corte in materia di ordine di demolizione dai principi elaborati dalla Corte Edu , pone inoltre ed ancora una volta, il problema del rispetto del principio della interpretazione conforme al diritto dell’Unione Europea[3].Occorre evidenziare, sin da subito, che che l’art. 6, par. 3 del Trattato di Lisbona stabilisce che “I diritti fondamentali, garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,… fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”. Ne deriva, dunque, che il giudice interno è tenuto ad interpretare la norma domestica secondo i principi del diritto dell’Unione Europea, e tra questi principi vi rientrano anche quelli elaborati dalla Corte EDU.
  7. In particolare, per quanto concerne la portata della Convenzione EDU nel nostro diritto interno, nelle due sentenze 348 e 349 del 2007 ( le famose sentenze “gemelle”) la Corte Costituzionale ha individuato nell’art. 117, 1°c. Cost. il parametro costituzionale di riferimento delle norme della Convenzione, norme che di volta in volta specificano, integrandone il contenuto, l’obbligo generale del legislatore di rispettare gli obblighi internazionali.
  8. Come noto, è enunciazione costante, da parte della giurisprudenza dell’Unione europea, l’obbligo per il giudice nazionale di far ricorso a tutte le risorse ermeneutiche disponibili al fine di conseguire il risultato voluto dall’ordinamento dell’Unione europea, contribuendo in tal modo ad un costante adeguamento dell’ordinamento interno all’ordinamento sovranazionale di tipo comunitario[4].

Al fine di chiarire il valore della Convenzione EDU all’interno del nostro ordinamento la Consulta impiega il concetto di norma interposta, attraendo così nella propria sfera di competenza le c.d. questioni di convenzionalità, ossia il contrasto tra norma interna e norma Cedu. In quanto norme interposte destinate “ad integrare il parametro costituzionale”, esse si collocano sempre ad un “livello sub-costituzionale”, con la necessità che siano conformi a tutte le disposizioni della Costituzione. In caso di contrasto tra una norma interna e una norma Cedu, il giudice comune non potrà procedere alla disapplicazione della prima, ma dovrà sollevare questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, 1 c. Cost.

Per quanto concerne poi, i principi elaborati per via giurisprudenziale dalla Corte EDU, la Corte costituzionale individua un compito ben preciso che spetta al giudice comune espletare: laddove sia ravvisabile un possibile contrasto tra la norma statale e la disposizione internazionale, prima di sollevare questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, 1 c. Cost., il giudice ha il dovere di verificare se tale contrasto non sia in realtà risolvibile in via interpretativa. È, infatti, obbligo del giudice comune interpretare la normativa statale in linea con il diritto internazionale, cercare l’interpretazione conforme a tale diritto e, solo ove ciò non sia possibile, rivolgersi alla Corte Costituzionale.

La valorizzazione del potere interpretativo dei giudici nella giurisprudenza costituzionale è tale che, nella sentenza n. 239 del 2009, la Corte Costituzionale si spinge fino al punto di ritenere che l’esperimento del tentativo d’interpretazione conforme alla Convenzione europea sia una condizione necessaria per la valida instaurazione del giudizio di legittimità costituzionale, ripetendo lo schema che ormai da anni è utilizzato a proposito del dovere di interpretazione conforme a Costituzione. Per superare il vaglio di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, quindi, il giudice deve dimostrare che il tenore testuale della norma interna o il diritto vivente eventualmente formato sulla legge interna si oppongono all’assegnazione a tale legge di un significato compatibile con la norma convenzionale.

Peraltro, come la stessa Corte costituzionale esplicitamente sottolinea, in relazione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il giudice comune non ha soltanto il dovere di interpretare il diritto interno in modo conforme a quello internazionale, ma deve fare ciò tenuto conto della norma convenzionale come interpretata dalla Corte di Strasburgo[5].

Alla luce delle considerazioni fin qui evidenziate, a mio avviso si ritiene che nel caso di specie il Giudice dell’esecuzione debba interpretare l’articolo 31, comma 9, del D.P.R 380/2001 in conformità ai principi elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo e sopra richiamati, in virtù dei quali, al di là della terminologia usata, la sanzione della demolizione di una opera abusiva non può avere natura amministrativa, ma ha di contro un effetto penale e punitivo e come tale soggetta ad essere caducata ai sensi dell’articolo 173 c.p.

Diversamente operando, il Giudice dell’esecuzione incorrerebbe nella violazione degli articoli 10, 11 e 117 Costituzione che, quali norme interposte, danno dignità di principio costituzionale al divieto del ne bis in idem contenuto anche nell’articolo 649 c.p.p.

Dott. Rosario Fiore

Cultore di Diritto Pubblico Comparato (IUS/21)

e Diritto Internazionale (Ius/13/) nell’Università

degli Studi di Palermo

 

BIBLIOGRAFIA

[1]Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 novembre – 15 dicembre 2015, n. 49331

[2]Il Tribunale di Asti, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 3/11/2014 ha dichiarato “l’estinzione per decorso del tempo” dell’ordine di demolizione di cui alla sentenza 354/2003 del 14/3/2003 del Tribunale di Asti, irrevocabile il 5/7/2006, con la qualeD.G. era stata condannata, tra l’altro, per il reato di cui all’art. 20 legge 47/1985.
Il Giudice, qualificato come “pena”, secondo i principi stabiliti dalla Corte EDU, l’ordine di demolizione impartito dal giudice, lo ha ritenuto travolto dalla prescrizione sulla base di quanto disposto dall’art. 173 cod. pen., disponendo la trasmissione degli atti all’autorità comunale per quanto di sua competenza.

[3] F. POLACCHINI, CEDU e diritto dell’Unione europea nei rapporti con l’ordinamento costituzionale interno. Parallelismi e asimmetrie alla luce della più recente giurisprudenza costituzionale, in Consulta OnLine, 14 settembre 2010, par. 4c.

 

[4]In tal senso, si veda la voce Interpretazione conforme al diritto comunitario ed efficienza economica: il principio di concorrenza, in D’Amico m., Randazzo B. (a cura di), Interpretazione conforme e tecniche argomentative, Giappichelli, Torino, 2009, p. 98.

[5] Pollicino O., Corti europee e allargamento dell’Europa. Evoluzioni giurisprudenziali e riflessi ordinamentali, in Dir. Unione Europea., 2009, p. 1 ss.

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