La pace in Medioriente: può avvenire se si ritira l’Occidente


LA PAROLA ALL’ESPERTO

La rubrica mensile di IMESI che riporta la voce degli esperti sulle maggiori tematiche di politica internazionale

La pace in Medioriente: può avvenire se si ritira l’Occidente

 a cura di Rosario Fiore Cultore di diritto internazionale Unipa e
Segretario generale I.Me.Si


Ancora una volta il Santo Padre è tornato a parlare di Medioriente: l’ha fatto durante l’Urbi et Orbi il giorno di Natale, invocando la pace nei territori della Palestina. Ma quale pace ed in che termini? Occorre subito evidenziare che poche potenze occidentali sono interessate ad un Medioriente stabilizzato ed in pace; non lo sono certamente gli USA, non solo e non tanto perché la grande industria bellica si trova nel loro Paese, in mano peraltro a gruppi economici ebrei; ma soprattutto perché un’area politica come il Medioriente destabilizzata, dove vi è un tutti contro tutti, significa  per gli USA mantenere un ruolo di “grande mediatore” decidendo, volta per volta, quale regime privilegiare e rinforzare. Basti ricordare, ad esempio, che negli anni ottanta, durante il conflitto tra Iraq ed Iran, gli USA sostenevano ufficialmente il primo, anche se poi, sottobanco, vendeva armi al secondo, per finanziare i ribelli del Contras in Nicaragua: passerà alla storia come l’Irangate, mettendo in forte imbarazzo l’allora Amministrazione Reagan. 
Questa politica ambigua degli USA ha determinato, negli anni, la nascita continua e ciclica di uno Stato “nemico” dell’Occidente: l’Iraq di Saddam Hussein, l’Afghanistan dei Talebani, oggi lo Stato Islamico; tutti nemici degli USA ma tutti finanziati, direttamente o indirettamente, dal governo americano. Per una ragione politica molto ovvia: il Medioriente destabilizzato, in continua guerra anche di religione, eternamente diviso tra sunniti e sciiti, necessita sempre della presenza “salvifica” dell’Occidente, portatore degli ideali di pace e democrazia. Avere sempre un nemico da combattere, significa per gli USA avere sempre il pretesto di essere presente in Medioriente e soprattutto di fare soldi, tanti soldi, perché la guerra significa armi, e queste devono essere prodotte e vendute; significa distruzione, e questo vuol dire che poi si deve ricostruire.
La guerra, non la pace, è una fonte inesauribile di denaro; la guerra, tradizionale o terroristica come lo è oggi, significa anche e soprattutto dividere il mondo tra buoni e cattivi, tra bene e male, ed essere sempre dalla parte del bene, come lo si dichiarano gli USA, vuol dire essere un modello di leadership da seguire. Vuol dire comandare. Ecco, allora, che non potrà esserci pace in Medioriente se non vi sarà al contempo un ritiro della presenza occidentale nella zona: un ritiro che deve essere completo e soprattutto reale. Chi oggi dice di volere la pace in Medioriente non può non rilevare che costituisce un assurdo la pretesa di Israele, e di riflesso degli USA, il non volere la nascita di uno Stato palestinese: se Israele rivendica legittimamente il diritto di esistere, i palestinesi hanno l’altrettanto diritto di avere un proprio Stato, con Gerusalemme capitale di entrambi. Due popoli, due Stati. Nessuna subordinata. Sarà il 2016 l’anno propizio perché ciò possa avvenire? Noi ce lo auguriamo.

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