Il naufragio di Lampedusa, tre anni dopo


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Il 3 ottobre 2013 un’imbarcazione carica di rifugiati in maggioranza eritrei affonda a mezzo miglio dalle coste di Lampedusa. La conta, alla fine è di 368 morti tra bambini, donne e uomini. I corpi delle vittime vengono recuperati tutti e per la prima volta nella storia dei naufragi del Mediterraneo, si mostrano al mondo in un drammatico grido di aiuto collettivo.

 

Sono eritrei, somali e ghanesi gli immigrati che all’alba si trovavano sul barcone naufragato all’alba al largo di Lampedusa. Alle 7:00 circa locali alcune imbarcazioni civili e pescherecci locali hanno notato i naufraghi e dato l’allarme caricando la maggior parte dei superstiti a bordo; numerosi dubbi, in seguito a testimonianze, vi sono in merito ai tempi di arrivo dei soccorsi da parte della Guardia costiera che apparentemente ha impiegato quasi un’ora per raggiungere il luogo del naufragio.

 

A seguito delle prime operazioni di recupero, 194 corpi sono stati tratti dalle acque e il numero delle vittime, a quel momento era stimato tra i 325 e 363 individui. Altri 108 corpi sono stati recuperati entro il 9 ottobre, quando è stato possibile accedere alla parte interna dello scafo dell’imbarcazione poggiata sul fondo a circa 47 metri sotto la superficie dell’acqua. Quando il numero dei corpi recuperati era di 302, 210 di essi appartenevano a uomini, 83 a donne e 9 a bambini. L’11 ottobre, è stato riferito che tutti i corpi erano stati recuperati dal vascello e che il numero dei morti aveva raggiunto i 368.

 

In risposta alla tragedia, Cecilia Malmströmcommissario europeo per gli affari interni ha sollecitato l’Unione europea a incrementare le attività di ricerca nel Mediterraneo con pattuglie di soccorso e intervento dedicate a intercettare le imbarcazioni di migranti attraverso l’agenzia Frontex.

 

In seguito al naufragio di Lampedusa, il governo italiano, guidato dal presidente del consiglio Enrico Letta, ha deciso di rafforzare il dispositivo nazionale per il pattugliamento del Canale di Sicilia autorizzando l’Operazione Mare nostrum, una missione militare ed umanitaria la cui finalità era di prestare soccorso ai clandestini prima che possano ripetersi altri tragici eventi nel Mediterraneo.

 

A partire da novembre 2014, l’operazione Mare nostrum è stata sostituita da “Frontex Plus” (Triton) un programma a guida UE che puntava al controllo delle frontiere.

 

Tuttavia queste operazioni, pur avendo salvato vite, si sono dimostrate inadeguate al flusso crescente dei migranti provenienti dalla Libia. Infatti nel maggio 2015 è stata istituita l’Operazione Sophia – EUNAVFOR Med, a guida UE. Questa operazione è successiva all’operazione di ricerca e di soccorso Mare nostrum del governo italiano e all’operazione di controllo delle frontiere Triton dell’agenzia Frontex.

 

L’EUNAVFOR Med consiste di tre fasi:

 

  • la prima fase, già conclusa, si concentrava sulla sorveglianza e la valutazione delle reti di contrabbando e traffico di esseri umani nel Mediterraneo

 

  • la seconda fase dell’operazione, ancora in corso, prevede la ricerca e, se necessario, diversione di navi sospette

 

  • la terza fase, in fase di inizio, consente lo smaltimento delle navi e delle relative attrezzature, preferibilmente prima dell’uso, e di fermare i trafficanti e contrabbandieri.

 

L’Unione europea ha stanziato un bilancio comune di 11.820.000 euro per un periodo di 12 mesi. Inoltre, le attività militari e il personale sono forniti dagli stati che contribuiscono all’operazione, con costi e spese per il personale stabiliti in base alla normale spesa nazionale.

 

 

 

Il 16 marzo 2016 il Senato italiano ha approvato in via definitiva la legge che istituisce la Giornata della Memoria e dell’accoglienza, da celebrarsi il 3 ottobre. Durante questo giorno si ricorderanno tutti i migranti morti nel tentativo di fuggire da persecuzioni, guerre e miseria. Nel terzo anniversario del naufragio in cui persero la vita 368 migranti, 25 sopravvissuti si sono ritrovati sull’isola per raccontare le loro storie. E per chiedere che stragi come quella non si ripetano più. Di seguito è riportato un estratto delle testimonianze di sopravissuti che sono tornati a Lampedusa per ricordare il tragico giorno[1]:

 

“Mi chiedete se mi sento integrato, in Svezia dove vivo ormai da un paio di anni: la risposta è abbastanza. Devo ancora migliorare l’uso della lingua, ambientarsi non è facile per nessuno. Alla fine succede che noi eritrei ci frequentiamo solo tra di noi. Gli svedesi ci trattano bene, non sento insofferenza, ma sanno anche come mantenere le distanze”. Mi chiedete se mi sento europeo: la risposta non ce l’ho, sono io che sono venuto in Europa, non l’Europa che è venuta in Africa”. (GERE, 30 ANNI)

 

“Abbiamo tutti perso tanto, troppo. Ho visto morire mia cugina davanti ai miei occhi, ho visto affogare i miei amici. Il viaggio è stato terrificante, non sapevamo cosa ci aspettava. Oggi dico che non lo so più se ne è valsa davvero la pena. Vivo a Hiyanger, nella provincia norvegese di Sognogfjorde. La cittadinanza me la daranno tra sette anni. Non so cosa farò nella vita, è troppo presto per dirlo. Per ora posso studiare, e di questo ringrazio il governo norvegese”. (ABRAHAM, 24 ANNI)

 

Maria Elena Argano

 

 

[1]Sito della Repubblica :  http://www.repubblica.it/cronaca/2016/10/01/news/ritorno_a_lampedusa-148853936/

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