Il recente attacco terroristico che ha causato, tra l’altro, la morte dei due giornalisti spagnoli, David Beriain e Roberto Fraile, ha riportato nuovamente l’attenzione sulla situazione in Burkina Faso. Da anni il Paese è alle prese con l’instabilità della pubblica sicurezza, legata alla presenza di movimenti terroristici che destabilizzano anche quest’area del Sahel. Il Paese è guidato dal presidente Roch Marc Christian Kaboré, che è stato rieletto per un secondo mandato il 22 novembre 2020. Durante la sua campagna elettorale, il tema della sicurezza era stato centrale, il che era comprensibile alla luce degli attacchi sempre più frequenti avvenuti in quest’area negli ultimi anni. È interessante cercare di comprendere le ragioni che hanno fatto sì che il Burkina Faso diventasse recentemente un territorio tanto pericoloso.
Di certo, un elemento che pesa sulla questione riguarda il passaggio dal regime precedente di Blaise Compaoré – dimessosi nel novembre del 2014 a seguito di varie manifestazioni nella capitale – all’attuale sistema democratico che ha visto la prima elezione di Kaboré il 29 novembre 2015. I gruppi terroristici non si rassegnano alla democrazia e, dunque, non sono disposti a lasciarla sviluppare nel “paese degli uomini integri”. Inoltre, in passato, Compaoré aveva offerto riparo nel Paese a molti terroristi, senza contare che durante il suo mandato, si era creato un giro d’affari basato sui negoziati per la liberazione degli ostaggi in mano ai terroristi. Al contrario, Kaboré ha portato avanti una politica secondo cui i gruppi terroristici non sono soggetti con cui trattare.
Un’altra importante circostanza da tenere in considerazione è che il Burkina Faso presenta sul suo territorio alcune strutture strategiche per la lotta al terrorismo nella regione, tra cui le forze speciali francesi che, dal territorio burkinabè, è capitato lanciassero operazioni antiterroristiche in difesa anche di altri Paesi, come il Mali. Il principio dei gruppi fondamentalisti è che la presenza dell’Occidente, con i suoi usi e costumi, deve essere eliminata per favorire l’arrivo del vero Islam e il Burkina Faso, ciò considerato, potrebbe essere da questi percepito come complice delle forze occidentali.
Infine, il Paese è senza dubbio meno fornito dal punto di vista militare rispetto ad altri Paesi dell’Africa subshariana, il che lo rende anche un bersaglio più semplice da attaccare.
Il recente attacco avvenuto vicino al Parco Nazionale degli Arli sembra essere stato rivendicato dal’organizzazione Jamaat Nusrat al Islam wal Muslimin (JNIM), un cartello che negli ultimi anni è divenuto sempre più conosciuto e pericoloso. Come illustra il giornalista Mauro Indelicato, il cartello comprende al suo interno gruppi jihadisti affiliati all’Isis e gruppi di Al Qaeda, unificando, quindi, le due diverse braccia del terrorismo islamico internazionale. Inoltre, a questi si sono unite diverse tribù africane, come i tuareg ad esempio, persuasi dall’ideologia islamista. Il punto forte dell’organizzazione, infatti, sta proprio nel riuscire a far coesistere gruppi e tribù che di solito si contenderebbero reciprocamente il territorio. Molti fra gli aderenti, invece, sono convinti che l’organizzazione sia un modo per assicurare un futuro a sé stessi e alla propria etnia, nonché una strada per contribuire all’emancipazione del Sahel.
Negli ultimi anni, questi gruppi saheliani hanno potenziato la loro attività espandendosi sia geograficamente sia ideologicamente, soprattutto tramite l’inclusione di queste tribù radicali molto legate al territorio.
L’obiettivo del gruppo è quello di destabilizzare Burkina Faso, Mali, Ciad, Sudan, Niger e gli altri Paesi dell’area dov’è percepita la presenza delle forze occidentali e, considerando quanto esposto dal punto di vista sia ideologico che strategico, di certo JNIM desta non poche preoccupazioni.
A cura di Laura Rusconi