La pandemia incalza, le varianti si diffondono rapidamente e la campagna vaccinale stenta ancora a decollare.
Allo stesso tempo, la scadenza per presentare i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) del 30 aprile si avvicina, ma ben poco è stato annunciato su quelli che saranno i principali cambiamenti ai quali si punterà e, a parte qualche linea guida generale, i ministri, e ancor di più il primo ministro Draghi, continuano a mantenere il riserbo più assoluto.
Quello che è certo è che, qualunque sia la strategia adottata all’interno del PNRR, il ruolo della Pubblica Amministrazione italiana, che Draghi ha voluto affidare a Forza Italia, sarà centrale.
A tal proposito va sottolineato come la capacità amministrativa di un Paese, intesa come l’abilità di saper rispondere alle richieste della società tramite progetti portati avanti rispettando i criteri di efficienza, efficacia e sostenibilità, rappresenta secondo molti (Fabrizio Barca e Simona Milio tra gli altri) uno dei fattori principali per una più efficace spesa dei fondi europei.
Secondo il Government Quality Index dell’Unione Europea, questo si traduce in alcuni criteri fondamentali che ogni Pubblica Amministrazione dovrebbe soddisfare. Al fine di supportare gli stati membri nel processo di innovazione e miglioramento delle istituzioni pubbliche, la Commissione Europea tiene conto dei risultati ottenuti da ogni paese, valuta le diverse riforme portate avanti dai governi e ed emana raccomandazioni specifiche.
A tal riguardo, come mostra il seguente grafico (Eu Commission, 2018), l’Italia non brilla per qualità amministrativa, con diversi problemi in fatto di corruzione, digitalizzazione e accessibilità ai servizi da parte dei cittadini. A ciò si aggiungono risultati non positivi se si considera la facilità per i cittadini di avviare un’impresa e la qualità dei servizi forniti alle imprese.
Al fine di migliorare questi risultati per garantire una più efficace spesa dei fondi europei, con il decreto legge n. 44/2021, il neo-ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, ha voluto definire le nuove regole per sbloccare i concorsi già banditi, per quelli che saranno banditi durante lo stato di emergenza e per quelli a regime.
Come mostrano le slide del ministero, i posti banditi saranno circa 118 mila per la sola durata della pandemia, a fronte di un turnover richiesto di circa 500mila unità.
Oltre alle modifiche delle procedure concorsuali (sedi decentrate, modalità d’esame online, una sola prova scritta e una sola prova orale), la parte più problematica, che ha suscitato le ire di moltissimi giovani e di diversi parlamentari di Sinistra Italiana , del PD e del Movimento 5 stelle, riguarda le caratteristiche obbligatorie e quelle eventuali che i concorsi avranno secondo il disegno del Ministro Brunetta.
Innanzitutto, viene proposta una valutazione obbligatoria dei titoli “legalmente riconosciuti” (compresi i master di primo e secondo livello) che sostituisca le prove preselettive utilizzate nelle procedure concorsuali fino ad oggi. A questa, si aggiunge una valutazione eventuale delle esperienze lavorative, che potranno concorrere alla formazione del punteggio finale in graduatoria .
In sostanza, per i concorsi già banditi, l’accesso sarà garantito e il punteggio finale potrà dipendere anche dai titoli e dalle esperienze lavorative pregresse dei candidati e delle candidate, a discrezione dell’ente responsabile del concorso e con eventuale riapertura e pubblicità dello stesso.
Per i concorsi da bandire, anche post-pandemia, resta la discrezionalità delle varie PA della valutazione delle esperienze professionali e viene aggiunta l’obbligatorietà della valutazione dei titoli come prerequisito di accesso alla prova.
Un esempio della visione “Brunettiana” dei concorsi nella PA è rappresentato dal bando per 2800 tecnici per la gestione dei fondi europei al Sud. In questo caso, la fase preselettiva consiste in una doppia valutazione, sia dei titoli legalmente riconosciuti (lauree e master) sia delle esperienze lavorative, che concorreranno successivamente alla formazione del punteggio finale dei candidati e delle candidate. In particolare, si fa riferimento ad esperienze lavorative ben specifiche di consulenza o collaborazione nell’ambito della gestione di progetti e di bandi europei. I vincitori e le vincitrici del concorso verrebbero assunti con contratto a tempo determinato di tre anni.
Se il modello del “bando per il Sud” dovesse fare da aprifila anche per tutti i concorsi a venire, le minacce per i giovani e le giovani italiane sarebbero molteplici e per questo è già nato un gruppo Facebook contro il decreto Brunetta che in poche ore ha registrato migliaia di iscrizioni.
A riprova dell’effetto che questi cambiamenti potranno avere l’INPS ha già annunciato che si avvarrà delle metodologie per concorsi più rapidi proposte dal ministero.
Secondo il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, la riforma Brunetta usa la retorica della modernizzazione per ingannare i giovani, aiutando i più ricchi, quelli che hanno diverse esperienze lavorative alle spalle e che possono permettersi di pagare master e corsi di specializzazione post laurea. In settimana, Sinistra Italiana presenterà un’interrogazione parlamentare su questo tema, mentre alcuni deputati 5 stelle promettono di lavorare in commissione per emendare il testo.
Il nodo della “minaccia per i giovani” sottolineato da Fratoianni è infatti cruciale. Ricordiamo che, secondo il bando Sud, i titoli danno diritto ad un massimo di 3 punti su 10 (con una laurea con lode che vale 0,1 punto su 10 e un dottorato di ricerca che vale 1,5 punti su 10) al contrario delle esperienze lavorative che garantiscono, invece, fino ad un massimo di 7 punti su 10. Conoscenza delle lingue e competenze informatiche sono invece conoscenze totalmente escluse dal bando, probabilmente non ritenute importanti.
Anche all’interno della maggioranza di governo si alzano alcune voci critiche, con deputati 5 stelle che chiedono di limitare questo metro di valutazione ai soli concorsi banditi durante la pandemia (ex Ministra Azzolina) ed altre del Partito Democratico che vedono questo decreto come un ulteriore aiuto a classi già privilegiate (Gribaudo, membro della Segreteria PD). Dal mondo accademico, arriva l’affondo dell’ex presidente dell’INPS Tito Boeri e di Roberto Perotti, che accusano il decreto di aumentare il precariato e penalizzare i giovani laureati.
Dal fronte della società, il forum Disuguaglianze e Diversità, capitanato da Fabrizio Barca, chiede un confronto col ministro e propone un modello di indizione dei concorsi pubblici che possa garantire celerità ed efficienza senza penalizzare i giovani.
Lo studio Leon-Fell, con una lunga storia di grandi class action di successo alle spalle, dichiara la volontà di voler interloquire con il governo e le forze parlamentari per proporre modifiche e miglioramenti.
Tra gli enti locali, anche un importante membro dei 5 stelle, la sindaca di Roma Virginia Raggi ha annunciato la sua contrarietà alle linee guida del ministero, prefigurando futuri concorsi che non si avvarranno delle metodologie proposte da Brunetta.
La palla passerà comunque presto al Parlamento per la conversione del decreto, ma molti giovani minacciano già battaglia e ricorsi.