“Ius soli”: un’analisi del diritto non riconosciuto


Ius soli, la bufala sull'islamizzazione dell'Italia - Wired

Recentemente, è tornata al centro del dibattito politico italiano la tematica dello ius soli. Da anni i partiti sono divisi sull’emanazione di una possibile riforma in materia di cittadinanza. Interessante, dunque, studiare le numerose sfaccettature che l’argomento richiama, alla luce delle politiche adottate nel resto del mondo e delle conseguenze che questo tipo di riforma apporterebbe.

Come si acquisisce la cittadinanza italiana?

In Italia, attualmente, in tema di cittadinanza ci si rifà alle norme stabilite dalla legge 91/1992[1]. L’art. 1 della suddetta legge recita:

 È cittadino per nascita:

  1. a) il figlio di padre o di madre cittadini;
  2. b) chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono.
  3. È considerato cittadino per nascita il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza.[2]

La cittadinanza alla nascita si acquista iure sanguinis, cioè quando si è figli di, o si è adottati da, almeno un cittadino italiano. Vi è una possibilità residuale di ottenere la cittadinanza alla nascita anche nel caso in cui i genitori siano ignoti o apolidi, oppure se, in base alle leggi dello Stato di appartenenza, il figlio non segua la cittadinanza dei genitori. In questo caso si acquisterà la cittadinanza iure soli[3].

Non è vero, dunque, che in Italia non esiste lo ius soli, ma è vero che il criterio principale è quello della discendenza e che il diritto acquisito per il fatto di essere nati su territorio italiano è semplicemente una rara eccezione. Infatti, la bambina o il bambino che nasca da genitori stranieri in Italia deve, al pari di chi è nato e ha vissuto in un altro Stato arrivando successivamente nel Paese, maturare i requisiti stabiliti per legge.

L’art. 4(2) della già menzionata legge 91/1992 stabilisce[4]:

Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data.

Guardando al paragrafo secondo dell’art.4, si evince che una persona nata in Italia, i cui genitori sono però cittadini stranieri, non è cittadino italiano dalla nascita, ma può diventarlo se risiede legalmente in Italia, senza interruzioni, fino al raggiungimento della maggiore età e se dichiara di volerlo entro un anno dal compimento dei diciotto anni.

Ci sono altri modi per acquisire la cittadinanza italiana su domanda: per matrimonio o residenza.
Lo straniero o apolide che contragga matrimonio con un cittadino italiano può richiedere la cittadinanza italiana (iure matrimonii)[5], a condizione di assenza di precedenti penali[6]. Lo stesso può essere richiesto dal cittadino straniero residente in Italia che rientri in una delle particolari fattispecie indicate dalla legge, con periodi minimi di residenza variabili a seconda del caso[7]. Per richiedere lo status civitatis, il periodo di residenza minimo previsto dalla legge è di quattro anni per i cittadini comunitari, cinque per gli apolidi e dieci anni per gli stranieri. A questi è richiesto anche di avere un reddito sufficiente al proprio sostentamento, di non avere precedenti penali e di non rappresentare un pericolo per la sicurezza della Repubblica[8].

Lo ius soli temperato:

Durante la scorsa legislatura, si è parlato di una possibile riforma[9] che prevedeva l’introduzione di uno ius soli temperato. Il disegno di legge n. 2092 prevedeva che la cittadinanza avrebbe potuto essere ottenuta dagli stranieri nati in Italia e qui regolarmente residenti da almeno cinque anni figli di almeno un genitore straniero titolare di diritto di soggiorno permanente, se cittadino UE, o del permesso di soggiorno europeo di lungo periodo, se cittadino extracomunitario. La proposta di legge, quindi, non prevedeva alcun automatismo generalizzato: in entrambi i casi, il requisito è una permanenza in Italia di almeno cinque anni. Nel caso di cittadini Ue, infatti, il diritto di soggiorno permanente è riconosciuto a chi abbia soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni in Italia. Nel caso di cittadini extra UE, invece, il permesso di soggiorno di lungo periodo è rilasciato a coloro che sono titolari da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in corso di validità. Inoltre, erano necessari altri tre requisiti per i genitori extracomunitari: alloggio idoneo a termini di legge, superamento di un test di conoscenza della lingua italiana e reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale. Senza contare che gli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato erano esclusi[10].

Lo ius culturae:

Accanto a questa ipotesi, si introduceva l’ottenimento della cittadinanza secondo il c.d. ius culturae (diritto di conoscenza), per i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i dodici anni che avessero compiuto i propri studi per almeno cinque anni in Italia, superando almeno un ciclo di scuole elementari o medie, e che qui fossero regolarmente residenti. Quelli arrivati tra i dodici e i diciotto anni avrebbero potuto ottenere la cittadinanza solo dopo aver superato un ciclo scolastico e aver abitato in Italia per sei anni[11].

Per gli stranieri adulti permanevano le regole già in vigore e poc’anzi menzionate in questo elaborato: diventava cittadino italiano lo straniero che avesse soggiornato in Italia per dieci anni (cinque se apolide, quattro se cittadino comunitario) o per matrimonio.

La proposta di legge fu approvata alla Camera nel 2015, ma non venne mai approvata al Senato[12], perché l’opposizione, in particolare la Lega nord, presentò decine di emendamenti. La legge era sostenuta dal Partito Democratico, contrari Forza Italia e Lega Nord, con astensione del Movimento 5 Stelle.

 

Come funziona nel resto del mondo?

Una delle affermazioni ricorrenti ai tempi del dibattito politico sulla proposta di legge, voleva che in Europa nessun Paese prevedesse lo ius soli, ma non è esattamente questo il caso[13]. A tal proposito, non esiste nel continente una legislazione comune: gli Stati europei applicano lo ius sanguinis e lo ius soli temperato in varie forme, ma nessuno stato, nemmeno quelli dotati di una normativa più flessibile in termini di conferimento della cittadinanza, contempla uno ius soli puro[14]. Lo ius soli temperato prevede che sia necessario essere nati in un determinato Stato per ottenerne la cittadinanza, ma sono necessarie anche ulteriori condizioni.

In Germania, ad esempio, lo ius soli è forte, ma mitigato da alcune limitazioni. Si segue principalmente il diritto di sangue, ma possono diventare cittadini tedeschi anche i bambini figli di genitori extracomunitari se almeno uno dei due genitori sia in possesso da tre anni di un permesso di soggiorno permanente e viva in Germania da almeno otto anni. Successivamente, tra i 18 e i 23 anni, il cittadino dovrà decidere se vorrà mantenere la cittadinanza tedesca oppure quella dei genitori.

In Irlanda, fino al 2004 esisteva lo ius soli puro, ma successivamente la Costituzione venne modificata ed oggi vige uno ius soli temperato: se almeno uno dei genitori risiede nel Paese regolarmente (ed ha quindi il permesso di soggiorno) nei tre anni precedenti la sua nascita, allora il bambino ottiene la cittadinanza irlandese.

Nei Paesi Bassi, invece, lo ius soli è debole. Il figlio di stranieri ottiene la cittadinanza solo dopo il compimento della maggiore età (come avviene in Italia attualmente) e solo se in possesso di tutti i requisiti previsti per una normale richiesta di cittadinanza: un regolare permesso di soggiorno e la residenza nel Paese per cinque anni senza interruzioni[15].

Anche in Spagna, come nei Paesi Bassi e in Italia, lo ius sanguinis è molto forte, al contrario dello ius soli che è debole. Alla nascita, diventa cittadino spagnolo il figlio di almeno un genitore nato anche lui in Spagna. Per chi non possa acquisire la cittadinanza tramite questa via, invece, resta la possibilità di acquisirla dopo dieci anni di residenza nel territorio ispanico, se in possesso di permesso di soggiorno permanente e di un’occupazione professionale; oppure in seguito a matrimonio con cittadino spagnolo, ma solo dopo che sia trascorso un anno dalla data delle nozze.

Il caso francese è atipico. Qui, un bambino che nasca in Francia da genitori stranieri, ma nati a loro volta in Francia diventa cittadino facilmente. Se, altrimenti, si hanno genitori stranieri che però al momento della nascita risiedevano regolarmente in Francia, si può acquisire la cittadinanza solo dai diciotto anni in poi, e a patto di aver vissuto per almeno cinque anni in territorio francese. Esiste un doppio ius soli quindi, a seconda che si appartenga alla seconda o terza generazione. Infine, per quanto riguarda il matrimonio con una cittadina o un cittadino francese, lo straniero potrà richiedere la cittadinanza solo una volta trascorsi due anni di matrimonio[16].

Hanno poi uno ius soli condizionato alla regolare residenza di almeno un genitore per un periodo di tempo minimo anche il Regno Unito, il Belgio e il Portogallo. Quest’ultimo prevede un doppio ius soli, come la Francia[17].

Uscendo dalle dinamiche puramente europee, scopriamo che, secondo uno studio del Global Citizenship Observatory[18], lo ius soli puro, in base al quale chiunque nasca sul territorio di un determinato Stato ne diviene cittadino, è molto diffuso nel continente americano, dove viene applicato dall’83% degli Stati. Negli Stati Uniti, in Canada, in Messico, in Argentina e in Brasile, ad esempio, lo ius soli è centrale e viene solamente affiancato dalle altre possibilità che considerano la cittadinanza dei genitori.

Nello studio appena menzionato, si spiega che negli USA le due regole di base – ius soli e ius sanguinis – vennero importate rispettivamente dal common law inglese e dal codice napoleonico. Lo ius soli venne adottato dalle ex colonie britanniche in Nord America, ma era dominante anche in America Latina, originando dalla Costituzione spagnola di Cadice del 1812.

Ius soli, come funziona in Europa e nel mondo | Il Bo Live UniPD

Quali sono i vantaggi e svantaggi dello ius soli?

Tra le voci contrarie all’approvazione di una legge sullo ius soli, c’è chi sottolinea il fatto che concedere la cittadinanza italiana, significherebbe concedere anche la cittadinanza europea, con conseguenze per tutti gli Stati membri dell’Unione.

Altre preoccupazioni si sollevano in merito al conferimento della cittadinanza a chi potrebbe avere una cultura molto diversa da quella “tradizionale” italiana. Punto, questo, che fa sorgere qualche dubbio su quale effettivamente sia la cultura “tradizionale” italiana, considerando la varietà di usi che caratterizzano le diverse regioni dello stivale; senza contare l’abisso che separa le generazioni sotto diversi punti di vista.  Ci si chiede poi, come sia possibile per una bambina o un bambino nati e cresciuti in Italia avere degli usi così distanti da quelli dei bambini figli di italiani con cui condividerebbero il periodo della formazione e della crescita.

Ulteriore criticità che spesso accompagna il pensiero di una riforma riguarda l’erronea convinzione che il provvedimento garantirebbe indiscriminatamente la cittadinanza a tutti i bambini nati in Italia da genitori stranieri, mentre, come abbiamo visto in precedenza, sia secondo le regole in vigore negli altri Paesi europei, sia secondo quella che era la proposta di legge nel 2015, non si tratta di uno ius soli puro, bensì temperato, soggetto ad alcuni requisiti.

Sempre su questa scia, gli oppositori alludono ad un ipotetico fattore di attrazione per le famiglie di migranti che, sapendo di poter accedere agilmente alla cittadinanza, sarebbero spinti a scegliere fra tutte le destinazioni proprio l’Italia. Anche questa paura risulta però essere infondata, in quanto la cittadinanza potrebbe essere concessa solo a chi è nato in Italia da genitori stranieri che risiedono qui da molto tempo, non trattandosi, di nuovo, di uno ius soli puro.

C’è chi poi afferma che una riforma in tal senso metterebbe in difficoltà gli stranieri che non possono avere più d’una cittadinanza, come i cittadini cinesi, che sarebbero, dunque, costretti a scegliere.

Infine c’è chi afferma che gli stranieri residenti in Italia abbiano già sufficienti diritti[19] e che l’acquisizione della cittadinanza non cambierebbe nulla concretamente, essendo un semplice riconoscimento formale. Non pare essere questo il caso, veramente, e questo sposta l’attenzione sui vantaggi dello ius soli.

L’ottenimento della cittadinanza, porterebbe ad un significativo miglioramento di vita per i minori figli di immigrati in Italia. Infatti, benché nati nel Bel Paese, questi sono considerati stranieri secondo le regole che loro si applicano e secondo le opportunità che vengono loro concesse.

I ragazzi nati in Italia da genitori stranieri dipendono dal permesso di soggiorno dei loro genitori fino ai diciotto anni, quindi, se il permesso dei genitori scade o se i genitori perdono il lavoro, ragazzi nati e cresciuti in Italia, diventano irregolari. Al momento del compimento della maggiore età, poi, dovranno affrettarsi a richiedere la cittadinanza entro un anno, attraverso operazioni di certo non semplici da affrontare per una ragazza o un ragazzo di appena diciotto anni e senza l’ausilio di un genitore che abbia dimestichezza con il complicato apparato burocratico italiano.
Invece, i molti ragazzi arrivati in Italia da piccoli e che potrebbero magari contare sullo ius culturae, vivono il traguardo dell’età adulta come un passaggio problematico, perché devono preoccuparsi di avere un reddito sufficiente per il proprio sostentamento. Inoltre, per i ragazzi con passaporto straniero che frequentano le scuole in Italia, può essere un problema anche semplicemente prendere parte ad una gita scolastica all’estero, perché, a differenza dei loro compagni di classe, potrebbero aver bisogno di ottenere un visto. Se poi volessero usufruire di una borsa di studio per un’esperienza formativa all’estero, non potrebbero prendervi parte se questa superasse il numero di mesi che consente loro di affermare di aver risieduto nel territorio italiano “ininterrottamente”. O ancora, banalmente, sebbene la legge consenta ai minori stranieri di fare sport, alcuni non possono far parte delle sezioni nazionali, per le quali è requisito necessario la cittadinanza[20].

Non è da trascurare, poi, l’impatto emotivo che ha sui minori la sensazione d’integrazione con i loro coetanei, particolarmente complessa da sviluppare se si considera che viene loro affibbiata un’etichetta di “extracomunitario” perenne[21]. Come afferma Goldstein, “la cittadinanza è di solito considerato come un riconoscimento, il passo finale di un processo più o meno lungo e complesso d’integrazione, ma essa stessa gioca un ruolo chiave nel determinare il grado d’integrazione degli immigrati.”[22].

È importante analizzare l’impatto della cittadinanza anche dal punto di vista economico. Goldstein riporta il caso della Svezia, il Paese europeo in cui la percentuale di cittadini nati all’estero è più alta (il 67%). Diventare svedese ha migliorato le chance di trovare lavoro e di uscire dalla povertà. Di certo, parlare di vantaggi economici non risolve le possibili problematiche di coesione sociale, ma, citando l’autore, “quello che è sicuro è che non saranno certo misure vessatorie e discriminatorie imposte a chi arriva nel nostro Paese a migliorare la posizione di chi qui già vive e soffre”[23].

Conclusioni

In generale, nel mondo, il 51% degli Stati prevede uno ius soli speciale per i bambini nati nel loro territorio che altrimenti sarebbero apolidi, esattamente come la normativa italiana di cui si è trattato all’inizio dell’articolo[24]. In Europa sono l’88%, in Asia il 60% e in Africa solo il 32%. Tuttavia, poiché lo ius sanguinis è dominante in questi tre continenti, l’assenza di uno ius soli più forte contribuisce all’apolidia.

Inoltre, anche nei Paesi dove i bambini nati da immigrati, ma sul territorio dello Stato, sono automaticamente inclusi (nel continente americano, come appena visto, ad esempio), spesso in questi Paesi i figli minorenni immigrati nati all’estero sono lasciati in un limbo fino al raggiungimento della maggiore età, in seguito alla quale potranno richiedere la naturalizzazione. D’altra parte, questo è ciò che avviene in generale per tutti i figli di stranieri negli Stati in cui predomina lo ius sanguinis.

Lo studio del Global Citizenship Observatory rivela l’urgente necessità di rafforzare gli standard minimi globali per le leggi e le politiche sulla cittadinanza con l’obiettivo di ridurre l’apolidia e combattere la discriminazione. La Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, all’art. 15, prevede che ogni individuo ha il diritto ad una nazionalità[25] e, alla luce di questo, gli stati democratici dovrebbero mirare a livelli di garanzia più elevati per diritti umani. Molti stati europei non rendono la loro cittadinanza accessibile a vaste popolazioni di immigrati, quando sarebbe necessario introdurre forme condizionali di ius soli o facilitare i figli di immigrati nel loro percorso verso la naturalizzazione. Gli stessi immigrati di prima generazione dovrebbero essere agevolati in questo percorso, tramite la rimozione o l’attenuazione degli ostacoli come il requisito di condizioni economiche elevate, i test di lingua difficili ed il requisito della rinuncia alla nazionalità precedente.

A cura di Laura Rusconi 
Dott.ssa in Giurisprudenza 
Studentessa del Master in International Migration and Refugee Law presso la Vrije Universiteit of Amsterdam 

Per Osservatorio Migrazioni IMESI

Bibliografia:

  • Bauböck R., Honohan I. e Vink M., “How Citizenship Laws Differ: A Global Comparison”;
  • Bertocchi G., “Le leggi sulla cittadinanza”;
  • Bonfiglio S., “Lo ius soli: la vera incompiuta della XVII legislatura”;
  • Camilli A., “L’ultima occasione per approvare lo ius soli”;
  • Di Pasquale E., Stuppini A. e Tronchin C., “Ius soli, una strada per l’integrazione”
  • Goldstein A., “Ius soli, una lettura economica”;
  • Guerrieri A., “ Ius soli e ius culturae: cosa cambierebbe con la nuova legge”;
  • Mazzone L., “Lo ‘ius soli’ in Europa, paese per paese”;
  • Montalto Monella L., “Cos’è lo ius soli, cosa cambierebbe e le ragioni del sì e del no”;
  • Occhetta F., “La cittadinanza italiana. Tra ‘ius sanguinis’ e ‘ius soli’”.

Sitografia:

[1]Per un approfondimento si veda F. Occhetta, “La cittadinanza italiana. Tra ‘ius sanguinis’ e ‘ius soli’”, in La Civiltà Cattolica, IV, 2013 pp. 14-24.

[2]L. 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), GU Serie Generale n.38 del 15-02-1992, disponibile in Gazzetta Ufficiale.

[3]Per un approfondimento sull’excursus storico della cittadinanza si veda G. Bertocchi, “Le leggi sulla cittadinanza”, Modena 2017.

[4]L. 5 febbraio 1992, n. 91 cit.

[5]L. 5 febbraio 1992, n. 91 cit., art. 5: “1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano  acquista la cittadinanza italiana quando risiede legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento,   annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale.”.

[6]Si veda la L. 5 febbraio 1992, n. 91 cit., art. 6.

[7]L. 5 febbraio 11992, n. 91 cit., art. 9: “1. La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’interno: a) allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi i casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni, comunque fatto salvo quanto previsto dall’articolo 4, comma 1, lettera c); b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione; c) allo straniero che ha prestato servizio, anche all’estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello Stato; d) al cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee se risiede legalmente da almeno quattro anni nel territorio della Repubblica; e) all’apolide che risiede legalmente da almeno cinque  anni  nel territorio della Repubblica; f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. 2.  Con decreto del Presidente della Repubblica, sentito i Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri, la cittadinanza può essere concessa allo straniero quando questi abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato.”.

[8]Per ulteriori informazioni, si veda il sito del Ministero dell’Interno: https://www.interno.gov.it/it/temi/cittadinanza-e-altri-diritti-civili/cittadinanza.

[9]DDL n. 2092, XVII legislatura, “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n.91, e altre disposizioni in materia di cittadinanza”, all’esame dell’assemblea il 23 dicembre 2017, https://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/46079.htm.

[10]A. Guerrieri, “Cittadinanza. Ius soli e ius culturae: cosa cambierebbe con la nuova legge”, in Avvenire.it, 18 settembre 2017.

[11]Cittadinanza e Diritti: lo Ius Soli in Europa”, sul sito di Studio Cataldi.

[12]S. Bonifiglio, “Lo ius soli: la vera incompiuta della XVII legislatura”, 20 marzo 2018.

[13]E. Di Pasquale, A. Stuppini e C. Tronchin, “Ius soli, una strada per l’integrazione”, 20 giugno 2017.

[14]È vero che lo ius soli non esiste quasi da nessuna parte nel mondo?” in Pagella Politica di AGI, 26 marzo 2019.

[15]L. Mazzone, “Lo ‘ius soli’ in Europa, paese per paese” disponibile online.

[16]“Cittadinanza e Diritti: lo Ius Soli in Europa” cit.

[17]“È vero che lo ius soli non esiste quasi da nessuna parte nel mondo?” cit.

[18]R. Bauböck, I. Honohan and M. Vink, “How Citizenship Laws Differ: A Global Comparison”, disponibile su www.delmi.se e www.globalcit.eu.

[19]Un elenco delle critiche mosse allo ius soli su L. Montalto Monella, “Cos’è lo ius soli, cosa cambierebbe e le ragioni del sì e del no”, 18 marzo 2021, disponibile online.

[20]A. Camilli, “L’ultima occasione per approvare lo ius soli” in Internazionale, 9 ottobre 2017.

[21]L. Montalto Monella, op. cit.

[22]A. Goldstein, “Ius soli, una lettura economica” in Il Sole 24 ore, 12 dicembre 2017, p. 14.

[23]A. Goldstein, op. cit.

[24]L. 5 febbraio 1992, n. 91 cit., art. 1(1)(b).

[25]Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 10 dicembre 1948, art. 15(1): “Everyone has the right to a nationality.”.

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