“L’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso obbligo degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. La ricostruzione dei fatti e la qualificazione delle responsabilità dei diversi attori coinvolti nelle attività di ricerca e salvataggio (SAR) nelle acque internazionali del Mediterraneo Centrale deve tenere conto dei rilevanti profili di diritto dell’Unione europea e di diritto internazionale che, in base all’art. 117 della Costituzione italiana, assumono rilievo nell’ordinamento giuridico interno. Le scelte politiche insite nell’imposizione di Codici di condotta, o i mutevoli indirizzi impartiti a livello ministeriale o dalle autorità di coordinamento dei soccorsi, non possono ridurre la portata degli obblighi degli Stati che devono garantire nel modo più sollecito il soccorso e lo sbarco in un luogo sicuro (place of safety).”1
1. Introduzione
Negli ultimi anni, il discorso sulla sicurezza pubblica2 ha rivestito un ruolo d’importanza sempre maggiore e, su questa scia, centrale è stato l’utilizzo del concetto di sovranità nazionale nelle politiche dei singoli Paesi occidentali per giustificare la privazione di diritti umani basilari. Di seguito si riporta l’analisi del caso di Carola Rackete3, che, seppur ormai non recentissimo (2019), resta importante sia per la fama che il caso ha ottenuto a livello nazionale ed internazionale, sia per gli spunti di riflessione che offre riguardo ai suddetti concetti.
2. Fatti di causa
Il 12 giugno 2019, una nave dell’organizzazione umanitaria Sea Watch salvò 53 migranti al largo delle coste libiche, contattando le autorità competenti per ottenere l’indicazione di un POS (“Place of Safety“). Venne indicato il porto di Tripoli (Libia), ma la Comandante della Sea Watch, Carola Rackete (di seguito R.), rifiutò lo sbarco in quanto, secondo diversi report sui diritti umani, la Libia non poteva considerarsi un luogo sicuro. L’alternativa sicura più vicina era Lampedusa (Italia), così R. iniziò a dirigersi verso l’isola, reiterando la richiesta di assistenza e allegando referti medici indicanti la vulnerabilità delle persone a bordo.
Nel frattempo, il 14 giugno 2019, fu adottato il c.d. “Decreto Sicurezza-bis”, recante anche disposizioni in materia di contrasto all’immigrazione illegale. L’art. 1 del suddetto decreto prevedeva che il Ministro dell’Interno potesse limitare o vietare l’accesso alle acque territoriali italiane, qualora fossero riscontrate violazioni della normativa nazionale sull’immigrazione4. Sulla base dell’allora nuova normativa in vigore, alla nave venne, pertanto, vietato l’ingresso a Lampedusa.
Il 26 giugno, dopo 17 giorni in mare in attesa di soccorso, la Sea Watch si fece strada verso Lampedusa speronando e danneggiando una nave della Guardia di Finanza5, che occupava in quel momento l’unico molo disponibile al fine di impedirne lo sbarco6.
In seguito a questi eventi, il Pubblico Ministero richiese all’ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari la convalida del provvedimento di arresto, eseguito dalla Guardia di Finanza di Lampedusa, e la contestuale applicazione della misura cautelare del divieto di dimora in provincia di Agrigento nei confronti di Carola Rackete. Le accuse mosse a R. riguardavano il reato ex art. 1100 del Codice della Navigazione7 e quello ex art. 337 del Codice penale8, poiché, in qualità di Comandante della motonave Sea Watch 3, avrebbe compiuto atti di resistenza e violenza contro la nave da guerra della Guardia di Finanza9.
3. Il ragionamento giuridico
Il Giudice per le Indagini Preliminari, dott.ssa Alessandra Vella, cominciò il sillogismo premettendo la necessità di esaminare il caso unitamente agli obblighi di salvataggio in mare e riaffermando la sovraordinazione del diritto internazionale rispetto alla legislazione interna, secondo gli articoli 10 e 117 della Costituzione italiana10 e secondo il principio pacta sunt servanda11.
La liceità della condotta di R. fu stabilita sulla base di Convenzioni Internazionali – la Convenzione (UNCLOS) di Montego Bay, la “International Convention on Maritime Search and Rescue” (SAR) e la “International Convention for the Safety of Life at Sea” (SOLAS) -, che prevedono l’obbligo di assistenza in mare. Venne richiamato, poi, l’art. 1158 del Codice della Navigazione12, il quale sanziona penalmente l’omissione da parte di un Comandante di prestare assistenza. Infine, la decisione di R. di non sbarcare a Tripoli venne giudicata in linea con le raccomandazioni del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa13.
Sulla base del combinato disposto dell’art. 18 della citata Convenzione di Montego Bay14 e dell’art. 10-ter del Decreto Legislativo 286/9815, fu stabilito che la libertà degli Stati di regolare i flussi di ingresso nel territorio nazionale (espressione di sovranità nazionale) debba rispondere ai limiti imposti dall’adesione ai trattati internazionali, i quali impongono l’obbligo per le autorità di prestare primo soccorso e assistenza allo straniero entrato, anche se irregolarmente, nel territorio dello Stato.
La Corte stabilì che l’ipotesi di reato ex art. 1100 del Codice della Navigazione fosse inammissibile, in quanto la nave della Guardia di Finanza oggetto della aggressione non poteva essere considerata una nave da guerra, non trovandosi, al momento dei fatti, fuori dalle acque territoriali16.
D’altra parte invece, seppur con portata certamente meno offensiva di quella dichiarata dalle autorità, la Corte ritenne sussistere il reato di cui all’art. 337 del Codice Penale. Tuttavia, la condotta venne depenalizzata ai sensi dell’art. 51 c.p.17, perché R. aveva agito nell’adempimento di un dovere derivante dai suddetti obblighi internazionali. Questi includono non solo il salvataggio, ma anche il dovere di condurre gli stranieri naufragati in un porto sicuro. Il Giudice per le indagini preliminari, quindi, chiese l’immediato rilascio dell’imputata18.
4. Analisi
Nel caso in oggetto, le accuse di resistenza ad un pubblico ufficiale riguardavano il fatto che R. avesse ignorato l’ordine, emesso in base al “Decreto Sicurezza”, di interrompere la rotta per Lampedusa. Lo scopo del “Decreto Sicurezza” era quello di combattere l’immigrazione irregolare e trasmettere un messaggio ben preciso: l’immigrazione irregolare è percepita come un “problema di sicurezza”. Questa rappresentazione è oggi divenuta centrale nel discorso politico prevalente, come afferma Moreno, e, in nome della difesa dei confini, l’obiettivo del legislatore diventa quello di combattere il fenomeno, piuttosto che salvare la vita dei migranti, la vita di esseri umani19.
Il fine di queste politiche di contrasto, è quello di impedire che i rifugiati giungano nel paese di destinazione e, dunque, che possano richiedere asilo e protezione internazionale. Infatti, i migranti, a causa del mancato arrivo sul suolo italiano e trovandosi, tra l’altro, su una nave battente bandiera straniera, non ricadono sotto la giurisdizione italiana né de jure né de facto. La presenza della giurisdizione dello Stato italiano comporterebbe il rispetto dell’obbligo di non respingimento (divieto di refoulement) e dell’obbligo di sottoporre i richiedenti asilo a una scrupolosa analisi individuale, come stabilito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso Hirsi Jamaa20.
Come afferma Achiume, la risposta dei paesi europei nei confronti dei migranti africani è l’affermazione del loro diritto sovrano di escludere i non-cittadini. In questo caso, l’allora ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini, giustificava il negato permesso di attracco sulla base della sovranità dello stato, che gli consentiva questa risposta all’immigrazione clandestina21.
Tuttavia, sebbene i diritti umani siano diventati un campo di battaglia tra le pretese degli Stati sovrani di controllare i confini e le richieste dei rifugiati di accedere al territorio, questi diritti sono qualcosa che le decisioni sovrane degli stati non possono limitare o estinguere22.
In questo caso, il Giudice fece un forte riferimento alle fonti sovranazionali che stabiliscono la priorità dei diritti umani e della protezione delle persone in difficoltà rispetto al principio della sovranità degli Stati23. Questa priorità dà vita a doveri che, nella fattispecie, coinvolsero non solo lo Stato, ma direttamente la stessa R. che, secondo la Corte, agì in ottemperanza degli obblighi internazionali.
L’approccio del G.I.P. ha trovato poi conferma anche nelle Raccomandazioni dell’Unione europea che, pur riconoscendo la sovranità degli Stati, ha tracciato alcuni importanti limiti:
«Sebbene gli Stati abbiano il diritto di controllare i propri confini (…), ciò non può avvenire a scapito dei diritti umani delle persone, sia in mare che a terra. Una protezione efficace di questi diritti richiede la piena attuazione degli obblighi degli Stati membri, derivanti dal diritto marittimo internazionale, dalle convenzioni sui diritti umani e sui diritti dei rifugiati (…)»24
5. Conclusioni
La decisione del Tribunale, successivamente confermata anche dalla Corte di Cassazione a seguito del ricorso25, ha stabilito che la tutela dei diritti fondamentali delle persone, così come imposti dalle norme sovranazionali, è più importante della protezione dei confini nazionali e, quindi, quando sono a rischio vite umane, la disobbedienza ai divieti ministeriali d’ingresso non è solo una condotta lecita, ma un dovere. La riflessione che ne deriva è un invito a considerare quanto, ancora oggi ed illegittimamente, il concetto di sovranità nazionale possa essere utilizzato nella politica anti-migratoria come giustificazione per privare altri esseri umani dei loro diritti fondamentali.
A cura di Laura Rusconi
Dottoressa in Giurisprudenza
Studentessa del Master in International Migration and Refugee Law presso la Vrije Universiteit of Amsterdam
BIBLIOGRAFIA:
- Achiume E. Tendayi, “Migration as Decolonization”, in Stanford Law Review, v. 71, June 2019;
- Boeles P., den Heijer M., Lodder G. and Wouters K., “European Migration Law”, Cambridge 2014;
- Costello C., “The Human Rights of Migrants and Refugees in European Law”, Oxford 2016;
- Moreno-Lax V., “The EU Humanitarian Border and the Securitization of Human Rights: The ‘Rescue-Through-Interdiction/Rescue-Without_Protection’ Paradigm”, in Journal of Common Market Studies, v. 56, no. 1, 2018;
- Tondini M., “La politica del diritto nell’era del terrore: profili di legislazione e giurisprudenza comparata”, in Il Politico, vol. 72, no. 3 (216), 2007;
- Vassallo Paleologo F., “Gli obblighi di soccorso in mare nel diritto sovranazionale e nell’ordinamento interno” in Questione Giustizia, ed. Renato Rordorf, 2018;
NOTE:
- F. Vassallo Paleologo, “Gli obblighi di soccorso in mare nel diritto sovranazionale e nell’ordinamento interno” in Questione Giustizia, ed. Renato Rordorf, 2018, disponibile online.
- Si veda un approfondimento in M. Tondini, “La politica del diritto nell’era del terrore: profili di legislazione e giurisprudenza comparata”, in Il Politico, vol. 72, no. 3 (216), 2007, pp. 125-153.
- Ordinanza del Tribunale di Agrigento sulla richiesta di convalida di arresto e di applicazione della misura cautelare no. 3169/19 R.G.N.R., no. 2592/19 R. G. GIP (02 Luglio 2019).
- Decreto-Legge 14 giugno 2019, n.53,“Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica”, Art. 1 (“Misure a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e in materia di immigrazione”): “All’articolo 11 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 1-bis è inserito il seguente: «1-ter. Il Ministro dell’interno, Autorità nazionale di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 1 della legge 1° aprile 1981, N. 121, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento di cui al comma 1-bis e nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia, può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, comma 2, lettera g), limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689. Il provvedimento è adottato di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le rispettive competenze, informandone il Presidente del Consiglio dei ministri.”; disponibile in GU Serie Generale n.138 del 14-06-2019.
- Vedetta V.808 della Guardia di Finanza.
- Ordinanza cit., parr. 1-29.
- Codice della Navigazione (R.D. 30 marzo 1942, n. 327), art. 1100 (“Resistenza o violenza contro nave da guerra”): “Il comandante o l’ufficiale della nave, che commette atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale, è punito con la reclusione da tre a dieci anni. La pena per coloro che sono concorsi nel reato è ridotta da un terzo alla metà.”.
- odice Penale (R.D. 19 ottobre 1930, no. 1398), art. 337 (“Resistenza a un pubblico ufficiale”): “Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.”.
- Ordinanza cit. Pagg. 1 and 2.
- Cost. Ita., art. 10: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.”; art. 117: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. (…)”; GU 27 dicembre 1947, n. 298.
- Ordinanza cit. Pagg. 2-3.
- Codice della Navigazione (R.D. 30 marzo 1942, n. 327), art. 1158 (“Omissione di assistenza a navi o persone in pericolo”): “Il comandante di nave, di galleggiante o di aeromobile nazionali o stranieri, che omette di prestare assistenza ovvero di tentare il salvataggio nei casi in cui ne ha l’obbligo a norma del presente codice, è punito con la reclusione fino a due anni. La pena è della reclusione da uno a sei anni, se dal fatto deriva una lesione personale; da tre a otto anni, se ne deriva la morte. Se il fatto è commesso per colpa, la pena è della reclusione fino a sei mesi; nei casi indicati nel comma precedente, le pene ivi previste sono ridotte alla metà.”.
- Si veda la Sentenza del Tribunale di Trapani (Vos-Thalassa), 23 maggio 2019.
- Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Mare, accordo sottoscritto il 10 dicembre 1982 a Montego Bay, art. 18 (“Significato del termine ‘passaggio’”): “1. Per “passaggio” si intende la navigazione nel mare territoriale allo scopo di: a) attraversarlo senza entrare nelle acque interne né fare scalo in una rada o installazione portuale situata al di fuori delle acque interne; b) dirigersi verso le acque interne o uscirne, oppure fare scalo in una rada o installazione portuale. 2. Il passaggio deve essere continuo e rapido. Il passaggio consente tuttavia la fermata e l’ancoraggio, ma soltanto se questi costituiscono eventi ordinari di navigazione o sono resi necessari da forza maggiore o da condizioni di difficoltà, oppure sono finalizzati a prestare soccorso a persone, navi o aeromobili in pericolo o in difficoltà.”.
- D.lgs. 25 luglio 1998, n.286 (Testo unico sull’immigrazione), art. 10-ter: “Lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. (…)”.
- Si veda la sentenza della Corte Costituzionale, no. 35/2000.
- Codice Penale, (R.D. 19 ottobre 1930, no. 1398), art. 51 (“Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”): “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità. (…)”.
- Ordinanza cit. 2-13.
- Moreno-Lax, “The EU Humanitarian Border and the Securitization of Human Rights: The ‘Rescue-Through-Interdiction/Rescue-Without_Protection’ Paradigm”, in Journal of Common Market Studies, v. 56, no. 1, 2018, pp. 130-133.
- Corte EDU, Hirsi Jamaa and Others v. Italy, 23 February, 2012, No. 27765/09.
- Tendayi Achiume, “Migration as Decolonization”, in Stanford Law Review, v. 71, June 2019, pp. 1512-1513.
- Per un approfondimento sul tema, si veda C. Costello, “The Human Rights of Migrants and Refugees in European Law”, Oxford 2016.
- Su questo argomento, P. Boeles, M. den Heijer, G. Lodder and K. Wouters, “European Migration Law”, Cambridge 2014, pp. 14-16.
- Council of Europe, Commissioner for Human Rights Dunja Mijatović, “Lives saved. Rights protected. Bridging the protection gap for refugees and migrants in the Mediterranean”, June 2019, p. 16: “Whilst states have the right to control their borders (…), this cannot come at the expense of people’s human rights whether at sea or on land. Effectively protecting these rights requires the full implementation of member states’ obligations, under international maritime law, human rights law and refugee law, which should be read as being consistent with each other”.
-
Sentenza della Corte di Cassazione, no. 6626/2020.