Lo scopo di questo articolo è quello di analizzare le tendenze delle politiche di cooperazione tra Cina e Paesi partners in Europa e Italia. La comprensione di queste tendenze, sono utili per mitigare i rischi e massimizzare i benefici della Belt and Road Initiative (BRI), sullo sfondo della competizione USA-Cina per la leadership globale.
- Il contesto:
Decenni di impressionanti risultati economici sono valsi alla Cina il riconoscimento generalizzato di “gigante economico”. Il recente raggiungimento di una crescita interna più sostenibile è coinciso con un’accelerazione delle ambizioni esterne della Cina, anche dal punto di vista politico, diplomatico e militare.
La determinazione di Pechino ad accrescere il suo ruolo guida a livello globale risiede nell’ambizioso progetto della Belt and Road Initiative (BRI), un’imponente iniziativa strategica votata per collegare la Cina e l’Europa, via terra e via mare, attraverso massicci prestiti, investimenti, programmi people-to-people e grandi progetti infrastrutturali (porti marittimi, ferrovie, autostrade, infrastrutture di telecomunicazione, ecc.)
Anche se teoricamente si sviluppa secondo principi di non interferenza e di cooperazione vantaggiosa per tutti, sarebbe sconsiderato non considerare anche le implicazioni di sicurezza. Dal 2013 a oggi, accanto a numerosi progetti di successo, sono stati registrati anche diversi progetti falliti nei Paesi ospitanti, tuttavia, in alcuni casi hanno continuato a beneficiare strategicamente la Cina attraverso quella che è stata criticamente etichettata come “diplomazia del debito”. Ciò ha contribuito ad aumentare l’attenzione di studiosi, politici e attori economici sulle conseguenze per la sicurezza della BRI.
- Le implicazioni
Le implicazioni per la sicurezza domestica e internazionale riguardano diversi settori:
Governance Globale: L’influenza politica che la Cina ha acquisito attraverso gli investimenti diretti in Europa è già vista da alcuni osservatori come una seria sfida alla coesione politica dell’UE nei confronti della Cina. In particolare, la Grecia, in concomitanza con i massicci investimenti che la società statale cinese COSCO ha fatto nel porto del Pireo si è espressa radicalmente a favore della Cina e totalmente contro la posizione dell’Unione Europea: nel 2016 Atene ha usato il suo voto per rendere inutile la posizione dell’UE sulla disputa sul Mar Cinese Meridionale; nel 2017, all’UNHCR, la Grecia ha usato il suo voto contro una risoluzione di condanna promossa dall’UE contro la Cina sulla questione dei diritti umani.[i]
Cooperazione di Ricerca e Sviluppo: La Cina mira a diventare leader mondiale nella scienza e nell’innovazione entro il 2050 grazie al programma “Made in China 2025”, annunciato nel 2015, il quale delinea la strategia della Cina per diventare leader mondiale in una serie di settori ad alta tecnologia, come la robotica, le attrezzature aerospaziali, i dispositivi medici e intelligenza artificiale.
Numerosi casi, soprattutto in paesi del Nord Europa, hanno evidenziato come alcuni progetti di cooperazione tra Università europee e cinesi abbiano generato situazioni spiacevoli sul fronte della sicurezza: Nel 2019 un’indagine giornalistica ha portato alla luce ampie collaborazioni tra le università australiane e le entità cinesi (Università e Aziende controllate dallo Stato) coinvolte nello sviluppo di apparati di sorveglianza di massa sperimentati e poi utilizzati da Pechino in aree sensibili della Cina, garantendo gli interessi di sicurezza del Partito Comunista Cinese.[ii]
Inoltre Pechino non fa segreto della propria strategia chiamata “military-civil fusion“, in cui vi è una stretta cooperazione tra settore civile e militare per lo sviluppo di innovazioni utili per scopi duali. Nulla di nuovo però, questa è infatti una strategia inventata proprio negli USA: l’implementazione attuale della stessa in Cina preoccupa Washington solo per il fatto che indica l’intenzione concreta, da parte di Pechino, di effettuare il “salto di qualità” necessario ad eguagliare gli Stati Uniti.[iii]
Infrastrutture strategiche: Una società di proprietà della Governo Cinese – la Shanghai International Port Group (SIPG) – ha un contratto per la gestione di un nuovo grande impianto di container nel porto di Haifa (Israele) per 25 anni, a partire dal 2021. Ciò riguarda sia gli interessi americani che quelli israeliani in materia di sicurezza.
Il sito si trova a pochi chilometri dalla principale base navale della Marina israeliana. Per far funzionare l’impianto, la SIPG dovrà connettersi a tutti i sistemi internet sia del porto che del Ministero dei Trasporti, esponendoli a manipolazioni, data mining e cyber war al servizio degli interessi del governo cinese.
Dati i legami militari e di intelligence tra Cina, Russia e Iran, gli accordi portuali di Haifa creano il rischio che la Cina possa, in alcune circostanze, ottenere informazioni sensibili sulla marina militare, la navigazione mercantile e le infrastrutture marittime israeliane e fornirle all’Iran. Al di là delle informazioni sensibili, l’aggregazione e l’estrazione di informazioni e dati logistici e commerciali è ampiamente sfruttabile dato il loro valore commerciale, politico e militare[iv].
Investimenti esteri: Nello Sri Lanka, ad esempio, la Cina ha concesso al governo grandi somme di credito per pagare la costruzione di un enorme porto marittimo. Nel 2017, quando lo Sri Lanka (già finanziariamente debole) è fallito, la Cina si è impadronita della proprietà del porto. Sotto forte pressione, e dopo mesi di trattative con i cinesi, il governo ha consegnato il porto e i 15.000 acri di terra intorno ad esso per 99 anni.
Il trasferimento ha dato alla Cina il controllo di un territorio a poche centinaia di miglia al largo delle coste di uno Stato rivale, l’India, e un punto d’appoggio strategico commerciale e militare di importanza critica.[v]
- Forme di contrasto ai rischi:
Diverse forme di contrasto sono state prese in questi ultimi anni (e mesi) dagli Stati Occidentali.
Gli Stati Uniti, in piena guerra commerciale per la leadership globale con i cinesi, hanno sviluppato dei pioneristici apparati legislativi per il controllo degli investimenti esteri: gli Investimenti Diretti Esteri (IDE) sono da tempo controllati dal processo di revisione del Committee on Foreign Investment in the United States (CFIUS) gestito dal Bureau of Industry and Security (BIS) del Dipartimento del Commercio.
Nell’agosto del 2018, la giurisdizione del CFIUS è stata sostanzialmente ampliata con l’adozione del Foreign Investment Risk Review Modernization Act (FIRRMA). Inoltre, Washington ha anche implementato programmi come “Conosci il rischio, alza il tuo scudo”, del National Counterintelligence and Security Center, un programma che fornisce risorse al settore privato, compresi suggerimenti per aiutare le imprese a comprendere meglio le minacce e a proteggersi[vi].
Nelle Ultime settimane, tuttavia, la situazione sta precipitando: come testimonia l’ultima decisione del Senato USA che ha di fatto approvato una proposta di legge che potrebbe impedire a diverse società cinesi di quotarsi a Wall Street.
In Europa, circa la metà degli Stati membri dell’UE, tra cui l’Italia, dispone di un meccanismo nazionale di screening degli Investimenti Diretti Esteri (IDE). Nel 2017, Francia, Germania e Italia si sono rivolte congiuntamente alla Commissione Europea con la proposta di creare delle condizioni giuridiche più armoniose possibili per vietare o condizionare gli IDE non solo per motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico, ma anche sulla base di criteri economici.
Nel marzo 2019 il legislatore europeo ha adottato il Regolamento (UE) 2019/452[vii], che stabilisce un quadro per il controllo degli IDE nell’Unione, che entrerà in vigore nell’ottobre 2020. Fatte salve le prerogative di sicurezza nazionale, la Commissione ha il potere di esprimere un parere sugli IDE che possono riguardare progetti di interesse per l’Unione.
Secondo il regolamento, tra i fattori da prendere in considerazione per valutare l’impatto degli IDE sulla sicurezza o sull’ordine pubblico vi è il potenziale impatto su: infrastrutture critiche, tecnologie a duplice uso, approvvigionamento di materie prime, accesso ai dati sensibili, all’informazione (e le relative tecnologie di gestione), la libertà dei media e il pluralismo.
Un altro parametro per lo screening è il grado di connessione tra l’investitore estero e gli attori statali stranieri. Questi meccanismi, pur non avendo effetti vincolanti, vanno nella direzione del coordinamento tra i processi decisionali e dovrebbero essere considerati come un punto di partenza[viii].
In Italia, nel 2019, il Governo ha esteso i poteri speciali sul controllo degli investimenti esteri (c.d. Golden Power) a quei settori che hanno acquisito una crescente importanza in relazione ai progressi tecnologici e che sono particolarmente esposti alla concorrenza globale.
La legge 133/2019 riguarda “disposizioni urgenti relative al perimetro della sicurezza cibernetica nazionale e alla regolamentazione dei poteri speciali in settori di importanza strategica”, garantendo la tutela di settori quali l’intelligenza artificiale, la robotica, le biotecnologie e i media, in linea con quanto previsto dal Regolamento UE 2019/452.
Secondo l’annuale “Rapporto sulla politica dell’informazione per la sicurezza” pubblicato nel 2019 dall’Intelligence italiana (SISR), l’Italia è caratterizzata da un contesto di fragilità, innestato in una concorrenza internazionale sempre più aggressiva: soprattutto nell’ambito degli IDE, delle operazioni di fusione e acquisizione, che rappresentano invece la linfa vitale per la crescita, lo sviluppo e l’innovazione.
Anche i Servizi italiani fanno esplicito riferimento alle implicazioni di sicurezza legate al BRI: “L’attività di intelligence ha interessato anche: il settore dei trasporti e della logistica, soprattutto per quanto riguarda i porti – core strategici dei traffici commerciali – anche in relazione agli accordi in corso con Pechino nell’ambito della Belt and Road Initiative“, mentre nel settore delle telecomunicazioni (con riferimento alla tecnologia 5G) si evidenzia che:
“le acquisizioni di intelligence hanno riguardato principalmente le aggressive strategie di penetrazione del mercato interno perseguite dagli operatori stranieri anche attraverso forme di interferenza volte a “promuovere” l’offerta dei loro prodotti, servizi e tecnologie e le attività di lobby/networking”. Tale situazione si inserisce – ed è amplificata – in un più ampio contesto di rallentamento economico sia a livello europeo che globale, esacerbato dall’attuale pandemia.[ix]
Conclusione:
L’intento di questo articolo è quello di focalizzare l’attenzione del dibattito pubblico nazionale ed europeo su una oculata valutazione dei potenziali rischi derivanti dalla cooperazione (commerciale e non) con la Cina e delle misure di mitigazione degli stessi volti alla massimizzazione dei vantaggi, concentrandoci su casi concreti e non su isterie sino-fobiche o prese di posizioni assimilabili a tifoserie da stadio.
I dati parlano chiaro[x]: è sotto gli occhi di tutti, infatti, che gli investimenti diretti cinesi in altri paesi del mondo, anche occidentali, Italia compresa, hanno avuto un impatto benefico importantissimo sul piano dell’occupazione, della crescita economica, dello sviluppo tecnologico, sia a livello nazionale che globale. La Cina è ormai un partner importante e imprescindibile ma deve essere anche affidabile. Gli IDE sono infatti fondamentali nella loro funzione di “motore” dello sviluppo economico internazionale.
L’interesse degli Stati, soprattutto quelli occidentali, non deve essere quello di innalzare barriere verso gli investimenti diretti esteri, spinti dalla paura, come l’atteggiamento statunitense degli ultimi tempi suggerisce. Piuttosto, consci delle implicazioni di sicurezza, gli Stati dovrebbero cercare strumenti atti a fornire un controllo efficace alla sicurezza e ordine pubblico nazionale, che, nel lungo periodo, possa allo stesso tempo innescare, negli investitori stranieri, una maggiore chiarezza e uniformità nelle regole, incentivando investimenti e disincentivando il loro cattivo utilizzo.
In gioco non c’è soltanto la sicurezza pubblica e militare dei Paesi europei, ma anche l’attrattiva dell’Europa come bacino di investimenti, fatto di Know-How all’avanguardia, competenze tecniche avanzate, e di un tessuto produttivo la cui competitività deve rimanere elevata. Gli Stati devono avere un ruolo centrale in tutto ciò, senza però cedere a tentazioni protezionistiche che rischiano di creare più danni che benefici.
Lorenzo Gagliano
Dottore in International Relations
Bibliografia
[i] The Economist Intelligence Unit (EIU), “Prospects and Challenges on China’s ‘One Belt, One Road’: A Risk Assessment Report” (2015);
[ii] Four Corners – Sean Rubinsztein-Dunlop, Mario Christodoulou, Sashka Koloff, Lauren Day, Echo Hui, Background Briefing, 13 OctOctober 2019, updated 4 November 2019;
[iii] Samuel Bendett and Elsa B. Kania, “Chinese and Russian Defense Innovation, with American Characteristics? — Military Innovation, Commercial Technologies, and Great Power Competition,” The Strategy Bridge, August 2, 2018
[iv] D. J. Trachtenberg, M. Dodge, A. Joseph,” National Security Perils of China’s Belt and Road Policy”, National Institute for Public Policies, Issue No. 447, 2019;
[v] Maria Abi-Habib, “How China Got Sri Lanka to Cough Up a Port,” New York Times, June 25, 2018. See also Mark Green, “China’s Debt Diplomacy,” Foreign Policy, April 25, 2019;
[vi] Office of the Secretary of Defense, “Annual Report to Congress: Military and Security Developments Involving the People’s Republic of China 2018,” pp. i, ii, 111-112, 2018;
[vii] Regulation (Eu) 2019/452 Of The European Parliament And Of The Council, Official Journal of the European Union, 19 March 2019;
[viii] G. Grieger, “Foreign Direct Investments Scereening. A Debate in light of China – EU FDI flows”. European Parliamentary Research Service, Brussels 2017;
[ix] Relazione al Parlamento, “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2019”, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, 2020;
[x] A. Kratz, M. Huotari, T. Hanemann, R. Arcesati, “Chinese FDI In Europe: 2019 Update”, A report by Rhodium Group (RHG) and the Mercator Institute for China Studies (MERICS), 2020;