#RadioAut – Uso ed abuso dei Dpcm: brevi riflessioni di diritto costituzionale.



La recente diffusione della pandemia Covid-19 non pone soltanto problemi di carattere sanitario ma, come si è visto, anche problemi di carattere sociale, economico, culturale, politico e giuridico.

Si è ben consapevoli che i governanti abbiano il dovere di tutelare la salute dei governati, adottando quelle misure necessarie e proporzionate per fronteggiare, ridurre e sconfiggere la diffusione del virus; si è, però, al tempo stesso ben consapevoli che la tutela dei diritti della persona, tra cui la salute, non può mai tradursi in atti di arbitrio, che esulano o peggio ancora vadano ben oltre i confini della legalità internazionale e statuale: ciò è accaduto, a mio avviso, in Ungheria, dove il Primo Ministro Orban, nonostante la situazione epidemiologica di quel Paese non avesse i caratteri della drammaticità di altri Paesi, ha chiesto ed ottenuto dal Parlamento i pieni poteri per dissimulare, sotto il manto della legalità emergenziale, la violazione più o meno evidente dei diritti fondamentali dell’uomo.

La tutela della salute pubblica – che, piace ribadirlo, è considerata prioritaria in un giudizio di bilanciamento con opposti o concomitanti libertà e diritti di altra natura – non può mortificare né violentare il fondamento stesso del moderno costituzionalismo: la Costituzione!

La Costituzione, infatti, è e rimane il perimetro ineludibile entro il quale i governanti debbono mantenersi, rispettandone saggiamente non solo i principi fondamentali ma soprattutto interpretandone lo spirito e la finalità ultima: garantire ai cittadini la certezza del diritto, l’eguaglianza formale e sostanziale di fronte alla legge e l’assenza di arbitrio nella gestione della cosa pubblica.

L’Italia è e rimane una Repubblica parlamentare, dove il Parlamento, democraticamente eletto, resta il depositario principale della sovranità popolare, la cui limitazione, è bene ricordarlo, può avvenire esclusivamente nei modi e nei limiti previsti dalla legge.

Abbiamo assistito ed assistiamo, tutt’oggi, ad un uso continuo e massivo di provvedimenti governativi – tra cui gli ormai celebri dpcm – adottati per il contenimento della diffusione epidemiologica, contenenti disposizioni significativamente limitative delle principali libertà civili, tra cui la libertà di movimento, la libertà di riunione e la libertà di culto: sul tema, non sono mancate polemiche politiche, più o meno pretestuose e strumentali, ma soprattutto si è sviluppato un interessante dibattito giuridico assai serrato tra i costituzionalisti, taluni dei quali ( vedi ad esempio Zagrebelsky, Il Fatto Quotidiano, 1 maggio 2020) hanno sostenuto la piena conformità dei dpcm alla Costituzione, altri, invece, ( vedi ad esempio Vincenzo Lippolis, Formiche.net 30 aprile 2020 ) si sono espressi per la loro illegittimità costituzionale.

Sul tema dei dpcm, ritengo che, se all’inizio del diffondersi della pandemia, quando era assolutamente necessario intervenire con atti non solo urgenti ma anche elastici e reiterati in un tempo ben definito, il dpcm, autorizzato da un decreto legge che poi è stato convertito in legge dalle Camere, fosse giustificato: la riserva di legge di cui all’articolo 16 Costituzione era sostanzialmente preservata dal decreto legge e i dpcm si giustificavano anche per l’oggettiva impossibilità del Parlamento di potersi riunire ordinariamente per approvare reiterati decreti-legge.

Oggi,  che la fase 1 è terminata e ci si avvia già domani, prudenzialmente, verso la fase 2, ritengo, sommessamente, che il dpcm non sia più lo strumento costituzionalmente corretto: se da un lato, infatti, riconosciamo che la nostra Costituzione non contempla una clausola di emergenza paragonabile a quelle previste in altre esperienze costituzionali anche a noi vicine, tuttavia non possiamo non rilevare che altri strumenti di intervento – che raggiungerebbero i medesimi obiettivi – in questo momento sarebbero costituzionalmente più corretti. In particolare, lo strumento della decretazione d’urgenza, infatti, si pone nel solco di consentire al Governo, nella sua collegialità, di adottare tutte quelle misure di carattere straordinario attraverso una procedura agile ma che al contempo garantisce, a differenza dei dpcm, sia il coinvolgimento del Parlamento (nel momento in cui, nella Fase 2, è verosimile possa riunirsi con più facilità), ma soprattutto garantirebbe il dovuto sindacato di costituzionalità.

Se i Padri Costituenti hanno previsto che le libertà individuali e collettive possano, in presenza di fatti eccezionali, essere limitate, hanno però posto giustamente il limite che ciò possa avvenire solo ed esclusivamente per legge, la quale ha il preciso compito di tutelare il cittadino da atti che, altrimenti, risulterebbero in maniera odiosa discrezionali ed arbitrari: peraltro, è opportuno rimarcare che mentre il decreto-legge è impugnabile, in via incidentale, innanzi la Corte Costituzionale, qualora si ritenessero violati taluni diritti costituzionalmente garantiti, il dpcm, che è un atto amministrativo, è censurabile esclusivamente attraverso gli ordinari ricorsi giurisdizionali.

L’utilizzo del decreto presidenziale, in questa nuova fase, pertanto non soddisfa più, a mio avviso, i requisiti costituzionali della adeguatezza, né appare ancora conforme al dettato costituzionale la tecnica di prevedere un decreto- legge “cornice” che consenta al Capo del Governo, senza limiti e senza controlli, di adottare poi non già semplici norme attuative ma ulteriori precetti e disposizioni, che limitano le libertà dei cittadini. Peraltro, non può sottacersi che la Costituzione, nel prevedere la possibilità che il Governo sia delegato ad adottare atti aventi forza di legge (art.76 Cost.) pone una disciplina ben precisa, ossia che le Camere approvino una legge-delega, in cui siano stabiliti i principi, i criteri, l’oggetto ed il tempo entro cui il Governo – inteso nella sua collegialità e dunque il Consiglio dei Ministri – potrà adottare i decreti legislativi.

Ritengo e ribadisco, in conclusione, che l’emergenza sanitaria grave che colpisce il nostro Paese e l’intera umanità non debba tradursi in emergenza costituzionale: la tutela dei diritti della persona, che è al centro dei principi immodificabili della prima parte della Costituzione, deve essere garantita ispirandosi ai criteri della adeguatezza, della proporzionalità e all’irrinunciabile equilibrio della divisione dei poteri dello Stato. Siamo ancora, infatti, in quella “età dei diritti” in cui Bobbio ci ha insegnato che il rapporto governanti/governati non deve essere considerato più dalla prospettiva dei primi ma da quella dei secondi, a partire dalla consapevolezza della priorità dell’individuo nella società.

Al Governo in carica va riconosciuto, certamente, il merito oggettivo di avere saputo, con immane responsabilità, guidare il Paese in un momento difficilissimo, il più difficile di tutti i tempi. Ed è proprio in virtù della riconosciuta saggezza, equilibrio ed autorevolezza del Presidente del Consiglio che ho fiducia che l’Italia non corra assolutamente il rischio di una deriva autoritaria come accaduto in Ungheria, purché, ovviamente, le Istituzioni oggi chiamate a gestire l’emergenza sanitaria sappiano ritrovare unità di intenti, leale collaborazione e rispetto delle proprie e altrui prerogative costituzionali.

Rosario Fiore

Segretario Generale Istituto Mediterraneo di Studi Internazionali

 

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