Introduzione
La presente riflessione si pone come scopo quello di analizzare il ruolo svolto dalle donne nel periodo Illuminista. Partendo pertanto dagli importanti spunti ideologici e dalle linee guida sulla predetta corrente filosofica e di pensiero offerti dall’iconico pamphlet di Immanuel Kant Che cos’è l’Illuminismo?, la riflessione si articolerà intorno all’analisi di due opere fondamentali nel quadro delle prime riflessioni sul femminismo, rispettivamente la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina di Olympe de Gouges e l’opera Sui diritti delle donne, di Mary Wollstonecraft. Oltre che le opere delle due autrici, la prima delle quali costituisce anche un interessante spunto di carattere giuridico (non sfugge il chiaro parallelismo con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, frutto delle istanze e dei valori esaltati dalla Rivoluzione), particolarmente interessante si rivelerà il riferimento a brevi ma fondamentali cenni biografici sulle autrici stesse, in quanto esempio materiale, di vita vissuta, della condizione femminile in seno al predetto periodo storico.
Nell’atto di rintracciare le cause e le origini delle disuguaglianze, fondamentale si rivelerà altresì il contributo pedagogico dell’illustre filosofo e, in questo caso, anche pedagogo Jean-Jacques Rousseau, che nell’ Emilio offre un quadro chiaro e completo del sistema educativo ritenuto foriero di progresso e fondamentale per garantire l’armonia all’interno della società dei Lumi.
Sarà effettivamente possibile rispondere con chiarezza, al termine della trattazione, alla domanda che più di ogni altra affligge chi considera la condizione della donna nel secolo delle Rivoluzioni: Quis potest sapere audere?
L’Età dei Lumi, Kant e l’universo femminile
In una delle sue opere più celebri, pamphlet iconico nel contesto della riflessione storica e filosofica del Settecento, Immanuel Kant chiarifica in modo dettagliato cosa significhi il termine Illuminismo, movimento di pensiero nato in Francia nei primi decenni del Settecento e capillarmente diffusosi in tutta Europa nel corso del XVIII secolo. Figlio delle rivoluzioni, quella inglese prima (1688) e quelle americana (1775) e francese (1789) poi, l’Illuminismo richiama, già nell’etimologia stessa dell’espressione (Âge des lumières, Età dei Lumi), il rischiaramento delle tenebre che avvolgono la ragione umana e il trionfo della stessa su pregiudizio e superstizione. «L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso»[1], esordisce Kant. Tratto essenziale delle tenebre che hanno avvolto l’epoca storica appena conclusasi è dunque il dolo di cui l’individuo stesso si è macchiato nel lasciare che altri decidessero in sua vece. «Sapere aude!-continua poche righe più avanti- Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza»[2]. L’universo delineato da Kant si divide in minori e tutori, i primi incapaci, o meglio poco vogliosi, di far fruttare a pieno le proprie potenzialità intellettuali e i secondi abbastanza scaltri da approfittarsene.
A far sì che la stragrande maggioranza degli uomini (e con essi tutto il bel sesso) ritenga il passaggio allo stato di maggiorità, oltreché difficile, anche molto pericoloso, provvedono già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sopra costoro. Dopo averli in un primo tempo instupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste pacifiche creature osassero muovere un passo fuori dal girello dei bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo mostrano ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. [3]
Il passo appena citato del pamphlet kantiano ci permette di entrare nel vivo della questione della differenza di genere e delle rivendicazioni femminili avanzate durante l’Età dei Lumi.
Prima di tutto, infatti, ad un’attenta lettura del testo, si noterà che l’espressione più interessante ai fini della presente dissertazione è proprio quella posta tra parentesi: l’autore infatti, nel fare riferimento agli individui ancora relegati ad uno stato di minorità, accenna a «la stragrande maggioranza degli uomini» e a «tutto il gentil sesso». Ne discende dunque che, se un uomo può assumere il ruolo di tutore, la stessa prerogativa non è di fatto valida anche per le donne. Kant disegna in questo modo, con poche semplici parole racchiuse tra due parentesi tonde, la condizione di vita dell’intero genere femminile, Non ci sono eccezioni né, tantomeno, ne sono ammesse. Non è dato capire se Kant riconosca anche alle donne le stesse capacità intellettuali in potenza che riconosce all’uomo; non vi sono ulteriori riferimenti specifici nel testo che siano illuminanti in tal senso. Se diamo per scontato, malgrado una simile argomentazione risulti tutt’altro che scontata, che le affermazioni successive riferite ai minori siano valide sia per gli uomini che per le donne, ne discende che anche le donne, tramite l’educazione dello spirito, possono accedere ad un proficuo esercizio della ragione. È dunque possibile affermare che l’invito a servirsi del proprio intelletto sia valido anche per le donne? Sarebbe bello poter rispondere affermativamente, ma una simile risposta non sarebbe che il frutto di un’utopia, che avrebbe senz’altro deviato il corso della storia in maniera determinante ma che comunque non corrisponde alla realtà dei fatti, anzi ne è ben lontana. La vera storia dell’emancipazione femminile infatti viene scritta dai fatti, fatti che dimostrano come non solo molte donne siano rimaste costrette dentro “il girello da bambini” che qualcun altro ha costruito per loro, ma che anche coloro le quali ne uscirono coraggiosamente, rispondendo all’invito sapere aude! con grande impegno e originalità, pagarono alto il prezzo dell’emancipazione. A chi giova dunque realmente servirsi della propria intelligenza? Ancora una volta, Quis potest sapere audere?
Il coraggio di servirsi del proprio intelletto: Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft
Proprio sull’accesso alle opportunità e sul binomio uguaglianza/differenza si gioca il ruolo della donna nel periodo illuminista. Le grandi donne e pensatrici dell’Illuminismo fecero non solo delle proprie opere, ma anche delle proprie stesse vite, un esempio di quelle profonde contraddizioni legate a questo periodo storico. Il carattere straordinario del femminismo illuminista sta nella volontà delle sue protagoniste di sfidare un modello intellettuale egalitario solo in linea teorica, facendosi promotrici di una maturità di pensiero inaspettata e che, in qualche modo, anticipò alcuni tratti del pensiero femminista moderno e contemporaneo.
Il mio scopo, signora, è quello di parlarvi con franchezza; e non ho atteso, per esprimermi in tal modo che giungesse l’epoca della libertà: mi sono esposta con la stessa energia al tempo in cui la cecità dei despoti osava punire così nobile audacia[4]
esordisce Olympe de Gouges nella lettera che indirizza alla regina Maria Antonietta, preambolo alla sua celebre e pungente Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina.
L’opera, pubblicata nel 1789, costituisce una versione tutta al femminile della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino, elaborata nello stesso anno. Quest’ultima, documento di importanza fondamentale, ritenuto foriero di progresso e libertà, ha lasciato tuttavia fuori dalla sua giurisdizione ampie fasce della collettività cui ambiva a rivolgersi, e in particolare le donne.
In quanto ancora relegate nello stato di minorità tanto condannato da Kant, le donne non possono essere equiparate agli uomini, né tanto meno possono ambire a vedersi riconosciuti importanti diritti, da quelli fondamentali, legati alla persona umana, ai diritti politici, in quanto non ritenute in grado di usufruirne adeguatamente. Una donna libera è pericolosa; una donna cui venisse riconosciuta la possibilità di votare determinerebbe la rovina certa dello Stato. Molte donne accettarono passivamente questo principio come un dato di fatto, trincerandosi dietro concezioni patriarcali che, seppur frutto di costruzione e sedimentazione storica, avevano finito per assumere carattere universalistico. Da questo punto di vista il preambolo alla Dichiarazione è illuminante: presa coscienza della propria condizione e soprattutto delle proprie potenzialità, fino a quel momento sminuite o ignorate, le donne chiedono che vengano riconosciuti loro i propri diritti, «naturali, inalienabili e sacri». La proposta avanzata da Olympe de Gouges è molto più ambiziosa di quanto si possa pensare: non solo ella rivendica diritti basilari, che ciascuna donna dovrebbe vedersi riconosciuti (pensiamo, ad esempio, alla libertà femminile sancita dall’art.1, per cui «La donna nasce libera e mantiene parità di diritti con l’uomo»), ma rivendica anche, proprio in nome di tali diritti, la partecipazione politica del popolo femminile, ritenuta fondamentale al fine del «consolidamento della Costituzione, dei buoni costumi e della felicità di tutti». La de Gouges collega, con un espediente magistrale, l’importanza della partecipazione politica femminile al concetto, fondamentale nella filosofia Illuminista, di Nazione. La Nazione, recita la Dichiarazione all’art.3, non è altro che la «riunione della donna e dell’uomo», un corpo unico che non è possibile separare, se non per mezzo di una forzatura ideologica e sessista. Per esercitare piena sovranità, e per ottenere pertanto un riconoscimento politico di fronte agli altri stati, la Nazione dovrà agire in quanto corpo unico, frutto dell’unione e della cooperazione tra i sessi. Secondo questa visione assolutamente rivoluzionaria rispetto ai costumi dell’epoca, il riconoscimento della sovranità di uno Stato viene indissolubilmente legata al ruolo che vi assume la donna, quella stessa donna ritenuta fino a quel momento, e per lungo tempo ancora, incapace persino delle più trascurabili attività sociali.
All’art.16, poi, l’argomentazione si fa ancor più estrema: «[…]; la Costituzione è nulla se la maggioranza degli individui che costituiscono la Nazione non ha collaborato alla sua redazione». La de Gouges, nel mettere in discussione il valore del documento fondamentale dello Stato e con esso la sua sovranità, lancia una sfida alla classe dirigente, minando le fondamenta della concezione stessa di Stato e la libertà su cui esso dovrebbe essere imperniato. L’Illuminismo, l’età della ragione, del progresso, delle libertà civili, crolla come un castello di carte sotto la lineare argomentazione di una donna sulle donne.
L’intera Dichiarazione, in ultima analisi, costituisce la prova che tali libertà valgono solo per il cittadino, e non per la cittadina, costretta a reclamare i più svariati diritti, da quello ad un impiego, a quello di detenere proprietà, o ancora di votare e ricoprire cariche pubbliche. L’acquisizione di questi diritti, seppur naturali, va reclamata: nel postambolo alla Dichiarazione, pertanto, l’autrice si rivolge direttamente alle donne, mettendole di fronte alla triste realtà di una rivoluzione fallita nella sostanza, ma che porta in sé il seme di una nuova e più rigorosa consapevolezza, foriera, in potenza, di un’ulteriore rivoluzione dei costumi.
O donne! Donne! Quando cesserete di esser cieche? Quali vantaggi avete raccolto dalla Rivoluzione? Un disprezzo più accentuato, un disdegno più esplicito. Nei secoli della corruzione avete regnato unicamente sulla debolezza degli uomini. Ora che il vostro impero è distrutto, che cosa vi resta? La convinzione delle ingiustizie commesse dall’uomo. Rivendicare ciò che vi appartiene in base ai saggi decreti della natura: che cosa dovreste temere da una così bella impresa?
[…] E se si ostinassero, deboli come sono, in questa incoerenza che contraddice i loro stessi principi, opponete coraggiosamente la forza della ragione a quelle vane pretese di superiorità, riunitevi sotto lo stendardo della filosofia, dispiegate tutta l’energia del vostro carattere, e presto vedrete questi orgogliosi strisciare ai vostri piedi in servile adorazione, fieri tuttavia di condividere con voi i tesori dell’Essere supremo. Qualunque barriera vi venga opposta, è in vostro potere scavalcarla: dovete solo volerlo. [5]
Dovete solo volerlo. Sta alle donne, e non agli uomini, decidere della propria sorte: questo il leitmotiv delle opere femministe nel periodo illuminista. Se, tuttavia, Olympe de Gouges, come già detto, incentrò la propria trattazione sull’importanza dei diritti naturali e del ruolo dovuto ma mai concesso che da essi deriva, colei che più concentrò la propria attenzione sui presupposti della fruizione di tali diritti fu la pensatrice inglese Mary Wollstonecraft. Nella sua opera più celebre, Sui diritti della donna, l’autrice tratteggia infatti un quadro estremamente chiaro e lucido delle condizioni della donna, in seno al quale non risparmia alle sue concittadine critiche e invettive più o meno dirette. L’assunto da cui muove la Wollstonecraft è molto più vicino all’argomentazione sull’infelice condizione dei minori proposta da Kant: ella sostiene, infatti, che quello femminile sia effettivamente divenuto il sesso debole.
Mi sono vista costretta ad ammettere- spiega nell’introduzione alla sua opera- che se non è la natura ad aver stabilito immense differenze fra uomini e uomini, il grado di civiltà raggiunto è colpevole di parzialità. Ho consultato molti libri in materia di istruzione e ho osservato con attenzione il comportamento dei genitori e dell’organizzazione scolastica, e con quale risultato? La convinzione profonda che la cattiva istruzione dei miei simili sia la fonte principale delle miserie che deploro e che le donne, in particolare, sono rese deboli e infelici da diverse cause concomitanti […]. Una causa di tale sterile fioritura è da attribuire, a parer mio, ad un sistema educativo fallace, suggerito da libri sull’argomento scritti da uomini. [6]
Fonte primaria di disuguaglianza è dunque il sistema educativo, che manipola il concetto di femminilità, inteso come opposto negativo della mascolinità, al fine di spingere le donne ad anelare amore e protezione più che indipendenza e razionalità. Per di più, poi, la cattiva educazione impartita alle madri finisce inevitabilmente per nuocere ai figli e, in particolare, alle figlie. Si tratta di un vero e proprio circolo vizioso: la donna viene educata secondo principi a lei presentati e imposti come “giusti”. In quanto giusti tali principi vanno rispettati, e ad assicurarne il rispetto è proprio l’uomo, garante dei buoni costumi. Le donne, dunque, nella stragrande maggioranza dei casi, conoscono il solo stile di vita che viene loro presentato come giusto e a quello si attengono per tutta la vita, nè hanno la possibilità di avanzare pretese di per sé legittime o, tanto meno, di uscire dal torpore intellettuale e civettuolo cui sono state educate sin dalla nascita.
Eppure, continua la Wollstonecraft, la mancanza di razionalità propria dell’universo femminile, e in particolare delle nobildonne, non è sinonimo di totale mancanza di potere. Le donne, infatti, hanno abbandonato la razionalità in favore di astuzia e seduzione, finendo per detenere quello che l’autrice definisce un «potere illecito»:
Le donne, così come i despoti, dispongono di un potere che non deterrebbero se il mondo fosse diviso e suddiviso in regni e famiglie e fosse governato da leggi dettate dall’esercizio della ragione; ma nel conseguimento del potere, proseguendo con il paragone, il loro carattere si è degradato, e la licenziosità si è diffusa in tutti gli strati sociali. La massa fa da piedistallo agli eletti. Per questo oso dire che fino a quando le donne non riceveranno un’educazione più razionale, il progresso della virtù e della conoscenza umana continuerà a sollevare interrogativi.[7]
Il potere cui si fa qui riferimento, tuttavia, non è che quello di conquistare l’uomo, unico soggetto in grado di garantirle una posizione stabile e sicura, lontana da ogni tipo di libertà che possa metterne alla prova la femminea delicatezza. L’infanzia di una donna, a differenza di quella di un uomo, non è volta a garantirle lo sviluppo delle capacità necessarie ad autoaffermarsi, bensì a garantirle un buon matrimonio. «Bella per i suoi difetti, e amabilmente debole!».
Quale soluzione si prospetta, dunque, per le donne affinché possano migliorare le proprie condizioni di vita all’interno della società? Anche su questo Mary Wollstonercaft è molto chiara: è necessario renderle libere da qualsivoglia vincolo imposto dall’esterno. La virtù e la saggezza cui ciascuna donna dovrebbe aspirare le deriveranno proprio dalla libertà di godere pienamente dei propri diritti naturali, identici a quelli degli uomini. Il miglioramento delle condizioni di vita della donna, continua l’autrice, comporterà un miglioramento direttamente proporzionale delle condizioni di vita dell’uomo.
Le argomentazioni addotte dalle due grandi pensatrici cui ho precedentemente fatto riferimento palesano una non indifferente insoddisfazione nei confronti del ruolo minoritario ricoperto nella società illuminista dalla donna e mostrano altresì le difficoltà notevoli che ella incontra nel cammino verso la parità, per raggiungere la quale bisogna intervenire, ancor prima che nella pratica, a livello ideologico. La storia però insegna come modificare un’idea sia di gran lunga più complesso e pericoloso che modificare i processi reali, i quali peraltro dipendono strettamente da quella stessa idea. Le due donne di cui sopra sacrificarono molto per poter esprimere liberamente le proprie idee, nonché per poter vivere conformemente ad esse: Olympe de Gouges sale al patibolo il 3 Novembre del 1793. La Feuille de Salut Public pubblicherà qualche giorno dopo la sua morte parole severe: «Volle essere uomo di Stato. Si direbbe che la legge abbia punito questa cospiratrice per aver dimenticato le virtù che si addicono al suo sesso». Giudicata colpevole dal tribunale rivoluzionario per aver diffuso le proprie idee politiche, Olympe de Gouges incarnò perfettamente lo spirito illuminista e il prezzo che per questo pagò fu la vita. Mai più calzante fu l’affermazione contenuta nella sua Dichiarazione «come la donna ha il diritto di salire al patibolo, così deve avere anche quello di salire alla tribuna». Se non fu la vita il prezzo che Mary Wollstonecraft dovette pagare per esprimere le proprie idee, furono comunque gli insulti, le insinuazioni e l’emarginazione cui fu costretta nel corso della vita. Un carattere rivoluzionario, una vita fuori da schemi e convenzioni, turbarono profondamente i perbenisti suoi contemporanei che, come nelle migliori tradizioni, rinnegarono e sbeffeggiarono ciò che si rivelarono incapaci di comprendere.
Rousseau e la sua Sofia: un modello educativo maschile per le donne
Mary Wollstonecraft offre uno spunto di riflessione ben articolato e estremamente interessante riguardo al ruolo giocato dal sistema educativo nella vita delle donne e in generale degli individui. Se infatti al momento della nascita essi possiedono tutti gli stessi inviolabili diritti, è la società e i modelli educativi da essa imposti che ne determinano la perdita. Il problema fondamentale della società illuminista, almeno per le donne, risiede nella caratterizzazione fortemente maschilista e patriarcale dei suddetti modelli, elaborati dagli uomini ma imposti anche alle donne. Se le donne non sono libere di partecipare alla formulazione delle regole che si ritroveranno a dover rispettare, è molto probabile che tali regole non le soddisferanno o ne altereranno le aspettative e i comportamenti.
Proprio partendo da questo assunto non si può non considerare, nel tratteggiamento di un quadro sulla condizione femminile nel periodo illuminista, il parere di un illustre pensatore, padre di una delle teorie pedagogiche più celebri della storia della filosofia. Parliamo di Jean-Jacques Rousseau, autore della celebre opera Emilio, in cui egli elabora una serie di tesi sull’educazione, creando un’opera unica nel suo genere, insieme romanzo e saggio di pedagogia. Rousseau tenta di dare vita, con tutte le difficoltà e le contraddizioni che questa scelta comporta, ad un modello educativo universale, partendo da un assunto ben diverso, e che anzi si colloca all’opposto, rispetto alla trattazione offerta da Mary Wollstonecraft. Egli, infatti, ritiene che il principio filosofico generale da cui muove il metodo educativo universale sia il rispetto della natura, conformemente al principio, di antica elaborazione, di ottimismo metafisico, tanto caro ad Hegel. L’interpretazione del reale come tutto armonico è comune a diversi pensatori del periodo illuminista: mentre, tuttavia, essi identificano nella Ragione la causa suprema di unità e equilibrio, lo stesso non può dirsi di Rousseau, il quale sostituisce alla Ragione, appunto, la Natura.
«Tutte le cose sono create da Dio, tutte degenerano nelle mani dell’uomo.»[8]
Servendosi di un’efficace metafora Rousseau spiega che l’uomo, come una pianta, nasce con una determinata inclinazione, voluta, appunto, dalla natura, che insieme agli uomini e alle cose, rappresenta uno dei suoi maestri. La “buona educazione” consiste nell’assecondare l’inclinazione offerta all’uomo dalla natura, senza sviarla o forzarla.
Come inserire, dunque, il ruolo della donna in questo modello educativo? Rousseau dedica l’intero libro V al tema della femminilità, dal titolo Sophie ou la femme, dove Sofia è la donna amata dal protagonista, né mancano, all’interno dell’opera, i riferimenti al fondamentale ruolo educativo della madre, che l’autore perse alla nascita, nella crescita del fanciullo. In effetti il ritratto della figura femminile subisce un’evoluzione che segue le fasi della vita del protagonista: quando questi è ancora un fanciullo la donna è madre e nutrice, per poi divenire seduttrice e, infine, fedele compagna.
Il ritratto di donna offerto da Rousseau colpì particolarmente Mary Wollstonecraft, che ne criticò aspramente e a più riprese le caratteristiche:
Rousseau afferma che la donna non dovrebbe mai sentirsi indipendente e che dovrebbe essere governata dal timore di esercitare la sua naturale astuzia; ella dovrebbe diventare una schiava civettuola al fine di essere seducente oggetto di desiderio, dolce compagnia dell’uomo ogni qualvolta egli decida di svagarsi. Rousseau prosegue con le disquisizioni dettate, a parer suo, dalla stessa natura, e insinua che la verità e la forza, pietre miliari di tutte le virtù umane, debbano essere coltivate con limitatezza, giacchè la grande lezione da impartire alle donne con rigore inesorabile è l’obbedienza.
Rousseau attribuisce alla donna tutte le caratteristiche opposte a quelle dell’uomo, ritenuto in posizione preminente rispetto alla stessa per le doti assegnatigli dalla natura: il filosofo ritiene infatti che esista una complementarietà dei sessi, tesa al raggiungimento di un equilibrio comune, in cui la donna è l’occhio e l’uomo il braccio. Sofia, compagna di Emilio, dopo averlo conquistato, diviene la «donna dell’uomo».[9]
Conclusione
Essere la donna dell’uomo è sufficiente? L’affermazione di Rousseau può essere considerata una risposta soddisfacente alla domanda: quis potest sapere audere? Essa spinge indubbiamente ad una forte presa di coscienza: non è sufficiente, come riteneva Kant, avere il coraggio di servirsi del proprio intelletto, almeno non per tutti, e non per le donne. Lo dimostra il modello educativo proposto nell’Emilio, lo dimostrano le coraggiose rivendicazioni di grandi pensatrici come Mary Wollstonecraft e Olympe de Gouges, ma lo dimostrano soprattutto le conseguenze che tali rivendicazioni ebbero nelle loro stesse esistenze nonché gli innumerevoli ostacoli che dovettero affrontare sul loro cammino proprio per aver avuto il coraggio di ricorrere agli strumenti offerti dalla ragione, che si rivelarono essere appannaggio e unica prerogativa dell’uomo.
Abbiamo però già sottolineato l’importanza di un’idea in quanto presupposto dei processi reali. Tutti gli ostacoli affrontati dalle donne che, seppur vivendo in un’epoca storica di grande e inesorabile progresso, furono emarginate, fortemente criticate, se non persino uccise per il semplice fatto di aver espresso le proprie idee, piantarono tuttavia il seme di un’idea, quell’idea di femminismo che avrebbe costituito un processo di riflessione lento ma inesorabile e che avrebbe permesso a molte altre donne di fare ciò che a loro era stato negato.
Alessia Girgenti
[1] Kant I., Cosa è l’Illuminismo?. Tratto da Documenti storici, a cura di Rosario Romeo e Giuseppe Talamo, vol. II, L’età moderna, Loescher, Torino, 1966
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] De Gouges O., Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, il melangolo, Genova, 2007
[5] Ibidem
[6] Wollstonecraft M., Sui diritti delle donne, tratto da I classici del pensiero libero, Corriere della Sera- RCS Quotidiani S.p.A., Trebaseleghe, 2010
[7] Ibidem
[8] Jean-Jacques Rousseau, Emilio, Mondadori-Armando Editore, Roma, p. 13
[9] Wollstonecraft M., Sui diritti delle donne, tratto da I classici del pensiero libero, Corriere della Sera- RCS Quotidiani S.p.A., Trebaseleghe, 2010
Bibliografia
De Gouges O., Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, il melangolo, Genova, 2007
Jean-Jacques Rousseau, Emilio, Mondadori-Armando Editore, Roma, p. 13
Kant I., Cosa è l’Illuminismo?. Tratto da Documenti storici, a cura di Rosario Romeo e Giuseppe Talamo, vol. II, L’età moderna, Loescher, Torino, 1966
Pope, Moral Essays, II
Py G., “Rousseau et les éducateurs. Etude sur la fortune des idées pédagogiques de Jean-Jacques Rousseau en France et en Europe au XVIIIe siècle”, Voltaire Foundation-Oxford, 1997
Wollstonecraft M., Sui diritti delle donne, tratto da I classici del pensiero libero, Corriere della Sera- RCS Quotidiani S.p.A., Trebaseleghe, 2010