Le vicende di queste settimane hanno evidenziato gravi lacune costituzionali nella gestione delle emergenze, in particolare in relazione all’equilibrio e alla separazione dei poteri.
A farne le spese rischia di essere soprattutto il Parlamento.
Il Governo, infatti, per sua natura si trova al centro dei processi. Il Consiglio dei Ministri ha un numero di componenti che consente un lavoro agile, anche con procedure semplificate. Ha a disposizione strumenti velocissimi come i Dpcm o comunque veloci come i decreti-legge.
La Presidenza della Repubblica è un organo monocratico che non subisce particolari problemi in caso di emergenza.
Le norme relative al potere giudiziario, compresa la Corte di Cassazione, sono state in questo caso agevolmente modificate.
La stessa cosa, grazie all’autodichia, è accaduta per la Corte Costituzionale.
Regioni e Comuni, grazie in particolare ai poteri riconosciuti ai relativi Presidenti e sindaci non hanno difficoltà a decidere tempestivamente.
Abbiamo quindi bisogno di una normativa costituzionale per le fasi di emergenza che potenzi il ruolo del Parlamento.
Anche se in chiave comparata in genere è presente una regolamentazione di diversi stati di necessità di gravità diversa, esigenza di semplicità e trasparenza.
La collocazione più naturale pare essere l’inserimento di alcuni articoli aggiuntivi successivi all’articolo 55 che regola la struttura del Parlamento per le fasi ordinarie.
Si può prevedere anzitutto in un articolo 55-bis l’attivazione di una procedura straordinaria estremamente garantista con una dichiarazione di emergenza a maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in modo da coinvolgere necessariamente anche gruppi di opposizione. Ove necessario, dal momento che la dichiarazione avverrebbe ad emergenza già iniziata, sia pure in alcuni casi embrionale, per tale deliberazione occorrerebbe consentire anche il voto a distanza. Il periodo massimo di efficacia della delibera potrebbe essere identificato in un bimestre, al termine del quale altre proroghe dovrebbero essere di nuovo votata con lo stesso rigoroso quorum.
Per far funzionare in modo efficace il Parlamento in tempi di emergenza occorre disporre di numeri ragionevoli e di superare il bicameralismo: di conseguenza l’organo che può fare le veci delle Aule e delle tradizionali Commissioni può essere identificato nel medesimo articolo 55-bis in una Commissione bicamerale speciale.
Un successivo articolo 55-ter può quindi chiarire anzitutto che essa abbia un numero di componenti comparabile alla somma di una normale Commissione Camera ed una Senato, ovviamente in modo proporzionale ai Gruppi Anche per l’attività di tale organo, come per la deliberazione iniziale, si potrebbe consentire, in caso di emergenza, il voto a distanza. La Commissione dovrebbe avere una latitudine di poteri analoga a quella delle Aule che operano in periodo ordinario, a partire dal potere legislativo e compresa la possibilità di chiamare a riferire esponenti del Governo. L’analogia, ovviamente, non può non avere dei limiti per un’area ristretta attinente alle regole del gioco: leggi di revisione costituzionale, altre leggi costituzionali, leggi per le quali è richiesta una maggioranza speciale, leggi in materia elettorale.
Appare poi opportuno regolare l’uscita dall’emergenza e, quindi, il rientro alla normalità. stabilendo che entro un anno dalla cessazione dell’emergenza le Camere stabiliscano per legge quali disposizioni approvate in quel periodo perdano di efficacia, ovviamente regolando i rapporti giuridici insorti.
Dal momento che uno dei nodi di queste situazioni riguarda l’esercizio di forme straordinarie di supremazia sulle Regioni, andrebbe altresì, infine, regolamentato in modo garantista anche questo aspetto: in tal caso la deliberazione dovrebbe essere assunta con la maggioranza dei tre quinti, più garantista del quorum normale, ma inferiore a quello per attivare lo stato di emergenza.
Viceversa non si è ritenuto opportuno inserire in questa regolamentazione tipologie di “sospensione dei diritti” o consimili perché le norme costituzionali italiane consentono già ragionevoli e proporzionate limitazioni degli stessi per esigenze di “sanità”, ”sicurezza”, “incolumità pubblica”.
Prof. Stefano Ceccanti
Ordinario di Diritto Pubblico Comparato, Università La Sapienza di Roma
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