Così dopo Bologna, Modena e Sorrento il movimento 6000 sardine raggiunge piazza Verdi a Palermo radunando, secondo gli organizzatori, circa quattromila persone, inclusa quella del sindaco della città Leoluca Orlando. Proprio dalla manifestazione a Palermo di venerdì scorso si possono già intravedere dei caratteri nuovi che animano le sardine di tutto il territorio nazionale che, invece di scendere in piazza in antitesi a qualcos’altro, come la presenza di comizi elettorali del blocco leghista, adesso si riuniscono spontaneamente, non seguendo più quindi la calendarizzazione degli eventi dei partiti.
Il movimento trovava infatti la sua prima realizzazione nella piazza del 14 novembre a Bologna, proprio in occasione della presentazione ufficiale del candidato della Lega a nuovo governatore della regione Emilia-Romagna. Nel caso specifico dunque la presenza di migliaia di sardine in piazza Maggiore si incardinava perfettamente sui binari della protesta di matrice anti-leghista, senza presentare quindi novità politiche di rilievo oltre allo sfoggio delle ormai popolarissime immagini di sardine fatte di carta o di legno, sventolate come fossero vere e proprie bandiere.
Da lì tuttavia, il movimento ispirato dai quattro ragazzi trentenni Mattia Santori, Roberto Morotti, Giulia Trappoloni e Andrea Garreffa sta via via assumendo contorni e caratteri nuovi, non più solamente legati all’antisalvinismo e alla critica della retorica populista ma che affondano le radici nella vera e propria rivendicazione politica che parte appunto dalla piazza.
Pochi giorni fa infatti, nelle pagine e nei gruppi Facebook che sostengono il movimento, è comparso un documento molto simile ad una sorta di manifesto o dichiarazione d’intenti redatto proprio dai quattro ragazzi bolognesi. Proprio nelle prime righe di tale documento possiamo leggere “Cari populisti, lo avete capito. La festa è finita”. Il principale obiettivo politico è abbastanza chiaro, distruggere e contestare con forza la narrazione delle formazioni politiche legate a vario titolo alle sfere dell’ultra destra che prende sempre più spazio dai media di massa, alle cabine elettorali. Tuttavia, proseguendo la lettura si può facilmente intuire come, negli intenti dei promotori della prima ora, gli obiettivi non si esauriscano nella “semplice” politica di contestazione: “Per troppo tempo avete”, voi populisti ma in generale certamente una ben più consistente compagine politica, “ridicolizzato argomenti serissimi per proteggervi, buttando tutto in caciara”. Il riferimento alle grandi sfide mondiali è chiaro: si parla dell’emergenza climatica e ambientale, del fenomeno migratorio su scala planetaria, della stagnazione economica che colpisce le potenze tradizionali.
In questo modo tanto il movimento in sé quanto le persone che vi aderiscono, proiettano le proprie rivendicazioni politiche non più soltanto sul territorio nazionale delimitato, oltreché politicamente, geograficamente ma pongono le basi per una mobilitazione internazionale che ha come orizzonte la riappropriazione dello spazio di pensiero e di azione sulle sfide di interesse globale: manifestazioni delle sardine sono infatti attese anche a New York e a Bruxelles.
In realtà avviare una vera e propria analisi sul movimento seimila sardine appare in questo momento abbastanza prematuro, sotto tanti punti di vista. Non si riescono a intravedere ancora le prospettive legate all’utilizzo metaforico del linguaggio che prende in prestito termini legati al mondo animale, se si vuole andare appunto oltre al concetto canonico di “massa”. Allo stesso modo bisognerà interrogarsi sulle forme che assumerà la riflessione, non solo dei manifestanti, sulle derive della politica odierna che sembra molto più interessata alle strategie sempre più spietate del digital marketing piuttosto che ragionare in termini di grandi temi che legano la sfera sociale alla sfera economica, la sfera politica a quella geografica. Oppure ancora pensare al non-ruolo dei mass media relativamente al movimento, che sembrano non riuscire a concepire alcun modo alternativo di fare politica, cioè un’azione che prenda le distanze dal palcoscenico del comizio elettorale o dagli scontri politici in tv.
Possiamo almeno intuire qualcosa leggendo qualche battuta conclusiva del manifesto delle sardine che, sempre rivolgendosi allo schieramento populista, recita: “Grazie ai nostri padri e ai nostri nonni avete il diritto di parola ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare”. Proiettando all’indietro le radici dei diritti di cui tutti godiamo, anche chi in qualche modo vorrebbe limitarli, i promotori del movimento mettono in luce la tradizione politica alla quale fanno riferimento: la tradizione dei valori di sinistra, l’attenzione all’aspetto fenomenico della piazza, il recupero della dimensione sociale e personale della politica, la lotta partigiana, l’antifascismo e l’antinazismo.
Indubbiamente, l’evolversi del movimento seimila sardine sarà qualcosa che andrà vissuto piuttosto che essere seguito da lontano. Questo accade quando non ci si trova davanti a qualcosa che ha delle caratteristiche e degli obiettivi di parte, ovvero di una precisa e identificabile parte politica. Le sardine riguardano tutti. Le speranze sono riposte nel dialogo, nella piazza pacifica, nel ritorno della voglia di fare politica, una politica più orizzontale per dirla come i grandi pensatori della seconda metà del secolo scorso. Una politica che unendo tanti microlivelli possa diventare macro.