Lo scorso 11 ottobre, il comitato norvegese ha assegnato l’ambìto premio Nobel per la pace al primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali. Il capo del consesso, Berit Reiss-Andersen, ha motivato tale scelta sostenendo che il giovane leader africano ha compiuto lodevoli sforzi “per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale” e che la scelta sia ricaduta su di lui “in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea”[i].
Tale guerra, scoppiata per rivendicazioni territoriali su alcune terre di confine nel 1998 e formalmente terminata nel 2000 con la stipula dell’accordo di Algeri, in realtà si è protratta per ben diciotto anni a causa della mancata volontà, da parte dei primi ministri etiopi succedutisi nel tempo, di riconoscere il verdetto della commissione Onu appositamente costituita che imponeva la restituzione della città di Badme all’Eritrea. Soltanto il 9 luglio 2018 è stata firmata, dai leader di entrambi gli Stati, la Joint Declaration of Peace and Friendship, la quale ha aperto la strada alla stipula congiunta dell’accordo di pace di Gedda del 16 settembre successivo dinanzi agli occhi del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e dei sovrani sauditi[ii].
Per comprendere meglio la personalità del nuovo leader etiope, appare utile fare un breve accenno ad alcuni punti salienti della sua biografia. Abiy Ahmed Ali è nato il 17 agosto 1976 a Beshasha, nella regione di Oromia: si tratta del periodo storico in cui avvenne la transizione del potere dalle mani dell’imperatore Hailé Selassié al “Negus rosso” Mènghistu Hailé Mariàm. Nasce all’interno di una famiglia multiculturale e multireligiosa: il padre, di etnia oromo, professava la religione islamica, mentre la madre, di etnia amhara, era cristiano ortodossa. Nonostante gli appartenenti all’etnia oromorappresentino circa un terzo dei 105 milioni di abitanti dell’Etiopia, fino all’elezione del nuovo primo ministro, di fatto, tale gruppo etnico è stato sempre discriminato sia da un punto di vista politico che sociale; al contrario, benché gli appartenenti all’etnia amhara siano in proporzione minoritari (rappresentano circa un quinto della popolazione totale), insieme ad altre etnie, quale ad esempio quella dei tigrini (circa il 6% del totale), hanno sempre controllato e gestito il potere nel corso degli ultimi decenni[iii].
La sua storia personale si legò indissolubilmente agli eventi politici verificatisi nell’ultimo ventennio del secolo scorso. A soli quindici anni, si unì al gruppo armato del rivoluzionario Meles Zenawi, il quale riuscì in pochi anni a rovesciare il regime comunista di Menghistu e a ottenere il potere nel 1991 attraverso la creazione dell’attuale partito al potere, l’EPRDF (Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front). Tale partito basa tuttora la sua forza sul principio del federalismo etnico: con lo scopo primario di scongiurare il predominio di una singola etnia su tutte le altre, vennero inglobati i quattro partiti principali del paese (rappresentativi delle quattro etnie principali) all’interno di una coalizione unitaria di governo nazionale. Per completare tale processo, nel 1994 venne varata la nuova Costituzione in cui venne creato un sistema politico federale che avrebbe permesso, a livello locale, la piena espressione dei diritti e delle libertà di tutte le minoranze del paese, cosa che è avvenuta solo in parte[iv].
Negli anni ’90, entrò a far parte dell’esercito nazionale e venne inviato in Rwanda all’interno del quadro delle operazioni di peace-keeping ONU della missione UNAMIR: fu in questo contesto che egli osservò sul campo gli effetti devastanti dello scontro sanguinario basato sulle differenze etniche. Una volta tornato in patria, si dedicò all’istruzione accademica, laureandosi in Informatica e poi successivamente in Amministrazione aziendale. La passione per le tecnologie e per gli studi, annessi al lavoro nelle forze armate, gli permisero di sviluppare quel know how necessario alla creazione dell’Ethiopian Information Network Security Agency (INSA) nel 2008, ovvero l’agenzia di spionaggio nazionale. Fu soltanto nel 2010 che si candidò per la prima volta alle elezioni politiche all’interno dell’OPDO (Oromo People’s Democratic Organisation), divenendo deputato. La sua popolarità crebbe di anno in anno, tanto che nel 2015 fu nominato dal premier Desalegn nel ruolo di Ministro della Scienza e della Tecnologia. Il 15 febbraio 2018, quando Desalegn rassegnò le dimissioni a causa di un contesto politico sempre più turbolenti, si avviò una discussione convulsa all’interno della coalizione che portò alla nomina, il 2 aprile successivo, di Abiy Ahmed come nuovo primo ministro etiope[v].
Tra le varie curiosità a cui accennare, il nome per intero del nuovo primo ministro, Abiyot, sta a significare “rivoluzione”: in effetti, in questo primo anno e mezzo di governo Abiy Ahmed Ali ha dimostrato di avere visione politica di lungo periodo e doti di leadership inconfutabili. Tra le riforme principali a cui si può fare accenno, al di là dello storico accordo di pace con la vicina Eritrea, il primo tema che ha dovuto affrontare è quello relativo alla stabilità politica del paese. Il primo ministro ha infatti ereditato una situazione politica disastrosa, basata su una escalation continua di scontri politici e di recriminazioni reciproche tra i vari gruppi etnici tali da poter condurre allo scoppio di una guerra civile. Nonostante ciò, egli ha voluto lanciare comunque un messaggio di pacificazione nazionale, attuando una grande opera di liberalizzazione politica. Durante i primi mesi del suo mandato, infatti, sono state scarcerate decine di migliaia di persone, soprattutto ex oppositori politici e giornalisti, ed è stato riaperto lo spazio politico ai partiti di opposizione. Inoltre, è stata ripristinata la libertà di parola e di pensiero, sono stati riattivati i social network e i canali delle tv satellitari e, soprattutto, è stata creata un’apposita commissione elettorale, presieduta dalla leader di un partito di opposizione, per indire regolari elezioni nel 2020. Su questo ultimo punto, bisogna aggiungere che tale nomina non solo è avvenuta per motivi di apertura politica nei confronti delle minoranze, ma rientra invece nel più ampio obiettivo di garantire la piena partecipazione delle donne all’interno dell’arena politica: non a caso, metà degli attuali ministeri del suo governo è ricoperto da donne[vi].
Da un punto di vista economico, invece, nonostante gli alti livelli di crescita registrati durante l’ultimo decennio, l’ambizioso progetto di Abiy Ahmed è quello di trasformare l’Etiopia in un paese mediamente sviluppato entro il prossimo decennio. Sicuramente, l’accordo di pace raggiunto con la vicina Eritrea non solo ha permesso la stabilizzazione politica dell’area del Corno d’Africa, ma ha avuto ricadute positive sui commerci e sull’economia di tutti i paesi dell’area. Non avendo alcun accesso al mare, l’accordo di pace ha favorito la stipula di accordi specifici con Eritrea, Kenya, Somalia e Gibuti per ottenere un rapido accesso ai porti, in cambio di investimenti e finanziamenti nello sviluppo logistico degli stessi. Inoltre, per ottenere nuove risorse finanziarie, il governo ha varato un nuovo piano di parziali privatizzazioni di imprese statali nell’ambito delle telecomunicazioni, energetico e aeronautico[vii].
Nonostante i primi passi significativi compiuti e le riforme in fase di espletamento, il percorso imboccato dal neopremier appare tortuoso e irto di ostacoli per varie ragioni. In primo luogo, nonostante la grande popolarità interna, il rischio di una guerra civile o di un colpo di stato continua a permanere. Se da un lato l’abolizione della censura e la liberazione dei prigionieri politici ha permesso di imboccare la strada della pacificazione nazionale, dall’altro lato le differenze etniche continuano a pesare all’interno di un contesto fragile e delicato, con le richieste di maggiore autonomia locale che si moltiplicano di giorno in giorno. Abiy Ahmed vorrebbe risolvere la questione attraverso una modifica della Costituzione e del principio del federalismo etnico: secondo lui, infatti, tale principio non ha fatto altro che aumentare la divisione a scapito dell’unità nazionale. Egli vorrebbe, dunque, cambiare assetto istituzionale in senso presidenziale: pur nel quadro del rispetto delle autonomie locali in senso federale, con l’elezione diretta della figura presidenziale vi sarebbe, secondo il primo ministro, la possibilità di creare un rapporto diretto tra presidente ed elettorato. Egli, però, è consapevole che tale progetto può essere affrontato soltanto dopo aver ottenuto un ampio consenso popolare tramite la vittoria di regolari elezioni e tramite un’opera di moral suasion pubblica, operazione alquanto difficile a causa delle forti tendenze autonomiste degli elettorati di alcuni partiti della coalizione al potere[viii].
Da un punto di vista economico, invece, la sfida principale è quella di ammodernare un’economia che, seppur abbia ottenuto buoni risultati nel corso dell’ultimo decennio, è in fase di rallentamento. Oltre ad aver rinegoziato i debiti con la Cina, aver ottenuto nuove linee di credito dai paesi del Golfo, sono soltanto due le carte che il premier ha attualmente in mano per liberare nuove risorse: stringere nuovi accordi di partenariato economico con i paesi europei (sfruttando la nuova immagine riformista che il premier ha saputo creare) ma, soprattutto, portare a termine il processo di parziale privatizzazione delle aziende statali. Anche questo passo rappresenta un rischio in quanto, da sempre, le aziende statali etiopi hanno rappresentato il fulcro della corruzione e del potere di influenza dei partiti etnici locali[ix].
Proprio per questa ragione, negli ultimi mesi gli sono state mosse diverse accuse: mentre alcuni partiti politici lo accusano di voler svendere il patrimonio nazionale e di non proteggere a sufficienza il paese dalle ingerenze straniere, altri parlano invece di “Abiymania”[x], ovvero della spinta verso sempre un più crescente culto della personalità nei suoi confronti, fattore che potrebbe condurlo ad abbandonare qualsiasi proposito riformista basato e a trasformarsi in qualunque dittatore autoritario degli altri paesi africani. Affinché si possano raggiungere risultati sostenibili di lungo periodo e per evitare i rischi della creazione di un nuovo regime autoritario, appare sicuramente necessaria una maggiore istituzionalizzazione del processo politico, il quale può essere favorito e spinto dalla crescita economica: ciò dovrebbe tradursi, nel prossimo quinquennio, nel miglioramento delle opportunità lavorative a favore dei giovani (17% disoccupazione) e dalla fuoriuscita definitiva di milioni di persone appartenenti agli ambienti rurali da condizioni di povertà estrema.
Enrico Cocina
Per approfondire
https://www.ilpost.it/2018/03/29/etiopia-speranza-abiy-ahmed
https://www.wsj.com/articles/ethiopias-young-new-leader-shakes-up-one-party-system-1531829003
https://www.jeuneafrique.com/mag/842025/politique/ethiopie-abiy-ahmed-le-faiseur-de-paix/
https://www.agi.it/estero/abiy_ahmed_nobel_pace_etiopia_chi_e-6341538/news/2019-10-11/
[i] http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2019/10/11/nobel-pace-2019_2d0878a5-652c-4a7d-a0b1-4cb2a6905d1e.html
[ii] https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2018/09/17/etiopia-ed-eritrea-firmano-secondo-accordo-pace-arabia-saudita/
[iii] https://www.reuters.com/article/us-ethiopia-politics-factbox/factbox-ethiopias-main-ethnic-groups-idUSKCN1G01HZ
[iv] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/etiopia-la-sorprendente-leadership-di-abiy-ahmed-23931
[v] https://www.panorama.it/news/esteri/abiy-ahmed-premio-nobel-pace/
[vi] https://www.internazionale.it/bloc-notes/befeqadu-z-hailu/2019/09/13/rischi-apertura-etiope
[vii] https://www.africarivista.it/abiy-ahmed-un-anno-di-riforme-che-cambieranno-letiopia/138570/
[viii] https://www.internazionale.it/reportage/david-pilling/2019/10/11/abyi-ahmed-sfide-etiopia
[ix] https://www.ilpost.it/2018/07/18/abiy-ahmed-sta-cambiando-etiopia/
[x] https://www.economist.com/middle-east-and-africa/2018/08/18/ethiopians-are-going-wild-for-abiy-ahmed