La sentenza della Corte Costituzionale sull’ormai famoso ergastolo-ostativo, uscita la settimana appena passata, e che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario “nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo” , sta facendo molto discutere, senza che, tuttavia si conoscano ancora le motivazioni del provvedimento e quindi il percorso logico-giuridico seguito dai Giudici delle Leggi. Allo stato, infatti, non sappiamo neanche se ed in che misura abbia influito sulla decisione la recentissima sentenza Viola c. Italia della Corte Edu, che ha ritenuto il citato articolo 4 bis non conforme all’art. 3 della Convenzione Edu.
Il tema è molto delicato e complesso, e meriterebbe di essere affrontato solo ed esclusivamente dopo una attenta lettura della motivazioni della sentenza medesima, ancora non note. Per tale motivo, cautela e saggezza impongono di limitarsi ad esprimere valutazioni di carattere generale, ponendosi al più interrogativi sulla portata pratica della sentenza e sull’eventuale precedente che essa potrebbe rappresentare per una ulteriore e più incisiva censura costituzionale dell’intero impianto dell’articolo 4 bis.
Ciò premesso, assistere all’esultanza di coloro i quali, e tra questi anche autorevole dottrina e parte della stessa magistratura, si spingono a parlare di una sentenza che va nella direzione di una conquista di “ civiltà giuridica” ovvero altri intellettuali che si sono spinti ad affermare che questa sentenza rende giustizia a Falcone e Borsellino e agli altri valorosi caduti per mano mafiosa, il cui sacrificio per l’affermazione dello “ Stato costituzionale di diritto” che garantisce anche coloro i quali essi hanno combattuto non resterà invano, francamente mi è sembrato eccessivo e inopportuno.
Questa sentenza della Corte Costituzionale, di cui, è bene ribadirlo, non conosciamo ancora nulla, non rappresenta per niente una conquista di civiltà giuridica e in ogni caso non contribuisce affatto a rafforzare lo stato di diritto, per l’ovvia considerazione che prima di essa non eravamo né “ giuridicamente incivili” né una repubblica illiberale; questa sentenza deve essere letta, quando conosceremo le motivazioni, per quello che è: una rilettura dell’articolo 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, a quasi trent’anni di distanza dal periodo stragista e della conseguente risposta legislativa “ emergenziale” dello Stato nella lotta alla mafia. Certamente si pongono interrogativi importanti.
Sul piano pratico, vi è una deresponsabilizzazione del legislatore a tutto svantaggio della magistratura: infatti, fino a quando la presunzione di pericolosità era per legge “ assoluta” e dunque insuperabile, era il legislatore ad assumersi la piena responsabilità della non concedibilità dei permessi per i condannati con reati ostativi di cui al citato articolo 4 bis; con l’intervento della Consulta, la presunzione diventa “semplice”, il che vuol dire che spetterà alla magistratura valutare se il permesso sia o meno concedibile. E come ha sostenuto il magistrato Alfonso Sabella, significa caricare il Magistrato di Sorveglianza di una responsabilità enorme, esponendolo, essendo una decisione monocratica e non collegiale, a rischi e pressioni elevatissime.
Sul piano del precedente che questa sentenza potrebbe rappresentare, ci si pone l’interrogativo se e in che misura in futuro la Consulta possa censurare l’articolo 4 bis anche nella parte in cui esclude la concedibilità delle misure alternative alla detenzione. Questo interrogativo potrà trovare risposta nelle motivazioni della sentenza odierna: se infatti, il percorso logico-giuridico della Consulta avesse, in un giudizio di bilanciamento tra opposti principi, privilegiato il concetto del valore rieducativo della pena e, soprattutto, se avesse recepito in larga parte le argomentazioni della sentenza Cedu Viola c. Italia e dunque l’incompatibilità dell’intero impianto dell’articolo 4 bis con l’articolo 3 della Convenzione Edu, ciò vuol dire che nulla potrebbe impedire di trasformare anche la inconcedibilità delle misure alternative alla detenzione da “presunzione assoluta” in “presunzione semplice”: in buona sostanza, il “ fine pena mai” potrebbe non esistere più neanche per i condannati di cui all’articolo 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario.
In conclusione, preme sottolineare – essendo principalmente interlocutori privilegiati dei giovani e degli studenti ancor prima che studiosi del diritto – che, al di là di ogni sentenza resa sia dalla giustizia nazionale che sovranazionale, è la mafia, in quanto tale, ad essere contraria all’ art. 3 della Convenzione Edu e ai principi costituzionali del nostro Paese e non certamente le sanzioni penali e i regimi carcerari connessi alla sua repressione.
Tutto il resto, francamente, è puro esercizio intellettuale, figlio del bizantinismo e del sofismo che stanno alla base della nostra presunta riconquistata “ civiltà giuridica”.