#RadioAut- Ergastolo ostativo: tortura perpetua o strumento di lotta alla mafia?



Dopo la recente sentenza della Corte di Cassazione che ha negato gli arresti domiciliari al mafioso Giovanni Brusca e il rigetto del ricorso dell’Italia da parte della Corte EDU (Corte europea dei diritti umani di Strasburgo), è tornata sotto i riflettori la questione dell’ergastolo ostativo, una particolare pena detentiva riservata ai criminali altamente pericolosi prevista dall’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario.

La notizia ha provocato un acceso dibattito, non solo per quanto concerne la legittimità costituzionale di questo istituto penitenziario, ma anche riguardo la sua contrarietà ad alcune norme di Diritto internazionale pattizio sancite dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

Nell’ordinamento giuridico italiano, l’ergastolo è disciplinato all’art. 22 del Codice Penale ed è considerato la pena più severa. Infatti, oltre a prevedere una pena perpetua (salvo il caso di amnistia o indulto), non subisce i termini della prescrizione[1] e prevede l’isolamento (diurno o notturno)[2].

Nel corso degli anni, la disciplina dell’ergastolo ha subito numerosi interventi legislativi e giurisprudenziali. Tralasciando il lungo excursus sulle varie modifiche, è opportuno citare la riforma del 1973, anno in cui la Corte Costituzionale[3] stabilì la possibilità per il condannato di ottenere la liberazione condizionale. Tale beneficio spetta all’ergastolano che, dopo aver scontato almeno 26 anni di pena[4], abbia dimostrato un completo ravvedimento oltre che una regolare condotta nei confronti dei propri compagni, dei familiari e degli agenti di Polizia Penitenziaria. La liberazione condizionale offre al detenuto la possibilità di tornare a vivere nella propria abitazione, in regime di libertà vigilata[5]. Oltre a ciò, l’ergastolano può ottenere anche altri benefici penitenziari tra cui i permessi premio, i permessi di necessità, il lavoro esterno o la semilibertà[6].

Nell’ergastolo ostativo, a differenza di quello normale, non è previsto alcun beneficio penitenziario. Gli ergastolani ostativi sono quindi destinati al c.d. “fine pena mai” e spesso vivono in un regime carcerario duro[7], in cui l’illuminazione notturna della cella è ridotta, la corrispondenza è controllata e le visite familiari sono ristrette.

Tuttavia, esiste una via di uscita per ottenere la liberazione condizionale, a patto che vengano rispettati due requisiti non alternativi tra loro: la piena resipiscenza e la collaborazione con la giustizia[8].

Il problema sorge, però, per tutti quei detenuti che non collaborano con la giustizia per molteplici motivi: ad esempio, per paura di subire vendette contro i propri cari, per non far incarcerare qualche amico, perché non sono materialmente in grado di dimostrare altro rispetto a ciò che è già emerso fino a quel momento  oppure per non tradire la propria associazione mafiosa.

Ed è in questo caso che la Corte di Strasburgo ritiene che vi sia una violazione dell’art.3 della CEDU, in quanto viene considerato un trattamento inumano e degradante, e che non concede la possibilità di reinserimento sociale. Secondo la CEDU, quindi, non è necessaria la collaborazione con la giustizia ma è sufficiente “il trascorrere del tempo” affinché un detenuto possa considerarsi destinatario di un beneficio penitenziario.  In questi ultimi anni, la Corte EDU si è mostrata più volte contraria a questa tipologia di detenzione, condannando l’Italia per aver prorogato il 41-bis a Bernardo Provenzano[9] e Totò Riina[10] e, poi, per l’ergastolo ostativo inflitto al boss Marcello Viola[11].

L’Italia è tenuta a recepire, all’interno del proprio ordinamento giuridico, le sentenze definitive della Corte EDU[12], nonostante non sia un organismo dell’Unione europea. Qualora non si conformi, è previsto soltanto un risarcimento[13] poiché la CEDU, a differenza delle sentenze della Corte di Giustizia europea e della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, non gode di applicabilità diretta.

Benché non vincolanti, tali sentenze contribuiscono ad accrescere un clima di garantismo che è totalmente estraneo al comune sentimento degli italiani nei confronti della criminalità mafiosa. Siamo sicuri che i giudici europei comprendano appieno questo fenomeno che ha tenuto sotto scacco l’Italia?

Nelle carceri italiane sono state documentate diverse collaborazioni dei mafiosi con l’esterno. Numerosi sono anche i casi degli ergastolani che, una volta scontata la pena, sono tornati addirittura ad uccidere (vedasi Angelo Izzo nel 2005[14]). I mafiosi, infatti, seguono un particolare rituale di affiliazione che mischia sangue e religione, e li mantiene fedeli fino alla morte.

Per questi motivi, è difficile anche solo immaginare un aumento delle garanzie da concedere a questi criminali efferati. La sensazione di impunità tra i cittadini sarà tale che si finirebbe per accrescere perfino il consenso verso i movimenti nazionalisti, i quali rivendicherebbero maggiore sovranità ed autonomia anche in ambito giurisdizionale.

Non ci resta che sperare che, anche questa volta, i giudici della Corte Costituzionale giudichino legittimo l’ergastolo ostativo. La sentenza è prevista per il prossimo 22 ottobre.

Vice Direttore Generale I.Me.S.I. con delega alla Legalità

 Dott. Francesco Russo

[1] Art. 157 Codice Penale

[2] Art. 33 legge n. 354 del 1975 e successive modificazioni

[3] Sentenza 273/74 Corte Costituzionale

[4] Artt. 176 e 177 Codice Penale

[5] Art. 228 Codice Penale

[6] Art. 30 o.p.

[7] art. 41-bis o.p.

[8] Art. 58-ter o.p.

[9] Sentenza Provenzano c. Italia, n. 55080/13, CEDU del 2018

[10] Sentenza Riina c. Italia, n. 43575/09, CEDU del 2013

[11] Sentenza Viola c. Italia, n.  77633/16, CEDU del 2019

[12] Art. 46 Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo

[13] Art. 41 Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo

[14] “Caso Izzo, il massacratore del Circeo tornato a uccidere”, La stampa, consultato il 10.10.2019

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