Il 27 Aprile 1945, Benito Mussolini, il Duce, già Capo del Governo del Regno d’Italia e poi capo del governo fantoccio di Salò, veniva catturato dai partigiani mentre, travestito da soldato tedesco, cercava di raggiungere la Germania di Hitler; fu processato velocemente dai partigiani stessi, condannato a morte con fucilazione ed il corpo appeso a Piazzale Loreto a Milano.
Perchè i partigiani procedettero con tanta velocità senza concedere al Duce un vero processo, come poi sarebbe accaduto agli altri alti gerarchi processati a Norimberga per crimini contro l’umanità? Anche i brigatisti, nel 1978, processarono innanzi al tribunale del popolo Aldo Moro condannandolo poi a morte. Vi è una comparazione tra i due eventi? L’uccisione di Mussolini è servita alla pacificazione politica del Paese, in un momento storico in cui gli italiani erano contrapposti gli uni agli altri in una guerra civile? Abbiamo cercato di dare risposta a queste domande, non con un articolo unitario ed organico, che avrebbe rischiato di dare una sola “ verità” ma coinvolgendo quattro giovani ricercatori del nostro Istituto, ognuno dei quali ha dato una propria valutazione dei fatti.
Daniele Morgante: Aprile rappresenta, nell’ultimo anno di guerra, un periodo di estrema importanza che ha visto svolte su quasi ogni fronte impegnato. In Italia si videro le sommosse e gli scioperi proclamati da Pertini, la presa da parte dei Partigiani di importanti città come Genova e Torino ; in Germania il Völkischer Beobachte, giornale Nazista, termina le sue pubblicazioni e da lì a poco, il due maggio, sarebbe caduta la città di Berlino : il cuore di una Germania ormai stremata da sei anni di conflitto e senza più forze, costretta ad arruolare anziani e bambini. Evento fondamentale è sicuramente la cattura di Benito Mussolini, arrestato e quasi immediatamente giustiziato insieme ad i suoi collaboratori. Si è dibattuto per anni sulla “Correttezza” o meno del gesto che, visto fuori contesto ed oggettivamente, potrebbe effettivamente risultare scorretto e non conforme alle norme internazionali. Se posto al contesto di una popolazione ormai fiaccava da cinque anni di continuo conflitto, umiliazioni sul campo di battaglia e soprattutto venti anni di pugno di ferro, la lancetta potrebbe oscillare in favore dell’esecuzione. Per i Partigiani, senza dubbio, la morte di Mussolini conveniva. Un Duce vivo, alla fine del conflitto, avrebbe quasi sicuramente portato ad un processo in scala molto più vasta, che avrebbe potuto andare anche contro gli italiani stessi. Si è ben lontani però dal concetto del “Processo di Norimberga” che difatti mise in ginocchio la Germania. Si sarebbe trattato di un processo sì grande, ma nemmeno lontanamente paragonabile. La popolazione italiana non avrebbe mai sofferto le stesse pene patite dalla controparte germanica, anzitutto per lo sforzo bellico fornito dal restaurato e cobelligerante Regno d’Italia agli alleati, il fondamentale sforzo dei Partigiani lungo tutta la campagna d’Italia e senza dubbio anche la componente antropologica : si parlava di un popolo che aveva vissuto per 20 anni sotto una cupola, vedendo nel regime l’unica soluzione di Governo possibile, incapaci di immaginare concretamente altro e da reputarsi incolpevoli per il sostegno offerto al regime. Qualsiasi sia il punto di vista, tuttavia, è innegabile affermare la matrice “Terrorista” dei gruppi Partigiani : cellule di pochi individui che organizzano azioni mirate a destabilizzare uno stato. Per quanto nobile e condivisibile fossero la causa ed il movente delle loro azioni, a livello pratico nulla li differenzierebbe da altri gruppi noti degli anni di piombo, le Brigate Rosse fra tutti. Basti pensare al modus operandi del Delitto Moro, un sequestro seguito, de facto, da una esecuzione. Ancora oggi le ripercussioni di quel gesto infiammano le discussioni politiche, dividendo schiere fra il “Giusto” ed il “Lecito”, fra il “Corretto” e lo “Scorretto”.
Maurilio Ginex: Sul reale andamento della dinamica attorno alla morte di Benito Mussolini non si saprà mai la vera e lucida verità. Ciò che però risulta chiaro è il fatto che dovesse essere la Resistenza a prendere le redini di questa responsabilità, doveva essere la Resistenza ad uccidere il capo del fascismo e avere l’onere dell’esecuzione finale. Non poteva essere permesso che gli alleati avessero tutto il merito della situazione, processando il Duce. Nessun processo poteva prendere il posto che la Resistenza doveva avere in questo atto finale. Ma non era soltanto una questione dovuta al fatto che era compito di italiani il portare a termine l’esecuzione, ma parallelamente vi era anche una questione legata al fatto che un ipotetico processo poteva far emergere alcune imperfezioni legate al fatto che nel corso del fascismo vi potevano essere state delle complicità nei confronti del Duce da parte di individui che non potevano esporsi, complicità che gli antifascisti in quel momento volevano tenere allo scuro e che tra l’altro venivano anche da parte del fronte inglese. Quest’ultimo messo a rischio proprio perché si pensava all’esistenza di un ipotetico carteggio Mussolini-Churchill, che però mai fu trovato. In questa ottica prendeva corpo l’intenzione di non processare il Duce, ma ucciderlo. Ma al di là di questa storiografia sulla connivenza o meno del fascismo, non poteva essere messo in atto un Tribunale come fu per Norimberga, poiché il Duce doveva essere ucciso subito. In un contesto come quello, ha avuto più spazio la totale assenza di ragione dettata da una violenza che voleva unicamente vendicarsi. Mussolini, come disse il parlamentare comunista Armando Cossutta, fu processato dalla storia e condannato alla fucilazione in nome di un popolo dilaniato da un sistema totalitario. Ma oltre a Cossutta, svariate figure della sinistra e storici importanti sostennero l’idea che una Norimberga italiana, come la definiva D’Alema, fosse totalmente assurda e priva di senso. Un processo, in questo caso, avrebbe privato di senso l’atto rivoluzionario della sua uccisione. Anche se vi era il totale annullamento di un regime umanitario, conforme alle regole di un diritto internazionale allora vigente, la morte di Benito Mussolini, oltre che avere alla spalle un retroscena ideologico basato sull’identità di una Resistenza che voleva caricarsi dell’onere e aveva parallelamente anche intenzioni ben definite, ha rappresentato la vendetta nei confronti di un regime che aveva basato la sua ontologia sulla totale anarchia del potere. Anche se, come evidenzia Hannah Arendt , il fascismo fu solo in parte un totalitarismo all’altezza del nazismo di Hitler o del comunismo di Stalin, poiché in Italia, a differenza di Russia e Germania, vi fu una vera e propria formazione di una Resistenza che poi riuscì nel proprio intento. Ma anche se fu sempre visto come un qualcosa che imitasse i grandi totalitarismi europei, il fascismo, ha mietuto esistenze e commesso crimini di cui ancora oggi l’individuo italiano ne risente interiormente. La morte di Mussolini nell’oggi ha ancora delle ripercussioni, ha ancora un’ombra che riesce ad influenzare le menti. Se da un lato vi sono gli attivisti progressisti, che si auto-definiscono comunisti e che combattono ancora ideologicamente il fascismo identificando con “fascista” anche chi rientra nell’esecuzione di ordini diretti dal sistema, da un altro lato ci sono anche quegli individui, che facendo parte di partiti basati su un’etica fittizia e fuori tempo, come sono i vari “forza nuova” o “casa pound”, cercano di esaltare ancora oggi la figura di Benito Mussolini, ispirandosi totalmente ad esso e al suo fascismo. Vedere che ancora oggi – in un mondo in cui non vi è più una politica che si muove attraverso la bipartizione della destra e della sinistra – individui che portano avanti tesi e ideologie fuori tempo, sembra come l’assistere al manifestarsi di una totale mancanza di obiettività e comprensione del proprio tempo. Sembra che nella totale mancanza di punti di riferimento bisogna, in qualche modo, rivestire forzatamente quella parte di contestazione che si rifà a uno stereotipo tipico del secolo scorso. Dunque il credere in qualcosa è un motto che mai dovrà essere alienato, ma bisogna fare i conti con il mondo in cui si vive e adoperare le giuste misure e categorie per interpretarlo, al fine di avere una propria dimensione ontologica.Se vi sono delle correlazioni con il delitto Moro? Non propriamente delle correlazioni, ma comunque Moro per cultura familiare viene fuori da un entourage fascista. Dal fascismo eredita quel corporativismo che poi lo porterà, da democristiano, al creare quel “compromesso storico” che gli creerà il vuoto politico intorno e infine gli costerà la vita. Dunque non propriamente vi sono delle correlazioni tra la morte di Mussolini e quella di Moro, ma vi sono comunque dei legami ideologici e dottrinali che portano, in un certo senso, a quell’atto finale che portò all’omicidio da parte dei brigatisti.
Federico Guzzo: Credo che la scelta di processare “sommariamente” Benito Mussolini abbia risposto alla necessità del popolo italiano di liberarsi dall’oppressore e soprattutto alla necessità di segnare la fine immediata del regime fascista e di tutto ciò che esso ha comportato. Non penso che i partigiani temessero qualcosa, tranne che il rischio di non soddisfare il desiderio popolare di giustizia. Non so dire con esattezza se la scelta fosse conforme al diritto internazionale allora vigente, ma sono certo del fatto che in un contesto di guerra globale, ancora non terminata del tutto, la fucilazione del capo dell’esercito rivale non sia una violazione esecrabile. Se la valutazione fosse questa bisognerebbe ridiscutere la “giustezza” di tanti omicidi compiuti da soldati di eserciti che nel mondo dicono di difendere la libertà… Quando le domande includono i concetti di giusto e sbagliato è chiaro che si entra nella sfera del sentire e delle valutazioni personali, dati dai valori che ognuno di noi reputa fondamentali. A partire da questa premessa e ricollegandomi al primo punto credo che l’esecuzione sia stata la scelta giusta. D’altra parte, a mio avviso, credo sia stato un grave errore da parte di Mussolini scappare travestendosi da soldato nazista per sfuggire alla giustizia popolare; penso sarebbe stato molto più intelligente per lui consegnarsi agli americani e darsi la possibilità di un processo davanti ad un tribunale internazionale. Ogni evento storico trascina con sé conseguenze positive e negative. È ovvio che quelli maggiormente legati, politicamente e culturalmente, al regime fascista non hanno digerito la morte e l’esposizione in pubblica piazza del cadavere del Duce. Allo stesso tempo dico che se dalla morte di quel tiranno è nata una repubblica democratica, ciò non può essere motivo accettabile per una “non pacificazione” politica. Chi oggi rivendica l’appartenenza a quella “cultura” politica compie un reato e di conseguenza non ha il diritto di esprimersi, né tantomeno può avanzare richieste di rivalutazione storica di Mussolini e del fascismo. Non vedo alcun parallelismo tra la morte di Mussolini e quella di Moro: Mussolini è stato processato e giustiziato dalle truppe partigiane (in contesto di guerra mondiale), il quale era formato da diversi soggetti politici (anche se la maggioranza era indiscutibilmente legata al Partito Comunista); Moro è stato processato (non sommariamente, ma da un autoproclamato tribunale proletario) da una singola organizzazione politico/militare (in un contesto di pace fra gli stati). L’unico legame che riesco a trovare è quello che vede sia Mussolini che Moro come traditori del volere popolare : il primo perché oppressore della totalità della popolazione; il secondo perché artefice del patto (insieme a Berlinguer) che segnava la fine del sogno di una rivoluzione realmente socialista in Italia.
Flavio Neri: Secondo me i partigiani non temevano nulla, nel senso che non vi è stata alcuna recondita paura di nascondere qualcosa; semplicemente volevano dare un segnale forte e storico, alla fine dei conti il Duce era un uomo. Nient’altro.
Certamente, secondo il diritto internazionale, andava processato innanzi ad un Tribunale Internazionale per crimini di guerra: tuttavia, non può sottacersi che eravamo in un periodo storico molto particolare, l’Italia divisa in due ed occupata al Nord dai tedeschi, le forze alleate che da Sud stavano liberando il Paese, ancora formalmente in guerra al fianco dei tedeschi, il Re fuggito a Brindisi…insomma una serie di cause che hanno indotto la Resistenza ad agire applicando più le logiche della guerra che del diritto. Per cui, è stato relativamente giusto ucciderlo, perché bisogna contestualizzare la sua morte a mio parere, si parla di persone – e mi riferisco ai partigiani- che avevano visto amici, fratelli, compagni, catturati e uccisi dai fascisti ed era l’uomo di una dittatura. Forse oggi sarebbero considerati criminali, ma la legalità e la giustizia non sempre vanno di pari passo. Infine, credo non esista nessuna correlazione tra l’uccisione di Mussolini e il delitto Moro, per una semplice ragione: l’uccisione di Mussolini era “vendetta”, quella di Moro era affermazione della paura e del potere.