Dopo aver analizzato, all’interno degli articoli precedenti, i concetti e gli elementi chiave alla base della finanza islamica, appare utile adesso affrontare un altro tema fondamentale, ovvero quello relativo alle forme di microcredito e al loro sviluppo in ambito sciaraitico. Il microcredito, infatti, viene considerato oggettivamente come lo strumento più efficace per tentare di debellare l’indigenza e la povertà all’interno delle comunità rurali economicamente più arretrate, concedendo a contadini, piccoli commercianti e microimprenditori gli strumenti adeguati a migliorare la propria posizione economica, sociale e lavorativa.
Innanzitutto, bisogna stabilire cosa si intende per microcredito. Riprendendo la definizione utilizzata da Lorenzo Becchetti nel suo testo “Il Microcredito”, con tale termine si suole indicare «l’insieme di piccoli prestiti, finalizzati prevalentemente per l’investimento piuttosto che per il consumo, rivolti ad individui o microimprese, prevalentemente prive di garanzie patrimoniali, verso le quali le istituzioni di microcredito si cautelano con forme di garanzia alternative».
Esiste tutta una serie di elementi peculiari che permette di individuare un’attività di microcredito. Tra gli elementi essenziali, bisogna citare: in primisla presenza dei cosiddetti soggetti “non bancabili”, ovvero un tipo di clientela che non può far parte del circuito finanziario ufficiale in quanto non può fornire adeguate garanzie per riuscire ad ottenere un finanziamento; secondariamente, la necessità di dover dunque mettere in piedi un tipo di relazione tra creditore e debitore basato più sull’interazione e la comprensione dei bisogni che sul mero merito creditizio; in terzo luogo, la necessità di dover far fronte ad un rischio di credito più elevato attraverso l’erogazione del finanziamento in forma collettiva anziché individuale, in modo tale che ciascun componente del gruppo costituitosi possa far da garante agli altri in caso di impossibilità di pagamento di una rata; in quarto luogo, l’obbligo di pagamento delle rate del finanziamento in tempi rapidi, solitamente in un arco temporale di 12 mesi e con cadenza settimanale/mensile; in ultima istanza, il costante monitoraggio del cliente, da parte del consulente che ha preso in carico la pratica, attraverso visite periodiche presso il luogo di lavoro per verificare il corretto utilizzo del denaro prestato.
Nonostante le peculiarità di funzionamento di una qualunque istituzione di microcredito, esistono chiaramente sia delle analogie, ma soprattutto delle differenze, tra il modello di microcredito occidentale e quello rispettoso dei principi e dei divieti islamici. Iniziando dagli elementi in comune, sicuramente bisogna citare l’obiettivo primario di un qualunque progetto di microcredito, ovvero quello di tentare di far progredire il soggetto in difficoltà economica, permettendogli di autodeterminarsi e di poter ottenere l’aiuto necessario per la creazione di un’attività volta all’auto mantenimento personale e familiare. Inoltre, un secondo elemento comune è l’approccio solidaristico e fraterno su cui si basa lo sviluppo di tali programmi, basati sull’ascolto delle necessità della controparte e il relativo focussullo sviluppo delle sue competenze imprenditoriali. Infine, l’ultimo punto di contatto è costituito dall’obiettivo di valutare la richiesta di finanziamento più sulla validità del progetto imprenditoriale in sé che sul merito creditizio o sulle garanzie fornite dal soggetto.
Passando alle differenze, due sono le principali da citare e su cui puntare maggiormente l’attenzione. In primo luogo, la principale è quella che riguarda l’applicazione di un tasso di interesse sul micro-prestito concesso. Mentre nella finanza occidentale la fondazione o la ONG applicano solitamente un tasso di interesse più alto (circa il doppio o il triplo rispetto alla media di mercato) per coprirsi dal maggiore rischio di credito corso per aver finanziato un soggetto non bancabile, in ambito islamico ciò è inammissibile alla luce del divieto di ribā, ovvero di applicazione del tasso di interesse sul credito. In secondo luogo, mentre nel microcredito islamico l’elemosina viene considerata uno strumento utilissimo per la lotta all’indigenza e per garantire una più equa redistribuzione delle risorse, nella finanza occidentale essa viene giudicata invece come un deterrente che spinge il soggetto in difficoltà a adottare schemi di comportamento improduttivi e parassitari piuttosto che proattivi e produttivi.
Queste sono le ragioni che hanno spinto la finanza islamica, nel corso dell’ultimo trentennio, ad implementare un proprio schema di microcredito peculiare, anche se con molte difficoltà. Tra le tante che si possono menzionare vi sono sicuramente il problema di adeguare i modelli contrattuali islamici, come i contratti basati sul principio della condivisione dei profitti e delle perdite, nel finanziamento di microimprese e, soprattutto, la gestione del maggiore rischio di credito. Mentre il primo problema è stato risolto, nella stragrande maggioranza dei casi, attraverso l’adozione di modelli contrattuali cosiddetti “mark-up”, in cui si inserisce un costo di servizio e di intermediazione che permette all’istituto di credito di ottenere comunque un profitto senza violare il divieto di ribāsopramenzionato, il secondo problema invece è stato risolto attraverso l’adozione di schemi assicurativi shari’ah compliant. Tra di essi si possono citare il modello kafala, ovvero la creazione di gruppi di finanziamento in cui ciascuno si fa garante degli altri compartecipanti, o il modello takaful, ovvero il modello di assicurazione commerciale islamica ormai in piena attività da circa due decenni, basato sul meccanismo del tabarru, ovvero delle donazioni volontarie.
Enrico Cocina
Per approfondire:
- G. Brugnoni, Managing Microfinance.
- Becchetti, Il microcredito: una nuova frontiera per l’economia.
- Cioli, Finanza islamica e finanza tradizionale a confronto: strumenti e strutture nell’esperienza internazionale ed europea.