La Conferenza di Palermo “for and with Libia”: il ruolo strategico dell’Italia tra contrasti, rivendicazioni e progetti.


 

 


Una settimana fa si è chiuso il sipario diplomatico sulla Conferenza internazionale per la Libia,  fortemente voluta, promossa e gestita interamente dal Governo italiano in collaborazione con la “Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia” (UNSMIL), svoltasi il 12 ed il 13 novembre nella sede di Villa Igea di Palermo. Se il suo fine principale era inscritto nella necessità di ridisegnare una differente “roadmap” per creare una nuova e stabile Libia, dopo la caduta del regime dittatoriale e monolitico del generale Gheddafi, il bilancio conclusivo, che in ogni caso risulta essere fino ad ora uno dei punti più alti della politica estera italiana agli occhi di molti osservatori stranieri, rimane in ogni caso opaco in molte sue parti.

Infatti, nonostante il titolo altamente significativo della Conferenza, “for and with Libia”, con lo scopo principale di attivare linee politiche per la creazione di una nuova Libia libera e pacifica, ma anche di stare a fianco delle diverse fazioni libiche per accompagnare il paese in questo non facile processo di transizione, il documento finale condiviso dai presenti risulta essere di difficile applicazione, almeno senza le adeguate misure di osservazione internazionale. Il primo grosso ostacolo da superare, non casualmente, è stato quello di fare sedere attorno allo stesso tavolo diplomatico i maggiori rappresentanti delle diverse anime che oggi si contendono in Libia il potere sulla politica, sulla diramazione sociale e sul controllo economico. Stiamo parlando del Presidente dell’ufficiale “Governo di Accordo Nazionale” (GNA) e riconosciuto dall’Onu, Fayez al-Sarraj; il Presidente del Parlamento di Tobruck, Aguila Saleh Issa; il Presidente dell’Alto Consiglio di Stato libico, Khaled al-Misri; ed il potente Generale delle milizie della Cirenaica, Khalifa Haftar. Ad ogni nome del rappresentante politico, non casualmente, corrisponde una porzione di Libia ruotante rispettivamente attorno a Tripoli, a Tobruck ed alla Cirenaica, ognuna con delle rivendicazioni differenti, ma la cui identità dovrebbe raffigurare un ricco mosaico di una Libia unita.

Alla rappresentanza “araba”, ovviamente, si sono accostate quelle euro-occidentali, anche queste non senza polemiche, tra presenze silenziose che hanno avuto poco da dire, ed assenze che invece hanno fatto parlare molto di sé, andando a comporre uno scacchiere particolare, anche frutto di inviti declinati poche ore prima. É il caso, ad esempio, del Presidente francese Emmanuel Macron, che, forse in polemica a distanza con il Ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini, ma anche per avere dato più credito ad una precedente Conferenza sulla Libia organizzata da lui a maggio scorso a Parigi, ha preferito inviare a Palermo il Ministro degli Esteri Jean Yves Le Driane; e della Cancelliera tedesca Angela Merkel, rappresentata invece dal Ministro Niels Annen. Nel caso di Stati Uniti e Russia, coinvolti nel progetto palermitano anche per il loro rispettivo interesse sui fatti e sui flussi in corso nel Mediterraneo, erano invece presenti rispettivamente il Consigliere speciale per il Medio-Oriente del Dipartimento di Stato David Satterfield ed il primo Ministro Dimitry Medvedev, che hanno avuto il via libera in qualità di “osservatori speciali” da parte di Donald Trump e di Vladimir Putin, entrambi partecipanti il giorno precedente a Parigi alla commemorazione del centenario della fine della prima guerra mondiale. A completare il tavolo della Conferenza, inoltre, sono stati l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea Federica Mogherini, il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, il Presidente della Tunisia Beji Caid Essebsi, il Presidente algerino Ahmed Ouyahiae, il Capo politico d’Egitto Abdel Fattah al-Sisi, vari delegati di Marocco, Turchia e Qatar e l’inviato speciale Onu per la Libia Ghassan Salamé. 

Nel variegato tavolo euro-occidental-africano, veri coordinatori del progetto sono stati, ovviamente, il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte e l’inviato Onu Salamé, che in occasione della riunione siciliana ha voluto ribadire la necessità della creazione di una nuova Libia unita e pacifica, al di là delle frontiere geografiche interne e delle resistenze ideologiche contrapposte, che passi principalmente da alcuni punti programmatici presentati dallo stesso Salamé tra il 2015 ed il 2017, che hanno portato all’emanazione di un documento denominato “Libyan Political Agreement”. In sostanza, il fine ultimo della Conferenza di Palermo è stato la riproposizione delle maggiori questioni elaborate principalmente nel documento, ma riviste alla luce dei recenti accadimenti in seno all’Unione Europea ed a tutto il contesto migratorio che coinvolge le sponde del Mediterraneo. Per inciso, i punti dell’accordo preliminare prevedevano il controllo da parte di attori internazionali dell’esercito permanente “di Stato”; l’avvio di un tavolo nazionale di trattative anche con il giusto coinvolgimento di gran parte delle minoranze libiche etiche e locali che fino a questo momento sono state escluse a priori da ogni interpellanza diplomatica e la preparazione, in un clima di riconciliazione sociale, di libere e democratiche elezioni per il rinnovo di un unico Parlamento libico ed un nuovo Governo ufficialmente riconosciuto da forze interne ed esterne.

Pertanto, l’intento della linea “nord-africana” della politica estera italiana, tramite il premier G. Conte ed il Ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, alla Conferenza di Palermo, è consistito nell’ammodernamento dei punti dell’Agreement risalente ormai a tre anni fa, partendo in modo preliminare  dal  superamento di alcuni freni di ordine politico e socio-economico, che continuano in maniera volontaria a bloccare il processo di unificazione istituzionale e di sviluppo democratico di una nuova Libia “post Gheddafi”, risalente ormai al 2011. Tra questi freni, veri e propri vincoli, vi sono la presenza, su tutto il territorio libico, di milizie armate in grado di guidare e di controllare porzioni di territorio e di classi sociali anche con la forza, e molto spesso contro gli interessi generali del Governo di Unità Nazionale con sede a Tripoli; la lotta fisica ed ideologica del Generale della Cirenaica Haftar, che mira a governare al più presto una Libia intera sotto la sua decisione militare, in contrato con alcuni elementi messi in opera in questi anni dall’Onu; ed infine la persistenza di una politica economica basata interamente sulla produzione e sull’esportazione di idrocarburi, in modo particolare il petrolio, che molto spesso risulta essere gestita da bande non riconosciute per lo più tramite malversazioni e  corruzioni. Pertanto, come sostenuto a Palermo, senza l’eliminazione, anche graduale, di questi vincoli, vera e propria fonte di instabilità e di lotta di potere elitario contro gli interessi unitari democratico-sociali, risulta farraginoso costruire una nuova Libia, anche tramite nuove elezioni politiche (1). Da tenersi molto probabilmente entro la primavera del 2019, il nuovo voto dovrebbe svolgersi in un clima democratico e senza ombre di brogli, anche grazie al ruolo delle varie istituzioni internazionali, ma questa volta con il coinvolgimento in maniera più incisiva dei maggiori Paesi membri dell’Unione Europea, superando di fatto quanto avvallato durante una precedente Conferenza sulla Libia svoltasi lo scorso maggio a Parigi, caratterizzata, in primo luogo, non solo dall’esclusione dell’Italia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti al tavolo del confronto, ma, di conseguenza, anche dal tono mono-politico francese ruotante attorno solo a quanto deciso e voluto dal Presidente E. Macron ed agli interessi francesi sui pozzi petroliferi libici (2). 

Per tale motivo, Palermo ha tentato di superare Parigi, e la visione di una Libia compatta, libera e democratica sembra diventare concretamente realizzabile, con una “roadmap” a carattere vigilante Onu, al di là degli interessi particolari dei Paesi euro-occidentali, ed oltre la cristallizzazione geografica e di potere presente tutt’ora in territorio libico. Ed è proprio questo ultimo aspetto, forse anche perché non voluto, a rendere le istituzioni politiche ed il Governo di Unità Nazionale della Libia deboli ed incapaci di guidare in maniera autoctona una stabilità democratica interna. In sostanza, il fallimento della “primavera araba” ha consegnato alla Nazioni libica un mosaico di micro regionalismi, localismi e tribalismi tra le cui maglie si nascondono le milizie criminali che in questi ultimi anni hanno gestito, e continuano a farlo, le tratte degli emigranti provenienti anche dall’Africa centrale, passando prima dai nefasti centri di detenzione sparsi sul territorio della Libia.

Salamé a Palermo ha ribadito la priorità del piano Onu, vale a dire elezioni libere nel 2019 ed una Conferenza preparatoria da tenersi in Libia stessa nei primi mesi del prossimo anno, affinché possa avviarsi una “Nation-building” da edificarsi sulle tre direttrici indissolubili di politica, sicurezza ed economia. Nuova politica democratica di unità nazionale senza regionalismi e particolarismi; mantenimento di una sicurezza di ordine interno ed esterno, senza il terrore delle milizie armate in grado di controllare i ceti sociali endogeni e di gestire i flussi migratori di esseri umani africani verso l’Europa, anche con il concreto rischio di infiltrazioni di affiliati alla “jiad” terroristica; ed avvio di un’economia avvalorata prima di tutto da uno sviluppo economico che tenga conto non solo delle vaste risorse naturali presenti in Libia, ma anche delle potenzialità che il Paese nord-africano possa ricevere da una libera circolazione commerciale a carattere interno ed esterno, tramite il ruolo di una banca centrale, soprattutto con le sponde mediterranee dei Paesi europei. Tra questi, ovviamente, spicca l’Italia, che in questi ultimi anni ha sopportato tutto il peso di numerosi sbarchi di flussi migratori, per una ragione geografica ma anche a causa di precedenti Trattati stipulati in ambito Europeo dal carattere miope e poco solidale-unitario, e che proprio tramite la Conferenza di Palermo intende ritagliarsi uno spazio legittimo ed importante di politica estera, “per e con la Libia” (3). Un impegno di politica estera italiana che ha avuto il benestare dell’amministrazione americana di D. Trump, in primo luogo interessato alla gestione di una politica interna resasi debole anche in seguito alla formazione di una Camera congressuale a maggioranza democratica alle recenti elezioni di “mid-term” dello scorso 6 novembre. Come sostenuto dal premier italiano  Conte, l’Italia potrà avere un ruolo da protagonista nell’avvio di un processo di democratizzazione politica, sociale ed economica in Libia, superando le visioni uni o bi-laterali e tramite il contributo che ogni attore libico, europeo ed occidentale potrà apportare, in nome di un impegno ed una visione multilaterale ed inclusiva. 

In sostanza, nonostante la volontà da parte del Governo italiano di  proporre e gestire il progetto della Conferenza palermitana sulla Libia, che tra l’altro si è svolta in un momento particolarmente favorevole per la diminuzione degli sbarchi sulle coste italo-europee, i risultati raggiunti, sopra enunciati, sono stati anche affiancati da alcune critiche relative a piccoli ma inevitabili incidenti diplomatici, che sono anche la testimonianza diretta di una concreta difficoltà di fare sedere attorno all’unico tavolo della democrazia partecipata e condivisa soggetti nazionali ed internazionali con piccole rivendicazioni particolaristiche che annebbiano una giusta visione della questione. É il caso, per esempio, dell’abbandono improvviso della delegazione turca, guidata dal Vice-presidente Fuat Oktay, di un incontro tenuto a margine della Conferenza tra il premier italiano G. Conte, il Ministro degli Esteri francese J. Le Drian, il primo Ministro della Russia D. Medvedev ed il Presidente egiziano A. F. al-Sisi. Un evento a cui ha fatto seguito anche la mancata partecipazione da parte del generale libico della Cirenaica K. Haftar alla sessione plenaria, fulcro della stessa Conferenza siciliana. Infatti, la debolezza dell’incontro ha ruotato anche attorno all’assenza di altri attori minori, ma fondamentali per il processo di rinascita della Libia stessa, come i rappresentanti di alcune città libiche, denominate “città-Stato”, tra cui Misurata e Zintan, in grado di condizionare fortemente le prossime eventuali elezioni dell’anno prossimo. Si tratta di scaramucce, incomprensioni d’intesa e rivendicazioni personali che a livello locale-libico ed internazionale possono in concreto creare la possibilità del mantenimento di uno “status quo” che nessuno, con poche eccezioni, vuole cambiare, in nome di una assurda logica di corruzione egoistica.

Da qui l’importanza dell’osservazione permanente dell’Onu e dell’intera diplomazia internazionale a guida europea sul caso della transizione verso la modernità della Libia, proprio per evitare che le fazioni, i regionalismi e le milizie cittadine nord-africane possano boicottare le elezioni per un nuovo ed unico Parlamento/Governo, pur di non perdere la loro influenza sulla popolazione, ormai inerme e stanca; ma anche una ineluttabilità di coordinamento internazionale ed oggettivo contro gli stessi ingranaggi egoistici da parte di alcuni Paesi europei, che in Libia sono costretti a scendere a patti anche con locali milizie anti-governative per questioni di politica interna: come nel caso del controllo e della gestione dei flussi migratori per l’Italia, e della protezione dei pozzi produttivi di petrolio per la Francia.

Per questo motivo, al commento della famosa foto che ha immortalato a Palermo una stretta di pano pacifica tra il premier italiano Conte, ed i “nemici libici” Al Sarraj e Haftar, che pare rimanga solo un ricordo a favore della stampa internazionale, bisognerebbe non trascurare quanto hanno sostenuto alcune organizzazioni umanitarie, in parte presenti come osservatori alla Conferenza, come l’Oxfam, che ritiene siano stati trascurati durante il consesso alcuni dibattiti sui diritti umani di migliaia di persone civili, del tutto elusi nell’ultimo quinquennio, solo a favore di un’attenzione economica della questione libica. Pertanto, è proprio sulla debolezza delle istituzioni statali e para-statali presenti in Libia, insieme alle micro organizzazioni politiche di milizia, che bisognerebbe puntare la giusta attenzione diplomatica internazionale, al di là di particolarismi egoistici di origine africana ed euro-occidentali. Questo, infatti, è un preliminare aspetto che in questi anni ha anche riguardato la gestione post-guerra della Somalia, dell’Afghanistan e dell’Iraq. Il tutto, ovviamente, anche con la riproposizione di un canale economico finalizzato concretamente ad uno sviluppo integrale dell’intera zona nord-africana, a partire proprio dalla contraddittoria Libia, e con una gestione più razionale e limpida della produzione e della distribuzione del petrolio, anche con l’ausilio delle aziende italiane che da anni operano in terra libica. Proprio questo, infatti, è stato un punto analizzato da un recente incontro con il Ministro degli esteri italiano Moavero Milanesi con il Governo di Unità Nazionale di Al Sarraj (4). 

La speranza è che l’epilogo della Conferenza di Palermo abbia rispecchiato e realizzato, almeno in parte, quanto sostenuto dall’”Alto Consiglio di Stato” (HSC) di Tripoli poco prima dell’arrivo dei suoi delegati nella capitale siciliana: “In risposta all’invito di assistere ad una Conferenza internazionale per trovare una soluzione alla crisi libica, e convinti che il dialogo sia il solo mezzo per uscirne, siamo speranzosi che gli incontri continueranno ad avvicinare punti di vista e trovare accordi sulle questioni aperte”. Tra queste, a parte la promozione dei diritti umani parzialmente trascurati dall’ordine del giorno palermitano, come scritto sopra, le infiltrazioni di esponenti Isis facenti capo ad Al Baghdadi in terra libica e nella vicina Tunisia, causate principalmente dalla caduta della dittatura del generale Gheddafi. Infiltrazioni “jihadiste” che hanno preoccupato i Paesi membri dell’Europa mediterranea, ma su cui la politica di sicurezza unitaria sembra avere abbassato in parte l’attenzione. Su questo ultimo aspetto, in un documento di geo-politica internazionale, si sostiene: “Gli uomini del Daesh/Isis non sono molti in Libia, ma del tutto sufficienti ad innescare una maglia di potere simile a quella sirio-irachena: la gestione di alcune città e dei punti di contatto tra di esse. Il Califfato di Al Baghdadi è la riedizione islamista e jihadista di Lawrence d’Arabia: il tenente britannico che non si interessava del vasto territorio desertico, considerato militarmente come un mare, piuttosto controllava solo le linee costiere e non l’immenso specchio d’acqua. Per questo non si tratta di mangiare il territorio, ma di elaborare una strategia, una guerra di interdizione” (5). Un aspetto, tra l’altro, già analizzato in un Conferenza programmatica di Roma nel 2016, che in consesso siciliano ha tentato di oltrepassare, tra obiettivi strategici, progetti condivisi ed animi speranzosi, a cui l’anno prossimo verranno date concrete risposte.      

Salvatore Drago  

 

(1) In questo contesto, un importante riferimento è il testo di A. Dessì ed E. Greco (a cura di), The Search for Stability in Libya. OSCE’S Role between Internal Obstacles and External Challenges, Istituto Affari Internazionali, Roma 2018; e The Libyan Political Agreement: time for a reset, Report n. 170 del 04/11/2016 dell’International Crisis Group. 

(2) Sui contraddittori aspetti della Libia, dalla caduta del regime dittatoriale del Generale Gheddafi ad oggi, si veda il documento Tripoli sotto assedio: come capire cosa succede in Libia, Report di Amnesty International Italia, 03/09/2018. Secondo il presente documento, fino a settembre scorso più di 10.000 persone erano ancora presenti nei centri di detenzione libici gestiti dal DCIM, una divisione del Ministero degli Interni della Libia stessa nel 2012. 

(3) Cfr. I numeri dell’immigrazione in Italia e nel mondo, 30/08/2018, Report di Amnesty International Italia. In base a quanto sostenuto, il 2018 è stato l’anno con il minor numero di sbarchi nell’arco temporale degli ultimi cinque anni: 19.874 arrivi a fronte di 119.369 del 2017. 

(4) In merito al ruolo dell’Italia e della Comunità europea per la gestione della stabilità libica, si rinvia a Tarek Megerisi, Order from Chaos: Stabilising Libya the Local Way, European Council on Foreign Relations, 19/07/2018; ed Anthony Dworkin, Five years on: A new European Agenda for North Africa, European Council for Foreign Relations, 18/02/2016

(5) G. E. Valori, Geopolitica dell’incertezza, Rubbettino, Soveria Mannelli 2017, p. 208. 

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