A quasi trent’anni dall’inizio della disputa con la vicina Grecia, mercoledì 13 giugno 2018 il governo di Skopje ha finalmente (?) raggiunto un accordo con Atene per il mutamento del nome ufficiale della piccola Repubblica di Macedonia in “Repubblica della Macedonia del Nord”.
Tutto ebbe inizio nel lontano 1991 all’indomani della dichiarazione di indipendenza dalla Iugoslavia, quando il mondo – e soprattutto l’Europa -uscito da una delirante guerra politica mondiale, passata agli albori come Guerra Fredda, si ritrovava a fare i conti con la devastata eredità politica e sociale lasciata dal dipartito blocco Sovietico. L’anarchia era la legge che accomunava tutte le ex repubbliche socialiste sovietiche, adesso divenute indipendenti e quei paesi e realtà, come la Iugoslavia, che un tempo ruotavano attorno ad esse.
Sappiamo tutti poi come sono andate le cose, specialmente nei Balcani. La guerra in Bosnia prima, la crisi in Kosovo poi, hanno indelebilmente segnato la fragilità dei paesi nati dopo il 1992. La Macedonia è una di queste.
La piccola repubblica parlamentare incastonata tra le montagne nel sud della penisola Balcanica tra Albania, Kosovo, Serbia, Bulgaria e Grecia, oggi conta poco più di 2 milioni di abitanti, un melting pot di etnie e due grandi religioni, quella cristiana ortodossa e quella musulmana, il sogno di entrare a far parte dell’Unione Europea, una perenne instabilità politica e infine, la “pretesa” di ritenersi la terra di discendenza del leggendario regno di Filippo il Macedone. Ma andiamo con ordine.
I 2 milioni di cittadini che abitano “la perla dei Balcani” sono suddivisi in 2 principali etnie: i macedoni, ovvero circa il 65 % della popolazione e il restante 25 % di lingua ed etnia albanese. Ora, fin dalla sua creazione il paese ha sempre dovuto affrontare l’instabilità etnica che, pur in maniera sporadica, riaccende gli animi degli abitanti a maggioranza albanese presenti al nord e sulle sponde del lago Ocrida. Nei ventisei anni di esistenza, la Macedonia ha dovuto far fronte ad una guerra civile, mai del tutto dichiarata tra le forze repubblicane e l’Esercito di Liberazione Nazionale, una falange paramilitare albanese che nel 2001 fece piombare il paese nel caos, richiedendo addirittura l’intervento per il disarmo da parte della Nato, e rigurgiti improvvisi di filo indipendentismo albanese che dall’aprile 2015 si vanno sempre di più intensificando.
A far fronte a tale spaccatura etnica, si aggiunge la crisi dei flussi migratori del’estate 2015, apparentemente diminuita dalle politiche di contenimento attuate dall’ex premier Nikola Gruevskj e il perpetuarsi della crisi politica interna.
Last but not least il pluridecennale scontro con la Grecia. Il paese ellenico, orgoglioso difensore della sua storia millenaria e della sua identità, ha da sempre aspramente criticato non solo la scelta della Macedonia di chiamarsi come la sua storica regione, di cui Salonicco ne è la capitale, riconoscendola – fin dalla sua nascita – come FYROM, ovvero Former Yugoslavian Republic Of Macedonia, ma combattendo anche una “guerra diplomatica” sulla padronanza storico-geografico di quello che fu uno degli imperi più importanti, potenti e vasti della storia dell’umanità: il regno macedone.
Nella sua massima estensione infatti, l’impero di Alessandro Magno confinava appena nel territorio dell’odierna Macedonia.
Tuttavia, tra stendardi con soli raggianti (la bandiera macedone riporta un sole con otto raggi ndr.) lungo le strade principali di Skopje, mastodontici statue di Alessandro il Grande e moderni e pacchiani monumenti dal retrogusto neoclassico, il popolo macedone, orgoglioso del suo nazionalismo ha dovuto cedere alle pressioni dei fratelli maggiori greci.
E’ così, il primo ministro Zoran Zaev ha annunciato l’imminente cambio di nome del paese, indicendo un referendum popolare, a data da destinarsi, per un ulteriore conferma.
Dal canto loro la Grecia (in primis) e poi l’Unione Europea, la Nato e l’Osce hanno accolto in modo molto positivo la decisione del governo di Skopje, sottolineando come tale cambiamento, non solo ponga la fine al decennale scontro con Atene, ma anche come esso sia un importante passo in avanti per l’integrazione del paese alle politiche comunitarie e di difesa comune.
Rimane però solo un importante nodo da sciogliere, ovvero il veto del presidente della Repubblica Ivanov, il quale con una nota ha definito tale azione politica “anticostituzionale” e “dannoso all’immagine dei macedoni”.
Una “nuova” perpetua crisi politica è cominciata.