Il quarto giorno di questo mese, in Italia, si sono tenute le elezioni politiche per il rinnovo dei due rami del Parlamento, il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati.
Nella stessa data si sono svolte le elezioni regionali in Lazio e in Lombardia.
Il quattro dicembre 2016 ebbe luogo il referendum costituzionale sulla riforma Renzi – Boschi (nonché terzo referendum della storia della Repubblica italiana) recante modifiche alla parte seconda della Costituzione, approvato dalla Camera il 12 aprile 2016 con una netta maggioranza dei pareri contrari alla riforma, e non è ancora esclusa l’ipotesi che il prossimo 4 novembre si potrebbe tornare al voto, nel giorno in cui la repubblica celebra il centenario della Vittoria.
L’Italia insomma è avvolta nell’incantesimo del numero quattro.
Ed ironia della sorte vuole che questa volta – sebbene gli Italiani si dichiarino manifestamente intenti al ritrovamento di una certa continuità politica – l’incantesimo del numero ricorrente si spezzi per lasciare il posto ad una soluzione di compromesso pratica e possibilmente più vicina.
Senso di responsabilità ed interesse generale: sembrano essere queste le chiavi per risolvere il rebus e dare un governo al Paese.
Ma ogni rebus che si rispetti, presenta una molteplicità di aspetti e situazioni che lo rendono appunto intricato e nel caso italiano, glissando su quelli che si dimostrano essere dei requisiti validi, lo scenario politico che oggi si presenta è piuttosto particolareggiato.
Attualmente vi sono tre poli – costituiti da Movimento Cinque Stelle, Lega Nord e Partito Democratico – e nessuna maggioranza in Parlamento.
Dunque è necessario che due poli si alleino o che almeno trovino un accordo di non belligeranza.
Questo è il principale motivo per cui, man mano che trascorrono le ore, perde quota sia l’ipotesi di un governo Di Maio sia quella di una direzione Salvini.
Se infatti il primo partito italiano e la prima forza di coalizione non riuscissero a trovare una maggioranza, sarà giocoforza passare ad altre subordinate, e a quel punto sarà necessario sfoderare un gran senso di responsabilità per cercare un compromesso in Parlamento. Le prime risposte sono già arrivate.
Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi ha infatti dichiarato che pur nel rispetto dei patti che lo legano alla candidatura di Matteo Salvini, intende fare tutto il possibile con la cooperazione di tutti gli esponenti dei partiti di maggioranza per fare uscire l’Italia dalla situazione di stallo attuale e per consentirle di darsi un governo, dove la parola chiave, a suo dire, dovrebbe essere proprio quel “tutti”.
Sarebbe questa un’escamotage finale per evitare il ritorno alle urne, previsto in tal caso per il 4 novembre 2018.
Nel frattempo però i partiti guardano all’elezione dei presidenti delle Camere prevista per il prossimo 23 marzo e che, a differenza del Governo, si potrebbero scegliere anche a maggioranza semplice o con ballottaggio.
In mancanza di accordi politici sarebbe più probabile che la coalizione di centrodestra raggiungesse la maggioranza, pur restando il dubbio su quale nome scegliere, se ad esempio quello di un leghista come Roberto Calderoli o di un forzista come Paolo Romani.
Tuttavia non sono mancate le polemiche già sollevate dal leader del Movimento Cinque Stelle su questi stessi nomi, principalmente per motivi di intese. Se infatti sull’elezione alla presidenza di Palazzo Madama si raggiungesse un accordo fondato sul nome di Paolo Romani – che sarebbe espressione di un accordo tra berlusconiani e democratici – il primo partito italiano rischierebbe di essere messo all’angolo.
Un altro interrogativo riguarda come voterebbero i senatori democratici, se consentirebbero cioè l’elezione di un leghista o preferirebbero spostarsi su un candidato forzista o addirittura grillino.
Ciò che desta più preoccupazione, in questo caso, sarebbero gli effetti a lungo termine di un eventuale governo di centrosinistra in cui il Partito Democratico rappresenta, per la prima volta nella storia d’Italia, la forza di minoranza.
Nel frattempo l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi ha fatto sapere che non solo non si candiderà alle primarie del Partito Democratico, ma che è intenzionato a dare le proprie dimissioni dal ruolo di Segretario. Al Partito Democratico, uscito sconfitto a questo giro dalla corsa per le elezioni alla presidenza del Consiglio servono necessariamente nuove forze in campo, e il celebre fotografo Oliviero Toscani ha già raggiunto il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda nel PD iscrivendosi anch’egli.
Un altro scenario potrebbe essere quello in cui nel frattempo il Movimento Cinque Stelle e la Lega, che sono la maggioranza assoluta, si mettessero d’accordo tra loro. E questa sarebbe anche l’opzione più plausibile da un punto di vista strettamente numerico.
Dal lato opposto invece si colloca Forza Italia, a cui mancano circa cinquanta voti per andare a governare. Sono voti che occorrerebbe trovare sul programma, il che non risulterebbe troppo difficile per una forza di governo responsabile e che si è sempre data stabilità nel tempo.
Ma che previsioni si possono fare, se anche così fosse, sulla tenuta del centrodestra?
L’opinione pubblica sostiene che le forze di coalizione di centrodestra riusciranno o a formare un governo, seppur di breve durata.
In questo secondo caso, la ragionevolezza e quel senso di responsabilità prima citato s’imporranno e si formerà un governo di transizione, quello che una volta si definiva “governo balneare” e si riandrà a votare.
Il rischio del governo balneare è che si riandrà a votare poi in autunno.
E ciò che più preoccupa l’elettorato sono le priorità.
In questo senso allora, quando si parla di ricerca della responsabilità, ci si vuol riferire più al fatto che la responsabilità va ritrovata nei contenuti, più che sugli accordi circa le posizioni di poltrone.
E la quotidianità di ciascuno è costellata da una serie di bisogni che interessano l’economia familiare, un accesso al sistema sanitario facile, la possibilità di avere e mantenere un lavoro e di poter garantire un futuro sicuro ai propri figli.
Sarebbe giusto dunque riuscire a consegnare un governo ai cittadini che sono andati a votare e che hanno scelto di votare un programma piuttosto che un altro.
Ed in qualche modo, anche questa volta, si dovrà dare una risposta agli Italiani.