Con buona pace dei rigurgiti bolivariani, l’America Latina vira sempre più verso destra. Sebastian Piñera torna al potere in Cile dopo 5 anni di governo Bachelet. Decisiva la vittoria al ballottaggio del 17 Dicembre contro il candidato socialista Alejandro Guillier. Il cambio di rotta è per lo più dovuto al declino della Concertaciòn , che, grazie all’alleanza
tra democristiani e socialisti ha garantito la solidità istituzionale per anni. I primi sentori si erano già avuti con la tornata elettorale del 2010 in cui Piñera aveva per la prima volta trionfato. La crisi che ha rallentato l’economia cilena ha impedito alla Bachelet di andare avanti con le promesse elettorali su gratuità dell’educazione universitaria e la rivisitazione del sistema pensionistico in larga parte privatizzato durante l’era Pinochet. A peggiorare la situazione, le accuse di nepotismo e conflitti d’interesse con le aziende di famiglia. La netta vittoria della destra non dovrebbe comunque cambiare molto la politica interna. Difficile pensare alla cancellazione di alcuni diritti civili faticosamente conquistati, come l’aborto. Piñera non ha la forza politica né la voglia di aprire un fronte così spinoso e divisivo per il Cile. La sua, piuttosto, sarà una battaglia sull’economia, con il taglio delle tasse, e misure a favore delle imprese per rilanciare la crescita. Un effetto domino,quello del crollo dei governi di sinistra, scatenatosi da qualche anno. Ha riguardato il Brasile, con la caduta del Partito dei Lavoratori di Dilma Rousseff, travolto da scandali di corruzione e rimosso dal governo, e l’ascesa susseguente di Michel Temer. E ha coinvolto l’Argentina, dove Mauricio Macrì, conservatore, ha trionfato alle ultime presidenziali del 2016.
Quali i motivi della sterzata?
Premessa: va sottolineato che per quanto si sia sempre presentato il continente come un blocco omogeneo con comuni aspirazioni unioniste, coesistono all’interno due assi principali: il fronte cileno/ brasiliano/argentino/uruguaiano, dal retaggio europeo più netto, più moderato. L’altro, che riunisce ideologicamente Bolivia, Venezuela, Ecuador e Cuba, più radicale. Tuttavia, nel periodo del bipolarismo, i due fronti sono riusciti a compattarsi, se non altro in chiave anti-egemonica. Gli anni 2000 sono stati lo spartiacque per i movimenti di sinistra: terminata la guerra fredda, si è via via fatto più tenue il legame ai diktat degli Stati Uniti in chiave anticomunista. Molte delle forze politiche armate hanno abbandonato la lotta per convergere verso i processi democratico-elettorali. A fare da sfondo, una generale insofferenza verso le ricette neoliberiste che avevano caratterizzato i decenni precedenti. Movimenti trasversali inediti, che solo trent’anni prima sarebbero stati carne da macello per le dittature militari, hanno stravolto schemi di potere ben consolidati. A livello economico, un periodo di congiunture positive ha arriso al modello affermatosi: alta era la domanda delle economie emergenti (soprattutto della Cina) nel settore estrattivo ed alimentare. Esportazioni che hanno a loro volta consentito un’ampia redistribuzione delle risorse derivanti dalle commodities. Tratto caratterizzante, quest’ultimo, della decade di governi progressisti. Tuttavia, pur nella loro ragionata amministrazione, spesso alcune tendenze hanno messo in cattiva luce i partiti al potere: la gestione personalistica del potere (vedasi Ecuador e Bolivia), con regole riscritte a governo in corso; una determinazione non troppo ficcante nei confronti della lotta al narcotraffico; la corruzione dilagante. Complice la crisi del 2008, e il calo delle esportazioni nel settore estrattivo, le mine rimaste inesplose sino a quel momento sono detonate. La redistribuzione, che aveva avuto successo durante il periodo di vacche grasse, con la crisi non è stata più attuabile, se non incappando nella spirale indebitamento pubblico-inflazione (caso specifico dell’Argentina e del Venezuela). Un declino che potrebbe esser foriero di altri stravolgimenti. L’anno prossimo, previste le presidenziali in Colombia, Brasile, Venezuela, Messico, Costa Rica e Paraguay. Il 2018 saprà effettivamente dirci quanto inarrestabile è la slavina abbattutasi sulla sinistra.
Federico Mazzara
Fonti:
– http://www.corriere.it/esteri/17_dicembre_18/cile-leader-centrodestra-sebastia n-pinera-vince-elezioni-84f38c5c-e381-11e7-b314-d3981516e8be.shtml
– Sinistra desaparecida: Sudamerica. La crisi delle forze progressiste
– América Latina: nuevas relaciones hemisfèricas e integracion