Recensione: “Incognita Libia” di Michela Mercuri


Michela Mercuri, Incognita Libia. Cronache di un paese sospeso, prefazione di S. Romano, FrancoAngeli, Milano, 2017, 159 pp.

Michela Mercuri, docente di Storia contemporanea dei Paesi mediterranei all’università di Macerata, affronta la questione libica in una prospettiva storica: approccio indispensabile per comprendere le conseguenze delle divergenze di ordine regionale e di natura tribale che, in diverso modo, hanno profondamente influenzato la storia della Libia. Come viene specificato dalla stessa autrice, l’intenzione primaria del libro è quella di fare luce su alcuni aspetti della Libia di oggi (p. 147), paese de facto frammentato che stenta a trovare una vera stabilità. La vicenda libica si inserisce dunque appieno all’interno della crisi che, in modalità differenti in riferimento ai diversi casi ‘nazionali’, ha coinvolto e coinvolge diversi Stati post-coloniali. Nel caso libico il tribalismo gioca un ruolo determinante e la sua importanza nel tessuto politico-sociale del paese è stata sottovalutata ma anche strumentalizzata in occasione della guerra del 2011. Scrive molto opportunamente l’autrice a tale proposito: “Seppure la frammentazione persisteva nella realtà libica – e probabilmente sarebbe riesplosa dopo la fine del colonnello – gli attori internazionali, interessati a una nuova spartizione della fetta petrolifera, hanno accelerato il percorso” (p. 158).

La prima parte del libro è dunque dedicata alla spiegazione delle ragioni per cui “la rivolta del 2011 è stata annunciata da alcuni segnali premonitori che affondano le radici nel passato e negli eventi che hanno interessato il paese per lo meno negli ultimi due secoli” (p. 11). Viene affrontata la storia della Libia a partire dalla fase finale del periodo ottomano fino alla presa del potere di Gheddafi, passando per l’epoca monarchica (vengono trattati con rigore storiografico snodi fondamentali come l’occupazione coloniale italiana e la “riconquista” fascista): le fratture regionali e tribali, riemerse con forza dopo la morte del rais, vengono utilizzate come “strumento esegetico” al fine di comprendere la complessa storia di un paese che non è mai stato nazione e, di conseguenza, consentono di comprendere anche la situazione attuale. Il quarantennio gheddafiano viene affrontato in modo rigoroso, evidenziandone complessità e contraddizioni, inserendo la rivoluzione gheddafiana nel contesto storico-politico del tempo.

La rivolta libica viene opportunamente presentata come un’“anomalia” ed un’“eccezione regionale” sia per la genesi che per le sue conseguenze: “non esiste un’unica rivolta araba ma una serie di movimenti popolari collocati in altrettanto diversi contesti sociali, economici e politici” (p. 49). Dell’“anomalia” libica vengono analizzati il contesto, le cause e la natura del conflitto, mettendo in rilievo l’“imprinting” tribale e localistico e le responsabilità occidentali nell’avere attuato un regime change contro un regime ormai dalle “architravi usurate”. L’autrice ripercorre quindi gli eventi recenti della Libia post-2011, mettendo particolare rilievo sulla spaccatura fra Tripoli e Tobruk ed evidenziando gli interessi di numerosi attori statuali in Libia: viene fatta una disamina molto puntuale del complesso sistema di alleanze regionali, rilevando come la crisi libica abbia avuto fin dalle origini una dimensione internazionale; l’autrice inoltre utilizza opportunamente il plurale nel riferirsi alle “politiche estere” occidentali (viene dato particolare rilievo – giustamente – al caso francese). Il capitolo VI è integralmente dedicato ai rapporti tra Italia e Libia, dalla seconda metà del Novecento fino agli eventi recenti, di cui non si può avere effettiva contezza se non alla luce di una prospettiva storica (uno su tutti il ruolo dell’Eni in territorio libico).

Nell’ultima parte del libro viene affrontato il complesso tema del jihadismo libico in riferimento al contesto regionale. L’autrice considera l’instabilità della Libia il problema principale da affrontare dato che i “failed State” sono l’habitat ideale per le organizzazioni terroristiche. Particolare rilievo viene dato al ruolo della Russia nel Mediterraneo, intravedendo con una lente ‘realpolitica’ un mutamento di ruolo di Mosca sia in Siria che in Libia da “parte in causa” a “stabilizzatore geopolitico”. Pertanto risulta condivisibile l’invito a sfruttare l’influenza italiana in Libia al fine di mediare un accordo intra-libico insieme a Mosca.

Il libro di Michela Mercuri analizza uno degli scenari geopolitici più scottanti, in particolare per noi italiani e mediterranei. Un contributo che merita di essere letto, discusso e (soprattutto per quanto riguarda le conclusioni) ascoltato.

Federico La Mattina

@FedLaMattina

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