Bisognerà attendere per capire la profondità della lacerazione prodottasi in Spagna a causa dello spregiudicato avventurismo di Puigdemont la cui lucida ossessione indipendentista ha fatto carta straccia della costituzione spagnola e ha spinto il premier Rajoy già gravato da una conclamata miopia tattica e soprattutto strategica in una trappola di imperdonabile violenza oscurantista.
Sarebbe bastato investire sulla maggioranza catalana contraria all’indipendenza (49% su 41%) emersa da un sondaggio condotto nel luglio scorso dalla stessa Generalità di Barcellona?
Non lo so. Certo avrebbe potuto giocare d’anticipo sul terreno del negoziato autonomistico invece di cercare di guadagnare tempo con un colpevole immobilismo alimentato forse dalla persuasione che nulla avrebbe potuto distogliere Puigdemont dal suo obiettivo indipendentistico.
Non lo ha fatto e ora dobbiamo domandarci quali possano essere i possibili scenari del futuro prossimo della vicenda.
In questa ottica cerchiamo di porre alcuni punti fermi, partendo dalla banale constatazione che una norma che sia degna di questo nome deve prevedere una sanzione nel caso di una sua violazione; sanzione che per essere congrua deve essere commisurata alla portata della violazione.
Altrettanto banale è la considerazione che la sanzione debba essere applicata in prima istanza al/i responsabile/i della violazione e non a chi sia stato indotto in buona fede a dare seguito alla violazione. Venendo al caso catalano, penso che nella stragrande maggioranza della cittadinanza catalana, almeno in quella già orientata per il sì, vi fosse la convinzione che il referendum fosse esercizio legittimo di democrazia.
Diverso il caso dei promotori del referendum stesso, appartenenti al Parlamento e all’esecutivo catalano che non potevano non sapere che il referendum così concepito era, non solo anticostituzionale, ma anche imbarazzante in termini democratici, nella parte in cui lo si dichiarava vincolante nel risultato sebbene privo della basilare condizione di un quorum (né di partecipanti al voto né di votanti per il sì o per il no) e si sanciva che in caso di affermazione del sì, si sarebbe proceduto alla proclamazione dell’indipendenza nelle 48 ore seguenti.
Ancora più imbarazzante il fatto che in caso di vittoria del no si sarebbero organizzate elezioni autonomiche(!).
Insomma, tutto lascia pensare che la dirigenza al potere in Catalogna non intendesse in ogni caso accettare né un negoziato alternativo al referendum né un’eventuale sconfitta. E che il Premier Rajoy si sia lasciato prendere al laccio di una spirale di contrapposizione che lo ha trascinato in una deriva di un’irrazionalità politica che gli ha guadagnato una diffusa condanna a livello nazionale e internazionale che ha fatto da utile schermo alle pesanti responsabilità della Generalitat.
Conclusione: con la trista sceneggiata di domenica 1° ottobre hanno perso sia Madrid che Barcellona.
Ha perso, in definitiva, la Spagna intera che dal 1° di ottobre non sarà più la stessa.
Perché si è praticato un attacco alla democrazia in nome della democrazia da un lato e si è praticato un attacco alla legalità in nome della legalità dall’altro.
Si è stracciata nei fatti la bandiera dell’Unione europea in nome di una sventolata volontà europeista.
Si è inferta una grave ferita nel corpo sociale spagnolo che solo qualche mese fa vedeva nella Catalogna il pesce pilota di un movimento autonomistico al quale facevano riferimento altri movimenti/partiti autonomistici.
E adesso?
La Generalitat brinda alla vittoria – le condizioni in cui si è svolto lo rendono del tutto falsato, ma il tasso di partecipazione, pari a meno della metà degli aventi diritto, e l’esito sbandierato di oltre il 90% dei sì farebbero stato di una minoranza, importante, ma pur sempre minoranza a favore dell’indipendenza – ma se da un lato chiede il ritiro della Guardia civil che otterrà, forse, sotto un ampio ombrello di discrezione, dà misurato ossigeno ad uno sciopero generale di protesta per le violenze del 1° ottobre che avrà un grande e giustificatissimo seguito; dall’altro chiede una “mediazione dell’Unione Europea” che sa o dovrebbe sapere che difficilmente la otterrà. Almeno ufficialmente, in ragione del fatto che l’UE non ha competenze di intervento in proposito in uno stato membro (non è un’Unione federale) e che essa si è già più volte espressa a favore di una soluzione da affrontare nel quadro dell’ordine costituzionale spagnolo e in linea con i diritti umani fondamentali: un colpo al cerchio e uno alla botte. Con un avvertimento chiaro: nel caso di una secessione, per la Catalogna si aprirebbe una pressocchè impercorribile strada di adesione alla Unione. E intanto i contatti informali tra Bruxelles, Barcellona e Madrid si infittiscono e ci sono indizi di un certo orientamento di Puigdemont propenso a non far precipitare la dichiarazione di indipendenza
Anche Rajoy deve stare molto attento alle mosse che gli si prospettano, stretto tra la necessità di riassorbire le critiche interne e internazionali per l’uso sconsiderato della forza e la sollecitazione dei falchi che chiedono il ricorso all’art.155 della Costituzione che dispone la sospensione dell’autonomia catalana, l’esautoramento del presidente e la chiusura d’imperio del parlamento, trasformando la Catalogna in una regione ribelle in Stato d’assedio. E da lui è venuta un’indicazione propositiva con l’annuncio che si presenterà in Parlamento in seduta plenaria per dare conto della situazione creatasi e aprire un dibattito nella sede della sovranità popolare sulle possibili strade per uscire dall’attuale crisi.
Finalmente, verrebbe da dire, e conforta un poco constatare che ciò non avverrà prima del 10/11 ottobre p.v. Un tempo utile per abbassare la tensione; sempre che anche la Generalitat catalana sappia coglierlo puntando sul “diritto all’indipendenza della Catalogna” più che alla proclamazione unilaterale dell’indipendenza. Lo spazio ci sarebbe ancora anche se la conferma che il Governo catalano trasferirà al parlamento i risultati ufficiali del referendum nei prossimi giorni affinchè lo stesso vi dia il seguito in conformità con la legge ad hoc (catalana) lo rende particolarmente ristretto. La legge in questione, giudicata incostituzionale dalla Corte suprema di Madrid, prevede in fatti che il Parlamento, una volta investito del pertinente dossier, proceda alla dichiarazione formale dell’indipendenza e decida l’inizio del processo costituente.
Ci sarà bisogno di buon senso, di quel tanto buon senso che fino a domenica 1° ottobre è mancato.
A cura di Armando Sanguini
Armando Sanguini è stato Ambasciatore della Repubblica Italiana:
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Direttore generale relazioni culturali
Direttore generale Africa
Capo missione in Cile Tunisia e Arabia saudita