Referendum nel Kurdistan dell’Iraq:
Nuovo progetto americano di divisione?
Antonino Pellitteri
I Curdi vivono divisi tra Iraq e Turchia, paesi dove abita la gran parte della popolazione curda, tra Iran, Siria e regioni a nord verso l’Armenia ed il Caucaso. Non bisogna dimenticare che molte comunità curde vivono bene inserite anche nei grandi centri urbani della Siria, come Aleppo e Damasco, del Libano a Beirut, perfino in Egitto, al Cairo e ad Alessandria, ed in Giordania. Questi si sono in genere arabizzati ed hanno acquisito ruoli socio-politici di primo piano, come nel caso di Shukri al-Quwatli, damasceno e curdo, presidente della Repubblica di Siria dal 1943 al 1949 e dal 1955 al 1958. Piccole comunità curde sono presenti inoltre in Georgia, Azerbaigian, Afghanistan e Pakistan, mentre numerosi sono gli emigranti curdi che vivono e lavorano in Germania ed in Scandinavia, nonché negli Stati Uniti.
Tale variegato stanziamento delle popolazioni curde è antico. Esso è dovuto a fattori geografici e storici, ma anche culturali e socio-economici. Sicché parlare di regioni curde omogenee in una vasta zona che era compresa, tra gli inizi del sec. XVI e la prima guerra mondiale, nell’impero ottomano è sicuramente inesatto.
All’interno dello stato ottomano le società che vi abitavano erano articolate dal punto di vista confessionale ed etnico e basavano la loro esistenza su un particolare sistema di convivenza (al-ta’ayush) nell’alveo della consolidata tradizione e giurisprudenza del mondo musulmano. La diffusione delle idee nazionali di derivazione europea nella II metà del secolo scorso, una cattiva applicazione dell’idea di cittadinanza subita dall’Europa all’interno dello Stato Ottomano tra il 1876 e il 1905, la sconfitta dello stesso alla fine del primo conflitto mondiale, e la nascita degli Stati territoriali (e/o nazionali) nel Vicino Oriente disegnati nella carta da Francia e Gran Bretagna, tutto ciò si rivelò devastante per quel sistema di convivenza. Ha prodotto divisioni, ostilità tra gruppi e confessioni diverse, talvolta anche all’interno di gruppi omogenei. Basti pensare ai Curdi di Turchia, turchizzati, e ai Curdi di Iraq, arabizzati, fermo restando che nella regione a parte la lingua osmanli, lingua amministrativa dell’impero ottomano, veniva utilizzata da ciascun gruppo una o più parlate proprie delle popolazioni dell’area. L’alleanza tra potenze coloniali europee ed élites politiche arabe gradite all’Europa tese a trasformare la ta’ifiyya (tradizionale articolazione etnico-confessionale) in nazionalismi (qawmiyyat) locali e/o regionali, faziosi ed esaltati.
E’ utile ricordare che il “curdo” non è una entità linguistica standard con lo status di lingua ufficiale e/o nazionale; è un insieme di dialetti simili che vengono parlati in un’ampia area geografica, come quella su citata, attraversata da molti Stati. In alcuni di questi Stati si formano inoltre uno, o più substandard regionali, tra essi il Kurmanji in Turchia e il Sorani nell’Iraq settentrionale, a cui vanno aggiunti sotto dialetti, spesso assai diversi tra loro.
Esiste allora una questione nazionale curda e si può parlare di un Kurdistan omogeneo?
All’indomani del I conflitto mondiale, dopo il crollo dell’impero ottomano e la formazione di entità statuali separate ed indipendenti, di fronte al nuovo Middle East disegnato dalle potenze coloniali europee, gli Stati Uniti posero la questione delle popolazioni curde che si trovavano divise in diversi Stati (similmente avveniva per gli Armeni) e il presidente americano Wilson si mostrò favorevole all’affermazione di un’entita statuale curda indipendente, pur permanendo imprecisata la nozione territoriale di Kurdistan. Ma la posizione americana favorevole a certa autodeterminazione dei popoli della regione, e quindi anche degli Arabi, non piacque a Francia e Gran Bretagna, che criticarono la formulazione contraddittoria degli Stati Uniti. I Curdi pertanto, in considerazione anche della loro articolata composizione interna, entrarono a far parte dei diversi Stati territoriali o nazionali di recente formazione, tra cui la Turchia e l’Iraq. In questi due paesi e a motivo di stanziamenti curdi piuttosto omogenei, la Turchia sud-orientale, e il territorio nord-orientale dell’Iraq, venne consigliato ai nuovi governanti di questi due paesi l’attuazione di forme di autonomia dei territori abitati da maggioranza curda.
E’ innegabile che nei nuovi Stati nazionali indipendenti, le popolazioni curde ivi presenti hanno subito discriminazioni e vessazioni di vario tipo, politico, economico e culturale, soprattutto in Turchia ed in Iraq. Nella nuova Repubblica turca, la cui leadership negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso fu tesa ad affermare e diffondere in tutto il territorio nazionale i principi del nazionalismo turco ammantato di laicismo, le popolazioni curde che abitavano le zone orientali del paese erano pesantemente interessate dalla turchizzazione, e in caso di rifiuto, cosa che accadde spesso, subivano la marginalizzazione politica, sociale e culturale. Ancora alla fine degli anni ’70 mi capitava di vedere, arrivato nei pressi della città di Mardin, il filo spinato circondare l’abitato dell’antica e bella città. Si tendeva cioè a mantenere le popolazioni curde in uno stato di emarginazione ed arretratezza economica e culturale. Cosa che spinse migliaia di Curdi ad emigrare verso le grandi città turche, come Istanbul, alla ricerca di maggiore fortuna, e ad abbandonare la Turchia per trovare un lavoro in Germania soprattutto ed in Scandinavia.
In Iraq la popolazione curda si era invece integrata nelle nuove istituzioni statali dell’Iraq, almeno nei primi decenni dell’Iraq indipendente. Nel Kurdistan iracheno l’arabo e il curdo sorani erano le lingue studiate e considerate ufficiali, tanto che all’Università di al-Sulaymaniyya nel Nord dell’Iraq era stato istituito un dipartimento di lingua e lett. curda. Molti Curdi erano membri del Governo di Baghdad ed erano pure nel comando dell’esercito nazionale. Problemi nelle relazioni tra élites del Kurdistan dell’Iraq e il Governo centrale, ma anche all’interno delle stesse famiglie curde (storico dissidio tra Barzani e Talabani), furono registrati dopo l’arrivo al potere di Saddam Husayn, soprattutto a partire dalla fine degli anni 70 del secolo scorso. La politica repressiva condotta dal regime iracheno, che pure contava importanti ministri curdi, e del divide et impera nei riguardi delle famiglie politiche del Kurdistan dell’Iraq e delle comunità sostenitrici delle stesse famiglie, favorì l’accordo tra la famiglia Barzani che dominava a Arbil e gli americani, quando venne decisa la guerra e l’invasione dell’Iraq nel 2003. D’altra parte già i Barzani avevano da tempo stabilito relazioni con l’Amministrazione americana e con Israele nella regione.
Da quanto sopra ricordato è derivata la motivata simpatia e la solidarietà nei confronti dei movimenti politici Curdi in Turchia e in Iraq e nei riguardi degli stessi gruppi di combattenti curdi, come il PKK in Turchia e, più recentemente, i peshmerga di Barzani nel Kurdistan iracheno. Non a caso, il movimento di solidarietà in Europa a favore della lotta delle popolazioni curde, in Turchia soprattutto, ha spinto negli ultimi anni i Governi dell’UE a premere sui governanti turchi per una maggiore apertura verso ricomposizioni autonomiste. In Iraq invece il Kurdistan iracheno gode di ampia autonomia prevista dalla nuova Costituzione della Repubblica irachena, che non utilizza il termine “arabo” per connotare il carattere della Repubblica, proprio in considerazione della presenza di importanti comunità non arabe come i Curdi e i Turcomanni.
Il 2011 è l’anno di svolta; la cosiddetta primavera araba individua due beneficiari, ma non sono arabi: Israele e una parte dei Curdi. Gli Stati Uniti spingono i movimenti politico-militari curdi in Siria e Iraq a mettersi in gioco nella battaglia contro da’esh/isis. Ciò avviene nel quadro del piano occidentale di ridisegnare la carta geo-politica della regione. Naturalmente gli americani e Israele sostengono i Curdi siriani e Barzani nel Kurdistan iracheno, e non le istanze dei Curdi di Turchia, dove il PKK è ritenuto movimento terrorista. Nonostante ciò, Stati Uniti e paesi della Nato non si spingono a proporre indipendenze che sanno possibili solo se si sconquassano gli equilibri del Vicino e Medio Oriente e quindi anche della Turchia, dove il 19% della popolazione è curda. La Turchia è alleata americana ed amica di Israele. D’altra parte resta ancora imprecisata, per tutti, l’entità stessa di Kurdistan. Sicché gli Stati Uniti in questi ultimi anni limitano la loro azione ai Curdi di Siria (5% della popolazione siriana) e dell’Iraq (17% della popolazione irachena).
Cosa ha spinto allora Mas’ud Barzani ad affrettare il referendum sull’indipendenza, o separazione (infisàl) dall’Iraq come dicono gli iracheni ?
La Costituzione irachena, votata nel 2005 da oltre il 70% della popolazione, afferma che lo Stato è parlamentare e federale. E’ il riconoscimento formale, per la prima volta nella storia dell’Iraq indipendente, dell’autonomia del iqlìm (regione amministrativa autonoma) del Kurdistan dell’Iraq. I Curdi, garanti gli americani, non hanno respinto quella Costituzione dell’Iraq, anche se, nella realtà e grazie all’appoggio americano, per Barzani e i suoi peshmerga Arbil è diventata la capitale di un territorio di fatto indipendente, seppur non dichiaratamente. Il Governo iracheno da parte sua ha sempre fatto riferimento alla Costituzione nel definire i rapporti tra Baghdad e Arbil, puntualizzando la necessità di preservare l’unità dell’Iraq. Tale posizione di Haydar al-‘Abadi si è rafforzata dopo la formazione di da’esh a Mossul e nelle province settentrionali a maggioranza sunnita nel 2014. E’ in questo stesso anno che i peshmerga di Barzani prendono il controllo dell’importante città di Kirkuk nel Nord dell’Iraq, al centro di una zona ricca di petrolio e di gas. La motivazione è quella di difendere Kirkuk dalle mire dei jihadisti dawa’esh. Anche Baghdad si attrezza per combattere da’esh e per la liberazione del territorio settentrionale occupato dallo Stato islamico. Viene riorganizzato l’esercito, si formano le milizie popolari di al-Hashd al-sha’bi all’interno del quale combattono shi’iti, sunniti e cristiani. Si trova l’accordo con Barzani per una lotta comune contro i jihadisti nel quadro della Costituzione irachena.
Mossul viene liberata, l’esercito iracheno e le milizie popolari arrivano al confine con la Siria e si impegnano insieme all’esercito siriano contro da’esh nella zona della valle dell’Eufrate. Da una parte Iraq, Siria, Russia e Iran, dall’altra una coalizione americana occidentale e curda che gioca un ruolo a dir poco ambiguo nella battaglia contro da’esh e i movimenti takfiriyya. E’ in tale difficile e delicato contesto regionale ed internazionale, con una Turchia che è alla ricerca di nuova collocazione nella regione dopo gli anni di sostegno al jihadismo internazionale in Siria, che Barzani e il suo establishment di Arbil decide il referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno, nonostante la contrarietà di Baghdad. Il governo di al-‘Abadi dichiara incostituzionale il referendum, inaccettabile il suo risultato, e ribadisce di intraprendere tutte le azioni a favore dell’unità territoriale del paese. L’Iraq non è più lo stesso di quel che era prima del 2014, anno della creazione di da’esh a Mossul. L’Iraq che era fuori da ogni gioco regionale ed internazionale, dopo la liberazione di Mossul da parte del suo esercito e delle milizie di al-Hashd al-sha’bi, ha acquisito un ruolo regionale di tutto rispetto, tanto che sulla questione del Kurdistan si è riunita la Lega degli Stati Arabi condannando fermamente il referendum voluto da Barzani. Il capo di Arbil non è così stupido da non sapere tutto ciò. Eppure il suo referendum non si limita a chiedere un si o un no sull’indipendenza del Kurdistan dell’Iraq, ma va oltre, chiede infatti di esprimere un parere anche sui territori in cui vivono Curdi fuori dal iqlìm Kurdistan. Tanto per fare un esempio il riferimento va a Kirkuk, dove la popolazione è costituita da Curdi, Arabi e Turcomanni. E’ come se il governo catalano chiedesse ai catalani di esprimersi per il si o per il no anche per quei territori della Spagna dove abitano comunità catalane.
E’ mai possibile che Barzani non sappia che un tale referendum così formulato risulta inaccettabile? E’ davvero l’indipendenza della regione curda dell’Iraq che Barzani vuole? O piuttosto mira a divenire il leader (za’im) dei Curdi in tutta l’area? E per fare cosa?
Sabato sera a Beirut sayyid Hasan Nasr Allah, il leader del movimento libanese Hizb Allah, nel suo intervento per ‘Ashura’, il decimo giorno di Muharram che celebra il martirio dell’imam al-Husayn a Kerbelà (10 ottobre 680), affermava che il referendum di Barzani è ulteriore strumento di divisione della regione; è il nuovo progetto americano volto a ridefinire la carta geo-politica regionale dopo il fallimento del progetto da’esh/isil in Siria e Iraq.
E se sayyid Hasan Nasr Allah avesse ragione?