Referendum Catalogna:
Le sorti della Spagna nelle mani dell’uomo sbagliato
La gran parte dei media spagnoli e della stampa internazionale sostiene che a partire da domani, 1 Ottobre 2017, la Spagna potrebbe non essere più quella che siamo abituati a conoscere. A seguito di una vittoria del referendum consultivo approvato dal parlamento catalano, la Catalogna potrebbe compiere quell’ “estremo atto di sovranità” che porterebbe alla scissione definitiva dell’attuale regione autonoma dallo stato spagnolo. Lo strumento per porre in essere questo vero e proprio atto di secessione potrebbe essere una dichiarazione unilaterale di indipendenza che darebbe luogo all’elezione di un’Assemblea Costituente con il fine di approvare una storica carta costituzionale catalana. Fino ad oggi però le possibilità che un’eventualità del genere possa materializzarsi pacificamente sembrerebbe piuttosto lontana, mentre le potenzialità di un escalation di violenza si fanno sempre più probabili.
Il 6 Settembre il Parlamento catalano ha approvato a maggioranza assoluta la legge del referendum, che permetterebbe la consultazione della comunità autonoma catalana rispetto al seguente quesito: “Quiere que Cataluña sea un estado independiente en forma de republica?” – (“Vuole che la Catalogna divenga uno stato indipendente nella forma della repubblica?”) – . Tale legge sarebbe poi stata promulgata dal presidente della Generalitat Carles Puigdemont, primo promotore e sostenitore dell’indipendentismo catalano.
La risposta di Madrid è stato il ricorso immediato alla Corte Costituzionale spagnola che, con una decisione unanime, ha disposto la sospensione della legge referendaria in quanto viziata da incostituzionalità. Di fatto la Costituzione spagnola, all’articolo 92, disciplina la convocazione del referendum esplicitando che “la consultazione referendaria deve essere convocata dal Re, mediante proposta del capo di governo, previamente autorizzata dalla Camera dei Deputati”.
Di contro i catalani controbattono che la norma sarebbe stata promossa dal presidente della Generalitat ed approvata dal parlamento catalano, che detiene legalmente la potestà legislativa in territorio catalano.
A partire da questo momento è cominciato un infervorato dibattito tra la Generalitat ed il governo di Madrid, ma anche dell’opinione pubblica globale, rispetto alla legalità o meno del referendum, per il quale è stato chiamato in causa anche il diritto internazionale ed il celebre principio di autodeterminazione dei popoli senza però mettere d’accordo le due parti.
In realtà per casi molto complicati come quello catalano cercare un punto di risoluzione da un punto di vista prettamente legale potrebbe non essere efficace. Infatti a prescindere dal fatto che il referendum possa essere considerato legale o meno, il governo spagnolo si trova di fronte ad un popolo di più di sette milioni e mezzo di persone con un marcato senso di identità ed una grande determinazione nel voler esprimere il proprio parere rispetto al proprio futuro politico. Ci aspetteremmo allora che il governo Madrid trattasse la suddetta tematica con le dovute precauzioni, dal momento che, aldilà dei giudizi di merito sulla questione, sarebbe del tutto insensato adottare un approccio totalmente repressivo nei confronti di una popolazione così ampia e così determinata. In particolare, proibire una consultazione referendaria non eliminerebbe il problema, ne verrebbero semplicemente esacerbati i connotati. I sette milioni e mezzo di catalani non scompariranno, né tantomeno possono essere tutti incarcerati.
Ma a a confrontarsi con questa situazione, in quel di Madrid, c’è un Mariano Rajoy ai minimi storici in termini di consenso ed a capo di un instabile governo di minoranza frutto di tre consultazioni elettorali, due delle quali non avevano prodotto alcuna maggioranza.
Se aggiungiamo poi che lo stesso Rajoy è sempre stato un paladino unionista nonchè avverso all’idea di una Spagna pluri-nazionale, ecco che abbiamo elementi a sufficienza per un escalation degli eventi che potrebbe condurre verso potenziali scontri fratricidi.
La gestione del “caso catalano” da parte di Madrid ,infatti, è stata all’insegna della repressione e del non-dialogo, passando dagli innumerevoli sequestri delle schede elettorali, all’arresto indiscriminato di politici catalani e di partecipanti a pacifiche manifestazioni in sostegno del referendum, fino all’ultimo ordine di dispiegamento della “Guardia Civil” per impedire l’accesso ai luoghi di voto. Mariano Rajoy a partire da quel 6 Settembre ha rilasciato quotidianamente in ogni dichiarazione pubblica che “il referendum non si farà” e non sembra voler abbandonare il pugno duro.
Al momento, sembre inoltre evidente che un tavolo di negoziazione possa essere l’unica strada percorribile per permettere ad entrambe le fazioni di uscire nel modo più indolore possibile da una situazione molto complessa. Al momento però Madrid non sembra disposta a fare sconti né a trattare alcuna concessione.
D’altra parte la Generalitat catalana ha continuato a percorrere questo percorso ad ostacoli che dovrebbe portare al referendum di domenica. Il presidente Carles Puigdemont ha lasciato aperte le possibilità di un confronto con il governo spagnolo, dichiarando di essere “disponibile ad aprire un dialogo con Madrid già a partire dalla mezzanotte di domani, a prescindere dall’esito del referendum”. Un esito che, in condizioni di normalità, non sarebbe stato affatto scontato. Infatti, secondo il “Centro de Investigaciones Sociológicas de España”, alla domanda sull’indipendenza della Catalogna, la popolazione catalana era, fino ai primi di Settembre, praticamente divisa in due. Ma il pugno duro di Madrid dell’ultimo mese potrebbe aver fortemente influenzato l’opinione pubblica in favore degli indipendentisti e, sopratutto, in questo nuovo scenario gli unionisti catalani non andranno a votare per paura delle conseguenze derivanti dal voto (sono previste da Madrid anche pene pecuniarie per i partecipanti).
Domenica sarà la giornata decisiva per tirare le somme delle strategie politiche delle due parti a confronto. I catalani si trovano in una posizione politica di vantaggio, dal momento che potrebbero ritrovarsi lunedì mattina con un importante legittimità popolare da spendere in una possibile futura negoziazione. Ma d’altra parte sono consapevoli della rigidità delle posizioni della controparte e della possibilità di uno scontro fisico.
Per Madrid la situazione è molto più complessa, per gli spagnoli si profilano tre possibili prospettive: evitare con ogni mezzo possibile lo svolgimento del referendum ed imboccare la via dello scontro fisico, sperando che la paura della repressione faccia scemare il movimento indipendentista (anche se, ad oggi, la violenza spagnola ha prodotto gli effetti opposti) ; disturbare lo svolgimento del referendum per delegittimare la votazione e negoziare meno concessioni possibili, ma a quel punto bisognerà vedere se i catalani saranno ancora disposti a negoziare; prendere atto della situazione fuori controllo e lasciare votare i catalani, per poi trovare un compromesso con la Generalitat per salvaguardare l’unità spagnola.
Il presidente spagnolo però sembra non essersi ancora rassegnato all’idea del referendum e lo stress di sentirsi alle corde potrebbe portarlo a compiere atti estremi che potrebbero mettere a rischio la tenuta democratica dello stato.
Giovanni Tranchina