Il referendum per l’indipendenza del Kurdistan Iracheno: un voto storico


Kurdish people attend a rally to show their support for the upcoming September 25th independence referendum in Duhuk, Iraq September 16, 2017. REUTERS/Ari Jalal – RC1F066AECF0

Il referendum per l’indipendenza del Kurdistan Iracheno: facciamo il punto

scritto da Sara Pola e Gabriella Cinque

Si sta svolgendo in queste ore il referendum consultivo che potrebbe cambiare per sempre gli assetti geopolitici in Medio Oriente. La regione autonoma del Kurdistan Iracheno chiama al voto gli aventi diritto tra più di 8 milioni di persone che attualmente vivono nel nord dell’Iraq e che desiderano realizzare da più di un ventennio il loro sogno d’indipendenza.

 

Indizione del referendum

Seppur integrata nello stato iracheno, la regione autonoma del Kurdistan venne istituita nel 1991. Fin dalla sua fondazione, essa ambisce a diventare uno Stato indipendente e riesce nel corso degli anni ad estendere il suo controllo anche su territori al di fuori dei suoi confini, come la provincia di Kirkuk e parte delle provincie di Salah Al-Din, Diyala, Wesit e Ninive (formalmente sotto amministrazione del governo centrale iracheno).

Un primo tentativo di indire un referendum consultivo sull’indipendenza curda fu fatto nel 2014, su iniziativa dell’attuale Presidente curdo-iracheno Mas’ud Barzani. Fu però a causa del necessario supporto statunitense alla regione nella lotta contro l’ISIS che il Kurdistan dovette rinunciare alla sua corsa verso l’indipendenza e concertare le sue forze nella difesa dei propri territori dalla minaccia terroristica incombente. Oggi, a seguito dei successi riportati dall’esercito curdo contro il califfato islamico e della riconquista delle stesse zone contese col governo centrale iracheno, il popolo curdo è ancor più intenzionato a non abbandonare quei territori.

Sulla questione dell’indipendenza del Kurdistan gioca quindi un ruolo fondamentale il pregresso impegno militare e strategico contro l’ISIS, a cui si aggiunge un’influenza sempre maggiore acquisita recentemente a livello internazionale grazie allo sviluppo di un piano autonomo di esportazioni di petrolio da Baghdad che dunque prescinderebbe dal consenso iracheno.

Gli schieramenti

Tra la folte fila di coloro che si oppongono al referendum consultivo capeggia l’Iraq, il cui governo non ammette la questione d’indipendenza curda, considerando illegale qualsiasi esito questa possa dare. L’Iraq difende la sua posizione sostenendo che tale consultazione non solo violerebbe la Costituzione irachena ma accrescerebbe l’instabilità nella regione compromettendo in ultima analisi gli sforzi fin’ora sostenuti nella guerra contro l’ISIS. Inoltre, risale ad appena una settimana fa la votazione con esito negativo sul referendum da parte del parlamento iracheno che si è inoltre appellato al governo di Baghdad affinché inizino le negoziazioni col governo regionale del Kurdistan. A sostengo di ciò, la Corte Suprema irachena ha emesso l’ordine di sospendere la consultazione referendaria fino al momento in cui non saranno esaminati i reclami che ne denunciano l’incostituzionalità.i Al di là delle motivazioni ufficiali addotte dalle istituzioni irachene, è importante ricordare che se la regione autonoma del Kurdistan dovesse diventare uno Stato indipendente e sovrano, l’Iraq non avrebbe più accesso a quelle riserve di petrolio situate nel territorio curdo e ad oggi sfruttate da entrambi i governi.

Sul fronte degli oppositori al referendum compaiono anche altri Stati che includono all’interno dei loro territori rilevanti minoranze curde, come ad esempio la Turchia, la Siria e l’Iran. La nascita dello Stato del Kurdistan potrebbe infatti contribuire alla proliferazione di spinte secessioniste e minare l’unità degli Stati-nazione sopracitati. A questo proposito, il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha recentemente minacciato l’applicazione di sanzioni sul Kurdistan ed, emulando l’Iran, ha reso pubblica l’intenzione di chiudere i propri confini e di cancellare gli accordi commerciali e di sicurezza col governo di Erbil.ii

Il referendum è inoltre osteggiato dagli Stati Uniti e dall’Organizzazione delle Nazione Unite (ONU). Secondo il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres, la consultazione distoglierebbe l’attenzione dalla lotta internazionale contro lo Stato Islamico, indebolendo gli sforzi per la ricostruzione politica della regione e per il ritorno dei rifugiati nelle aree precedentemente abbandonate. Guterres punta tutto sull’uso dei canali diplomatici, esortando il governo curdo ad annullare il referendum ed a stabilire un dialogo col governo iracheno. iii

Gli oppositori al referendum consultivo curdo si trovano anche all’interno della stessa regione autonoma. Infatti, secondo quanto riferito dall’Economistiv, nelle città in cui governa l’Unione Patriottica del Kurdistan, rivale del Partito Democratico del Kurdistan (PDK), è facile prevedere una bassa affluenza alle urne. Al contrario, laddove l’influenza del PDK è forte, il sostegno al referendum è garantito. Anche alcuni movimenti politici fanno parte della grande arena politica del Kurdistan: ad esempio, il movimento Gorran si oppone con forza al referendum perché lo considera né più né meno che un’iniziativa personale della famiglia Barzani, alla guida della regione autonoma da 12 anniv. Inoltre, tra gli studiosi della questione curda, c’è chi sostiene che Barzani voglia approfittare dell’eventuale successo del referendum proprio poco prima delle elezioni presidenziali e parlamentari che si terranno l’1 Novembre. Il referendum rappresenterebbe infatti l’occasione giusta per ottenere l’appoggio popolare e ribadire l’esito positivo della consultazione alle presidenziali, facendo leva sull’effetto “traino” che il referendum avrebbe sulla successiva votazionevi.

L’unico Stato ad appoggiare pubblicamente l’indipendenza del Kurdistan è Israele che vede nel nuovo Stato indipendente curdo un appoggio concreto nello storico conflitto arabo-israeliano.

Kurds wave Israeli flags at a Kurdish independence rally. Israel is the only country in the region to support the independence referendum.

Possibili sviluppi

Il governo curdo ha affermato la sua disponibilità al raggiungimento di una soluzione pacifica e il presidente Barzani si è fin’ora mostrato disponibile a trovare un accordoviiTuttavia, a meno di un giorno dal referendum non vi sono notizie circa possibili compromessi diplomatici.

Al di là delle minacce e delle esercitazioni militari turche sul confine con la regione autonoma curda, uno scenario di guerra aperta appare attualmente improbabile. Infatti, nonostante la tensione rimanga alta tra le parti coinvolte, il referendum ha carattere meramente consultivo, essendo quindi privo di effetti giuridici vincolanti immediati. Inoltre, per quanto concerne le dichiarazioni ed esercitazioni militari volute da Erdoğanviii, è necessario sottolineare che il governo di Ankara e il Kurdistan sono ad oggi legati da importanti interessi economici ed energetici e che l’esercito turco sarà presto impegnato ad Idlib (Siria) al fine di mettere in sicurezza l’ultima zona di de-escalationix. Tutto ciò rende ancora meno probabile un’eventuale azione militare contro la regione autonoma curda, qualunque sia l’esito del referendum di domani.

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