Regale, principesco, quasi un messia. A distanza di due mesi e dodici giorni da quel 14 maggio, data d’inizio del suo primo mandato, il venticinquesimo Presidente della Repubblica di Francia Emmanuel Macron sembra la reincarnazione a posteriori dell’ultimo dei capetingi. Alcune testate d’oltralpe lo hanno definito addirittura “jupitèrien”,“gioviano” per il suo carattere deciso, autoritario, confezionato in quell’aspetto belloccio e da bravo ragazzo, seducendo immediatamente il mondo intero quella sera di aprile, notte della sua elezione, durante i pochi minuti di camminata in solitaria tra i viali del Louvre verso il palco che avrebbe coronato la sua vittoria. Una vittoria per la Francia, un respiro di sollievo per i signori (o chi per loro) a capo dell’Unione Europea, per aver scansato in extremis, almeno lì, il rischio di un rigurgito dell’ultradestra. Già, perché a differenza della sua rivale “xenofoba”, “antisemita” e “antieuropeista” del Front Nationale Marine Le Pen, le petit Prince de France Macron, il ragazzino di Amiens cresciuto a pane e banche divenuto re, e la cui biografia sembra uscita dalla penna di Saint-Exupéry, è la reincarnazione allegorica di quella liberté, egalité e fraterinté dal giacobino retrogusto che negli ultimi due anni di amministrazione Hollande sono andati sempre di più ad affievolirsi.
Eppure, mettendo da parte le belle parole e le meravigliose promesse enunciate durante la campagna elettorale e soprattutto nel discorso della vittoria, all’alba dei suoi primi cento giorni da Presidente Emmanuel Macron ha tutt’altro che la strada spianata. Escludendo i tre ministri dimessi, rispettivamente alla difesa, alla giustizia e agli affari europei per presunti illeciti per pagare gli assistenti all’assemblea nazionale, l’ex delfino di Hollande si ritrova ad affrontare (volutamente) l’apertura di due diversi fronti. Il primo, quello interno, nasce dal conflitto di interessi sorto con il capo di stato maggiore alla difesa Pierre de Villiers, colpevole quest’ultimo di aver criticato apertamente i tagli alla difesa e, come in un episodio di House of Cards, il Francis Underwood d’oltralpe ha ritenuto necessario epurarlo.
A ciò si aggiunge la repentina perdita di consensi da parte dei suoi concittadini: – 10 % in un mese. Il secondo fronte, quello sulla migrazione, altro non è che il perseguimento delle politiche attuate dal suo predecessore Hollande, con l’unica differenza che ad accompagnare questo suo inconscio nazionalismo vi sono le “tenere” parole di conforto che le Petit Prince ha dedicato all’Italia durante la sua campagna elettorale, proprio sul tema migratorio, tendendo con una mano la promessa di aiuti e stringendo con l’altra la pietra dell’indifferenza pronta per essere scagliata. Ma a fronte della grave crisi migratoria – e più generalmente la grave crisi politica e sociale – che sta attraversando questa entità amorfa chiamata Unione Europea, esente da concrete politiche comunitarie sociali da perseguire, durante la sessione del G20 di Amburgo Macron ha dichiarato che la Francia non accoglierà i migranti provenienti dall’Italia. L’entusiasmo manifestatosi per la possibile apertura negli aiuti sulla crisi migratoria che sta colpendo il nostro Paese, è stato sotterrato dalle fredde dichiarazioni post summit. Evidentemente, qualcuno su a Bruxelles ha parecchio a cuore il giovane Emmanuel, al punto da consentirgli di accantonare le stesse dichiarazioni di Juncker alla voce “Aiutiamo l’Italia.” Ma effettivamente cosa aspettarsi da uno che vede l’incarico all’Eliseo come un passaggio per un futuro ruolo all’interno dell’Unione, o perché no, come Presidente degli Stati Uniti d’Europa?
Ma l’idea di un presidente comune per tutti gli Stati dell’Unione è momentaneamente puramente utopica, soprattutto per la grave crisi che essa sta affrontando e che potrebbe collassare da un momento all’altro, per cui, forse, al principe Emmanuel, divenuto re, non spetta altro che dedicarsi ad una questione che potrebbe davvero portarlo su una posizione di preminenza, non solo da un punto strategico militare nel mediterraneo, ma anche oltreoceano nei confronti dell’alleato statunitense e la parata del 14 luglio sugli Champs-Elysèè ne è la prova. Il terreno di gioco di questa importante sfida internazionale è la Libia.
Il 24 luglio scorso, a Tunisi, una riunione dei ministri degli interni europei ed africani sono arrivati ad un accordo per una multilaterale cooperazione nel Mediterraneo sulla delicata questione dei migranti, ponendo la Libia al centro di tale questione. In concomitanza con la fine del Summit, il “jupiterién” in veste di diretto discendente di Napoleone Bonaparte, in un incontro trilaterale con i libici Serraj e Haftar, rispettivamente i premier del governo di Tripoli e Tobruk, ha dato lo smacco all’Italia, e in una foto a tre che ricorda molto il buon vecchio Bill Clinton durante gli accordi di Oslo del’93, Macron impone la Francia come potenza rinascente nel Mediterraneo.